’Aniy’el

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Io divento reale quando mi guardano 

Dal 24 al 29 settembre

’Aniy, in ebraico, significa «io»: e che gli ’Aniy’el siano egocentrici è dir poco. Fin da bambini si assuefanno all’attenzione altrui come a una droga, e devono consumarne in dosi sempre maggiori: possono così arrivare a compiere anche imprese notevolissime, purché un pubblico li stia guardando; ma quando li si ignora, deperiscono; quando non pensano all’effetto che faranno, pensano cose sbagliate; quando hanno esaurito tutte le loro trovate per sorprendere o incantare gli spettatori (e capita ogni tanto), si lasciano prendere dal panico, o precipitano nella disperazione. I loro nemici più insidiosi sono, naturalmente, l’impazienza di venir lodati e ammirati e l’incubo di non esserlo più domani. E solo dalla misura in cui riescono a dominare l’una e a ignorare l’altro dipenderanno sia la qualità dello spettacolo che sapranno offrire, sia la durata della loro fama, sia anche il bene che come public persons potranno fare agli altri. Berlusconi, in Italia, è un perfetto esempio di ’Aniy’el in azione.

Quanto alle ragioni di questa loro ansia di celebrità, è presto detto. La loro energia è enorme e i loro bisogni individuali sono invece scarsi per mille motivi: senso di inferiorità, disamore per se stessi, tendenza al vittimismo, vaghi sensi di colpa eccetera. Per quanto li riguarda, potrebbero benissimo saltare due pasti al giorno e dormire, magari sul divano, cinque notti a settimana. A differenza, dunque, della stragrande maggioranza dei loro contemporanei, che si sfiniscono per garantirsi il necessario e un minimo di superfluo, gli ’Aniy’el si accorgono di disporre d’una valanga di vitalità inutilizzata: ed è esattamente ciò che occorre per diventare public persons. Ogni essere vivente è infatti attratto dalla vitalità superflua come una mosca dal miele, e del tutto naturalmente gli ’Aniy’el cominciano a trovarsi al centro dell’attenzione. Hanno talmente tanto da dare! È sufficiente che adeguino la loro energia in sovrappiù ai bisogni degli altri, e per attori come loro non c’è nulla di più facile. La gente ha bisogno di divi, di eroi idealisti, di personaggi brillanti da ammirare? Ed ecco che gli ’Aniy’el diventano divi, eroi e protagonisti mondaniesattamente così come la gente ne vuole. La gente ha bisogno di ammirare qualcuno che sappia desiderare moltissimo e di prenderne ispirazione per desiderare di più? Ed ecco che gli ’Aniy’el fingono di avere bisogni enormi. Allo stesso modo potrebbero trasformarsi in santi o in atei radicali, in filibustieri o in benefattori, in servi o in dittatori, purché qualcuno gli dimostri che è quel che la gente vuole. In tal modo il loro senso di inferiorità è medicato dall’approvazione che suscitano, il loro eccesso d’energia trova uno scopo, il loro pubblico trova uno specchio, e si stabilisce uno scambio per tutti fruttuoso.

E non che gli ’Aniy’el non abbiano da dare qualcosa di più interessante, di nuovo, di diverso, di più illuminante dei normali bisogni della maggioranza: ma proprio perché non vogliono correre il rischio di venire ignorati nemmeno per un po’, imparano presto a mettere in secondo piano, nella loro carriera pubblica, tutto ciò che la loro epoca non potrebbe ancora apprezzare. A molti di loro questo riesce senza particolari difficoltà: così fu per gli ’Aniy’el Brigitte Bardot, Lech WalÑsa, Jovanotti, Zucchero o Pertini. Alcuni incontrano qualche complicazione: il filosofo Martin Heidegger, per esempio, pare abbia sofferto non pochi tormenti interiori adeguandosi alle esigenze della Germania nazista; l’amatissimo romanziere Francis Scott Fitzgerald si esaurì precocemente, e anche tragicamente, nel suo ruolo forzato di intellettuale alla moda. Ma non possono farci nulla: il richiamo della popolarità è irresistibile in tutti gli ’Aniy’el, la mole della loro energia in sovrappiù sarebbe insopportabile per loro se altri (tanti altri!) non li aiutassero a smaltirla. Mal che vada, quando sono troppo impazienti per osare di più, può avvenire che si accontentino di un pubblico ristretto: che, per esempio, si limitino a fare gli insegnanti, o i commessi in un negozio, o gli addetti alla reception di un albergo. Mentre se per eccesso di talento e di coscienza etica, per avventura o per rabbia un ’Aniy’el dovesse osare trasgressioni ai gusti del suo tempo, il risultato sarebbe per lui disastroso: così fu per Caravaggio, furente e disperato nella sua solitudine, o per Thomas Stearns Eliot, che pagò la sua originalità con una violenta depressione.

Splendida, magica quasi, è invece la sorte degli ’Aniy’el che sanno adattarsi. C’è chi li detesta, ma che importa? Anche l’odio è una forma di attrazione, di cui gli ’Aniy’el sanno andare fieri. In compenso, purché molti li guardino possono addirittura fare miracoli: se mentono, ciò che dicono può sembrare meravigliosamente vero; se si ammalano, l’idea stessa di essere al centro dell’attenzione dà loro la forza di guarire (o di trasformare anche la loro malattia in generoso spettacolo, come avvenne all’’Aniy’el Christopher Reeve, paralizzato poco dopo aver impersonato Superman). Quanto all’ansia che sempre li perseguita, alle nevrosi che li spingono al perfezionismo e all’ossessivo controllo di se stessi e dei loro collaboratori, sono in fondo un prezzo modico da pagare per la gioia di trovarsi sulla cresta dell’onda, e di potersi, da lì, impratichire come nessun altro delle più segrete dinamiche dell’anima delle masse. Può avvenire, certo, che si sentano un po’ soli nella vita privata, come sempre capita a chi si profonde troppo in pubblico; o che ogni tanto, tra sé e sé, si annoino del proprio conformismo, come potrebbe annoiarsi un pesce rosso nella sua boccia di vetro. Ma anche in campo affettivo e nel buon gusto le loro esigenze personali sono talmente piccole, che queste malinconie non arriveranno mai a turbarli seriamente. Non temano, dunque. Il loro compito è rispecchiare e inebriare, e la gente ha bisogno di qualcuno che lo sappia fare. Per questo la Provvidenza ha scelto loro: accettino, e non avranno rimpianti.

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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