La’awiyah

lamed-aleph-waw

Con le forze del cuore io supero i limiti 

Dall’11 al 16 maggio 

Questo Angelo ha un gemello: il La’awiyah dell’11-16 giugno. È l’unico caso di parentela tanto stretta, nel Cielo qabbalistico. Un Nome identico – e dunque un’identica serie di funzioni – viene a trovarsi in due Cori diversi: qui, tra i poderosi, esplosivi Cherubini, e là, tra gli agilissimi, amorevoli Troni. Ma tra gli antichi era cosa nota; anche gli egizi e i greci vedevano una coppia di gemelli divini sul confine delle sfere più alte, e attribuivano loro lo stesso compito dei due La’awiyah ebraici: il pontificato, cioè la costruzione e la custodia di ponti tra il visibile e l’invisibile, tra Aldiqua e Aldilà. I greci li chiamarono Dioskuroi, «i fanciulli divini»: erano Castore e Polideuce, sempre vicini, benché il primo fosse mortale e dunque più vicino alla terra, e il secondo immortale e tutto celeste; per gli egizi erano i due figli del Dio supremo Ra: S’u, il dolce signore dell’aria, e Tefnut, simile a una fiamma che può d’un tratto divampare e sgomentare. Il La’awiyah di maggio si direbbe più affine a Tefnut: la lettera aleph, nel suo Nome, esprime soprattutto forza inesauribile, mentre nel La’wiyah di giugno l’aleph è piuttosto un’immagine dell’intensità e profondità degli affetti. Ma le differenze tra i due sono meno importanti delle somiglianze, ed è bene leggere i due ritratti dei La’awiyah uno accanto all’altro: in qualche modo si integrano a vicenda, i doni che concedono possono essere colti e sviluppati dai protetti di entrambi, e anche i rischi che quei doni implicano sono i medesimi.

Il primo compito dei La’awiyah è accorgersi di come il loro io possa abitare solo in parte in quella che tutti chiamano realtà: i La’awiyah sono, sempre, anche altrove; la loro mente, i loro talenti e le loro aspirazioni appartengono in larga misura, appunto, all’Aldilà, a quel versante dell’universo, cioè, in cui tempo e spazio hanno altre leggi, e l’intuizione corre più rapida e fa scoprire cose strane. A un certo punto della loro vita (presto, per lo più) i La’awiyah potranno, per esempio, accorgersi tutt’a un tratto di sapere cose che non hanno mai imparato, o di ricordare avvenimenti che non hanno vissuto. E sarà solo l’inizio. Essenziale è che non se ne spaventino: che non si lascino imbrigliare dalle resistenze superstiziose con cui la maggior parte della gente si difende dalla soglia dell’invisibile, e comincino invece la scoperta di quei mondi meravigliosi, dove l’unico radar che funziona è l’immaginazione, e la creatività prende il posto della razionalità, attingendo conoscenze e potenzialità nuove e vertiginose.

Fino a che i La’awiyah non accettano questa loro dote e sorte di esploratori, la loro esistenza è monca: si sentono dei buoni a nulla, senza scopo e senza gioia, e con in più la perenne impressione di essere in ritardo, di essere attesi da qualche parte, da qualcuno che, chissà perché, non si fa mai vivo. Sognano e sospirano, così, un grande amore o un colpo di fortuna che non arrivano mai; oppure rimpiangono situazioni e figure perdute per sempre. Ma non è vero: credono di sognare e rimpiangere, e sono solo maschere della loro esitazione. Non appena superano, invece, quella soglia tra Aldiqua e Aldilà, nella loro vita irrompe l’abbondanza, e in ogni senso. Può avvenire in molti modi, non è detto che debbano per forza studiare teologia o medianità: per alcuni quel superamento assume forme più concrete, ed è magari un trasferimento all’estero, oppure la passione per l’archeologia, o per la psicologia del profondo. Può essere la scoperta della propria identità sessuale diversa, o una conversione a un’altra religione, o una carriera a teatro, dato che anche il palcoscenico divide il mondo in un versante visibile e in un altro nascosto dietro le quinte, e riservato solo ad alcuni.

Varcato uno qualsiasi di questi confini – che per loro ha sempre un travolgente valore simbolico – i La’awiyah cominciano non soltanto a sentirsi liberi e interi, ma si ritrovano proprietari di splendide qualità pratiche, indispensabili per ottenere successo e per goderne: versatilità, intuito, fascino, grande voglia di lottare per affermarsi, allegria, coraggio e in particolar modo un’espansività, una luminosa capacità di provare amore per la gente e di comunicarlo apertamente. Perciò si contano, tra i La’awiyah, tante vedette clamorose: basti ricordare, in Italia, Gianni Boncompagni, Baglioni, Fiorello; e figure carismatiche nelle arti, come Monteverdi, Dante, Gabriel Rossetti, Salvador Dalì, George Lucas…

Quando invece non osano, quelle che sarebbero state le loro ottime qualità si manifestano sottoforma di opprimenti difetti. Il La’awiyah che non ha passato il Confine è generalmente un invidioso, e detesta soprattutto le personalità creative; è irritabile, morbosamente orgoglioso, vanitoso, spesso bugiardo e cupo. Ha, in particolare, il pessimo vizio di scoraggiare chiunque gli chieda aiuto, e conosce modi molto sottili per farlo: gode, per esempio, nel non lodare chi lo merita e nel lodare invece qualcun altro; inutile dire che come genitore, o come capoufficio, sarà in grado di produrre danni enormi nei figli o nei dipendenti. È servile, anche, e pauroso. Diventa, insomma, un esempio particolarmente lampante (a suo modo utile, come avvertimento) di quanto sia triste aver sbagliato strada nella vita.

Vi è infine, nella tipologia dei La’awiyah, la figura intermedia: colui che ha cominciato a osare, ma non ancora abbastanza. Ne risulta un misto tra i due estremi, spesso temibile, con grandi doti per la riuscita personale e con qualcuno dei difetti che ho elencato, e che, con i primi successi, aumenta d’intensità. Invidia e vanità si trasformano allora in fulmini e tempeste: in colpi di testa, cioè, e in passioni improvvise e incontrollabili, amore o odio che siano. Può inalberarsi per un nonnulla, o buttare tutto al vento per inseguire una preda sessuale. Nei casi peggiori può abbandonarsi alla calunnia, o all’ambizione morbosa, nella quale il suo Ego si gonfia a dismisura, fino ad apparire a tutti insopportabile e ridicolo. Ma fortunatamente si tratta, spesso, soltanto di una fase di transizione, e quando questi La’awiyah approfondiscono la loro scoperta dell’Aldilà, tutto va a posto e la loro vita comincia davvero a splendere.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

libro_degli_angeli

 

 .

Torna in alto