Phuwiy’el

peh-waw-yod

La mia bocca si chiude per l’indignazione 

Dal 27 al 31 dicembre 

Peh in ebraico significa «la bocca», e la lettera peh, nell’alfabeto geroglifico, è anche il simbolo del viso che si rivolge agli altri, per parlare, per esprimere, per mostrare la propria bellezza. Il viso dei Phuwiy’el, per lo più, vorrebbe invece volgersi via da un mondo umano che a loro appare irrimediabilmente brutto, ostile e ottuso. Il loro Angelo è maestoso, parente stretto di Haziy’el e Yabamiyah: e proprio come questi due, dona ai suoi protetti una vista acuta, una mente limpida, un animo immune da illusioni e libero da brame di conquiste, di carriera. Li abbiamo chiamati Angeli dei Re: di chi nasce già re; e di tale regalità tocca in sorte ai Phuwiy’el l’aspetto più difficile: l’acuta percezione della differenza tra l’armonia che abita in loro, e il caos che perturba e annebbia le vite degli altri. Quanta gente intorno a loro si spreca in lotte inutili, meschine, e desidera banalità, e crede in sciocchezze, e non sa e non vuol sapere, e non si ferma mai a riflettere! «Non mi ascolteranno, non capiranno mai», pensa il Phuwiy’el, e stringe le labbra, e i suoi occhi osservano come da un’immensa lontananza. In quest’espressione, d’altra parte, la sua bellezza appare ancora più intensa: l’aristocratico sguardo della Phuwiy’el Marlene Dietrich, freddo e struggente al tempo stesso, ne dà un’immagine perfetta e indimenticabile.

E pensare che potrebbero avere tutto: i Phuwiy’el dispongono di enormi doti e nulla impedisce loro di riuscire in ogni campo. «Ma perché?» si domandano. «A che scopo?» E rischiano di esitare sempre tra essere e non essere, come Amleto nel suo monologo. L’amarezza può diventare sconforto, e allora altro che Marlene Dietrich! Appaiono chiusi e incerti, votati all’esclusione e alla sconfitta, le loro labbra balbettano: il Phuwiy’el Paolo Villaggio ha interpretato appunto questa variante nei suoi personaggi famosissimi, Fantozzi in particolare. Oppure sprofondano in un solitario pessimismo, alla maniera d’un Giovanni Pascoli, Phuwiy’el anche lui, tanto innamorato delle ferite che il mondo gli aveva inferto. O ancora, quando l’amarezza vuol farsi valere e magari prendersi rivincite sul mondo deprimente, possono mostrarsi presuntuosi e scostanti, e squadrarvi dall’alto in basso, come delusi a priori da voi e da chiunque.

Sono, queste, tendenze quasi irresistibili nei Phuwiy’el: ma è bene che facciano leva su quel quasi, e si impegnino a trasformarle. Le potranno volgere fruttuosamente nel loro contrario, in particolar modo se decidono di specializzarsi in una qualunque attività che riguardi il viso, la voce e più in generale l’espressione, e più in generale ancora la bellezza; oppure la bocca, i denti, l’alimentazione. Proprio le difficoltà che i Phuwiy’el hanno dovuto affrontare fin da piccoli nel rapporto con gli altri, forniscono loro competenze di prim’ordine per la professione, per esempio, di esperto della comunicazione: dal docente in una scuola di giornalismo, di canto, di recitazione, al logopedista, all’otorinolaringoiatra. La loro bellezza interiore può ispirarli potentemente in tutti i campi legati all’estetica. E quanto ai denti e alla nutrizione un famosissimo Phuwiy’el fu Louis Pasteur, che introdusse nella conservazione dei cibi il processo che da lui prese il nome; e scoprì anche l’antidoto per la rabbia, trasmessa, com’è noto, dai morsi. Le predisposizioni puwieliane favoriscono, infatti, anche lo studio dell’immunologia, dell’epidemiologia, della prevenzione: di tutte quelle scienze e tecniche, insomma, che mirano a difendere l’organismo da ciò che nel mondo è infetto. I Phuwiy’el sono abbastanza generosi da potersi dedicare agli altri in questi campi, anche se, non avendo Energia Yod, sarà più prudente che preferiscano la ricerca alla pratica medica. Va notato inoltre che tra i pericoli che minacciano la loro salute, proprio le infezioni sono al primo posto: dunque, quanto più sapranno sull’argomento, tanto più robuste saranno anche le loro difese in quella direzione.

Se poi dovesse capitare loro di entrare a far parte di una reggia o qualcosa di simile, con l’indole regale che hanno vi si troverebbero perfettamente a loro agio: non tengono alla carriera, come dicevo, ma potrebbero incontrare un compagno che abbia una carica di grande rilievo, e come consiglieri e ispiratori darebbero il meglio di sé (nel suggerire a fior di labbra), specialmente se ciò che il loro partner dirige contribuisce a migliorare l’aspetto e il livello culturale della gente. Madame de Pompadour era una Phuwiy’el, e non solo fu utilissima a Luigi XV, ma seppe volgere la reggia in favore degli illuministi, ancora mansueti a quell’epoca. Non che si aspettino, i Phuwiy’el, che il mondo cambi davvero: il loro compito è e sarà sempre quello di rappresentare, o perlomeno di custodire in se stessi, un grado del sublime che la restante umanità non raggiunge ancora; ma, certamente, più lo faranno sapere in giro e meglio sarà per loro e per tutti.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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