L’ammutolimento degli oracoli

L’ammutolimento degli oracoli

Gli Antichi guardavano con occhio nuovo a ogni manifestazione della vita, consci della presenza dell’infinito in ogni forma; in questo riconoscevano e onoravano l’energia e la sacralità dei luoghi del Pianeta…

Con lo sviluppo sempre più articolato delle comunicazioni si è assistito nel tempo anche a un ammutolimento della realtà fenomenica. L’uomo non percepisce più l’unità tra il visibile e l’invisibile, il fenomenico e l’essenziale.

Nel libro di racconti onirici La Foresta in Fiore, lo scrittore giapponese Yukio Mishima spiega poeticamente questa situazione centrando alcuni punti fondamentali della questione: la perdita della dolcezza e dell’ingenuità che apre il cuore dell’uomo all’unico autentico sapere. Il libro, interamente intriso dei sogni e dei desideri della giovinezza, contiene un significativo epilogo intitolato “Le Stelle”:

Quando gli uomini guarderanno le stelle,
nel loro cuore si leverà, carico di essenze,
il vento della notte.
Sulla foresta, sul lago, sulla città,
le nuvole fluttueranno tranquille.
Allora le stelle inizieranno a cadere copiose
e come la rugiada copriranno ogni cosa.
Nel disegno tracciato dall’invisibile nastro divino,
tutte le costellazioni crolleranno a una a una
con estrema eleganza.
D’allora in poi le stelle dimoreranno
nella nostra anima, e forse torneranno ancora
quei giorni in cui gli uomini
erano dolci e meravigliosi come gli Dèi”.

L’ingenuità è una delle qualità più rare dell’uomo odierno, civilizzato, istruito ma non sapiente.

Oggigiorno nemmeno i fanciulli sono più tanto ingenui. La quantità spropositata di informazioni che bombarda ogni giorno gli individui avvolge la loro mente in una fitta coltrina, una nebbia che impedisce di cogliere l’essenziale e di dare un senso alla loro vita.

La frattura tra l’uomo e l’ambiente, e il culto di bisogni superflui, hanno portato alla perdita della semplicità, condizione indispensabile alla felicità interiore. Occorre sempre di più per vivere quotidianamente, divertirsi, stupirsi. Se è vero che la Bellezza risiede in primo luogo nel Cuore di ciascun essere vivente, questa corsa al superfluo può essere davvero il motivo per cui intorno a noi possiamo percepire sempre più l’immagine di un mondo grottesco, decadente, svuotato di significati e di significanti.

La Bellezzasi costruisce innanzitutto con il rispetto: rispetto per l’Ambiente, per il mondo vegetale che è il coabitante del pianeta insieme al regno animale. La natura verde è complemento e nutrimento del nostro sangue, rosso vivo: essa è la “compagna” dell’uomo/umanità sul pianeta. Questo è il primo passo per ritrovare la serenità mirabilmente descritta da Mishima in questa significativa e toccante lirica. Difficilmente, se non si ama la Natura, nostra compagna, si potranno stabilire altre soddisfacenti relazioni tra gli esseri umani.

Come dentro ognuno di noi coesistono due nature, una maschile e femminile che dialogano e si complementano (esse sono descritte ad esempio dal filosofo psicanalista Carl Gustav Jung come Anima/Animus), così l’umanità è polarizzata nei due sessi, e così pure gli essere viventi sul pianeta lo sono, in due forme evolutive complementari: il verde dei vegetali e il rosso animale. Il verde è ricettivo, conserva e si offre come nutrimento al rosso animale che irradia e consuma.

La biologia moderna è venuta a conoscenza di come il mondo vegetale e quello animale, lungi dal rappresentare due stadi diversi dello stesso ciclo evolutivo dei viventi, come attestavano le teorie evoluzioniste a partire dal XVIII secolo, costituiscano invece due specie completamente diverse: il grado evolutivo dei vegetali non è dunque inferiore rispetto a quello degli animali ma semplicemente le due forme di vita si sono differenziate seguendo due strade distinte. I moderni studi della biologia ci mettono al corrente di come le piante siano organismi perfetti ed altrettanto evoluti degli animali. Tra queste due forme di vita, le piante terrestri a fusto e l’uomo rappresentano gli stadi più avanzati dell’evoluzione delle due specie viventi.

Alle piante tuttavia si deve il merito di essere delle vere colonizzatrici: esse infatti riescono, a differenza degli animali, a trasformare in sostanza organica i minerali, e per questo sono capaci di crescere ex-novo persino in territori dove sono avvenute da poco eruzioni vulcaniche, fornendo nutrimento alle specie animali che vi si insedieranno dopo di loro. Considerando la catena biologica che lega i tre regni, minerale, vegetale ed animale, sicuramente possiamo ritrovarvi l’ordine evoluzionistico di stampo illuminista anche se è ormai provato che minerali, vegetali ed animali non rappresentano categorie inferiori e superiori ma semplicemente “co-abitanti” del nostro pianeta: i minerali vengono infatti trasformati in materia organica dai vegetali e i vegetali costituiscono a loro volta la base del nutrimento del mondo animale.

Se le moderne scoperte della biologia riportano l’idea dell’unità nell’universo terreno, dove coesistono specie differenti e tra loro complementari, la moderna fisica non da meno rimarca il concetto dell’unità cosmica attraverso le sue scoperte più recenti.

Il sapere degli antichi, seppure attraverso altre modalità di apprendimento, è testimone di una straordinaria conoscenza rispetto all’ambiente e alle dinamiche universali, oltre che di una saggezza a cui la scienza moderna non è probabilmente ancora pervenuta. L’idea della Terra come corpo vivente e della Natura verde come attraente compagna dell’uomo, erano vive infatti nella mentalità dell’uomo antico il quale non si sarebbe nemmeno sognato di considerare, come spesso fa distrattamente l’addormentato uomo contemporaneo, la Terra e la natura come oggetti o complementi dell’uomo.

La Terra e la natura verde erano considerate il grembo accogliente in cui maturava e cresceva il regno animale con l’uomo. Ad esse, così come alla pullulante vita del Cielo soprastante la Terra, veniva accordato rispetto e devozione.  Lungi dall’essere simili a certe stupide superstizioni dei nostri giorni, i riti e le preghiere dell’uomo preistorico e antico erano reali manifestazioni di rispetto e di devozione nei confronti della sacralità della vita. Proprio la perdita di questa sacralità primigenia fa sì che l’uomo odierno non si stupisca più di nulla, non sia più sveglio né ricettivo nel cogliere l’immenso bagaglio di sapienza che gli si offre naturalmente, ogni giorno, davanti agli occhi, senza ch’egli cerchi lontano.

I primi luoghi di culto sulla Terra venerano la Natura (bella, sempre pulita, sempre vicina a noi, a portata di mano) e sorgono in punti in cui essa si manifesta in forme particolari o significative: fonti dalle proprietà taumaturgiche, valli semicircolari, boschi situati in punti particolarmente magnetici o caratterizzati dalla presenza di particolari piante o minerali.

Tra i più celebri santuari che hanno segnato la storia del mondo occidentale troviamo sicuramente l’oracolo di Delfi. Sorto nel X sec. a.c. è uno degli oracoli più antichi dell’area del Mediterraneo. Delphi, così chiamata dallo pseudonimo di Apollo Delphinus, una delle forme attraverso cui veniva venerato il dio delle Arti oracolari, sorge ai piedi di un monte, il Parnaso, considerato dimora degli dèi, presso una valle semicircolare dove sgorgano sorgenti naturali che verranno poi canalizzate nel luogo dell’oracolo. Ricorrono in questo luogo tutti gli elementi che rendono magico e sacro un sito attraverso le sue caratteristiche naturali: l’acqua, la montagna sacra, la valle semicircolare. L’Acqua è considerata nell’antichità, giustamente, veicolo della vita e della divinità stessa: quando è calda o termale, ricca di elementi minerali che salgono dal sottosuolo, essa è simbolo dei doni che gli dèi accordano agli uomini attraverso la mediazione della Terra.

Ancora, il grembo della Terra, Madre e custode della Divinità, veniva venerato, e la Terra considerata una potenza viva, pregna dello Spirito che l’animava da dentro e che risiedeva con essa in indissolubile unità. L’idea di un corpo vivo della Terra era presente nella mentalità dell’uomo antico e fino all’avvento della scienza moderna nel XVII secolo d.c. Alla Terra si accordavano proprietà onniscienti: in essa risiedevano e tornavano tutti gli elementi del cosmo. Per questo molti oracoli antichi si basano sulle proprietà profetiche che la Terra, con la sua Energia, poteva accordare agli uomini che si accostavano ad essa.

Oropos, tra l’Attica e la Beozia, divenne celebre intorno al VII sec. a.c. per il suo oracolo di cui sono rimaste persino tracce negli usi e costumi della società attuale. Dopo avere consultato l’oracolo di Anfiarao (l’eroe-profeta a cui era consacrato il sito sacro), il pellegrino lasciava una moneta nell’acqua della fonte sacra come segno di ringraziamento, proprio come oggi si usa fare gettando monete nelle fonti dei luoghi in cui si desidera fare ritorno. Il rito consisteva in una sorta di “incubatio” dove il consultante di Anfiarao (ultimo della stirpe di veggenti facenti capo alla leggendaria figura di Melampo) si sdraiava all’interno di apposite strutture, per ricevere nel sonno il messaggio che l’eroe gli avrebbe portato risalendo dalle viscere di Madre Terra. Egli stesso, dunque, attraverso il sonno e il sogno, rientrava nel ventre della Grande Madre dove risiedono tutti gli oracoli e tutte le risposte.

Tornando ancora a Delphi, un’iscrizione sul tempio di Apollo recita: “Oh, tu che desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.”

Questa formula, come tutte le iscrizioni appartenenti al mondo arcaico, resta vaga e aperta a molte interpretazioni. In questo tipo di linguaggio, onirico, intuitivo e immaginativo, non si deve tuttavia leggere una mancanza di chiarezza ma bensì la grande facoltà di sintesi del linguaggio dell’uomo antico, capace di racchiudere in poche semplici parole innumerevoli significati. L’iscrizione di Delphi, oltre al significato, comunemente più conosciuto, del viaggio dentro se stessi, racchiude a mio parere un invito allo stupore e all’ascolto di ciò che ci circonda, il risveglio delle nostre facoltà di conoscere attraverso le cose più semplici, poiché in ciò che è vicino risiede anche ciò che è da noi in questo momento lontano, come in ciò che è dentro risiede ciò che è fuori, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso.

Tra gli innumerevoli esempi della vivacità dell’uomo antico rispetto alle manifestazioni della natura e della sua capacità di cogliere in ogni aspetto della vita la sacralità, non possiamo non citare le tradizioni oracolari di un popolo straordinario, fantasioso, immaginativo e ingegnoso che ha abitato la penisola italica tra il X e il II sec. a.c.: gli Etruschi. Nota è la loro capacità di percepire ogni segno della natura e in ogni evento fenomenico il mondo invisibile, rituale che esiste unitamente a quello fisico e fenomenico, e che ne è la radice. Questa forma di attenzione a ogni evento della vita come manifestazione significativa di qualcosa che è occulto e celato, rivela altresì che gli Etruschi possedevano la conoscenza di un mondo unitario in cui i fenomeni sono segni di un universo vivo dove ogni cosa comunica con ogni altra.

Spesso ci si riferisce agli Etruschi come a un popolo superstizioso. Questo popolo, come altri dell’antichità, anche molto precedente all’età del Ferro, possedeva invece l’animo leggero e ingenuo di un’umanità bambina, capace di stupirsi per il volo degli uccelli, la morfologia dei volti e degli organi umani, il moto degli astri; un’umanità curiosa, attenta e priva di presunzione, capace di insegnare ancora a noi, uomini adulti un po’ in decadenza, come conoscere nelle cose più semplici, che ci stanno vicino, i grandi segreti del cosmo che regolano anche la vita dell’uomo.

L’ingenuità degli antichi, lungi dal dover essere assimilata a una forma di superstizione, è invece rivelatrice di una grande saggezza che sa leggere profondamente nella semplicità delle cose attraverso uno straordinario potere di sintesi.Più arretriamo nella storia più questo senso di stupore sembra vivo nell’uomo antico, il quale, alle origini della storia, sembra possedere il segreto delle stelle e dei moti celesti nello scrigno del suo cuore bambino.

“Contemplavo un unico sapere in un unico soggetto. Per tutte le parti principali di essa si succedevano in disposizione ordinata altrettante forme principali; e per tutte le suddivisioni secondarie delle parti, … altrettante forme secondarie si collegavano con le principali”. ( I Sigilli – 22° Sigillo – Giordano Bruno)

Elisabeth Mantovani
Modena, 15 settembre 2011

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