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13. L’ESOTERISMO DEGLI SCACCHI

La storia degli scacchi è millenaria. Indubbiamente ci giungono dall’oriente: dall’India, dalla Cina, dalla Persia, ma è difficile darne una datazione d’origine precisa. Nella tomba di Nefertari, moglie di Ramsete II, troviamo rappresentata, in un bassorilievo, proprio la regina impegnata nel gioco.

Sappiamo della loro esistenza in India già da molti secoli prima dell’era cristiana, sotto la forma del “ciaturraja”. In sanscrito significava “le quattro parti di un tutto” e il gioco faceva riferimento alle strategie ed alle armi del tempo: fanteria, cavalleria, elefanti e carri di battaglia. Si trattava infatti di un gioco di simulazione bellica tra due eserciti in miniatura guidati da un re e da un generale consigliere e costituiti di otto fanti, due cavalli, due elefanti e due carri da guerra.

Tra realtà e leggenda, ritroviamo il gioco degli scacchi nelle narrazioni del “Libro dei Re” di Abdul Qazim Hassan, il poeta persiano visse attorno all’anno 1000. Infatti, dall’India il gioco si trasmise in Persia già nel VI secolo d.C., per poi permeare la cultura araba. “Shatmat” (scacco matto) è una parola persiana/araba che significa “re ucciso”. Dal mondo arabo, il gioco si diffuse nell’Impero bizantino, in Spagna e quindi in tutta Europa, attraverso mercanti e crociati. Tuttavia, da alcune tracce ritrovate a Pompei, si direbbe che in Italia il gioco fosse già conosciuto, addirittura dal I sec. a.C.

Il gioco si diffonde in tutta Europa, dove subisce una serie di modifiche: per esempio, dall’arabo “firz”(generale o consigliere) si arriva al francese “fierce – fierge – vierge” quindi “vergine”, ovvero la “regina”. Gli elefanti diventano alfieri (dal latino medievale “alphinus”) e il carro da battaglia si trasforma in torre (o “rocco”, dalla parola araba “rukhkh”).

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Il gioco era prerogativa degli aristocratici, e lo troviamo in ambienti “iniziatici”: veniva considerato uno strumento per lo studio della strategia militare, ma anche un “rito” per la divinazione e la propiziazione. Se ne fece risalire l’origine mitica all’eroe greco Palamede.

Il gioco degli scacchi, scienza e arte nel contempo, sviluppa l’attenzione, la concentrazione, la memoria, il discernimento e numerose altre qualità dell’intelletto e dello spirito. Ed è a sua volta una pratica meditativa, esoterica, grazie al ricco simbolismo che è metafora degli eventi della vita, della lotta per l’esistenza, della vittoria, della sconfitta, del sacrificio, della vita e della morte. Innalza la mente in una lotta trascendente, nel contesto di uno scenario interiore e sacrale.

Le corrispondenze magiche si rendono evidenti nel simbolismo della scacchiera e dei numeri. 8 caselle per lato, per un totale di 64 caselle che si intrecciano nel gioco del bianco e del nero, del bene e del male: simbolismo riproposto nei templi massonici. Il numero 8 rappresenta la completezza dei cicli vitali e la stabilità interiore, e il suo quadrato, il numero 64 ha valore numerologico 10 (6+4), numero fondamentale nella tradizione pitagorica.

Ogni giocatore si muove su 16 elementi, ovvero il quadrato di 4, simbolo della volontà umana (che muove i pezzi) e, numerologicamente, 1+6 = 7, simbolo di ogni perfezione ideale cui tendere.

Il fatto di elevare i numeri a potenza indica, nella tradizione orientale, lo sviluppo dei loro significati sul piano macrocosmico. Per cui ecco la doppia lettura dei numeri coinvolti nel gioco che si trasforma in una rappresentazione dell’ordine naturale e cosmico.

Ogni movimento è un atto di creazione inserito in un’alchimia complessa di moti possibili, di contrasti e di alleanze, riflessi di meccaniche cosmiche e nel contempo di percorsi evolutivi personali….