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15. I CODICI DI NUT E LO ZODIACO DI DENDERAH – PARTE 1/3

Intervista a Monica Caron

Ho conosciuto Monica attraverso il Web: qualche tempo fa infatti mi mandò un suo dettagliato studio sullo zodiaco di Denderah. Ci conoscemmo di persona a Torino, in occasione di una mia conferenza. Io credo molto nell’intuizione personale e nella ricerca indipendente: più volte mi sono imbattuto in persone che – pur non avendo specifici titoli accademici – hanno dato un grande contributo alla ricerca. Penso ad esempio al giornalista Graham Hancock e all’ingegnere civile Robert Bauval, cari amici che hanno dato prova di grande intuizione e soprattutto di grande passione, oggi agli onori della fama mondiale.

Come ho fatto con Armando Mei, ho deciso ora di chiedere un’intervista a Monica Caron, che riporto qui in tre parti.

Molte ipotesi di Monica sembreranno bizzarre e del tutto audaci le ricostruzioni fatte. Eppure, a mio avviso, nel suo racconto, molto più articolato nella tesi completa che Monica ha avuto la gentilezza di inviarmi, c’è qualcosa che mi colpisce: che mi tocca nel profondo.

– Cara Monica, parlami delle tue ricerche, della loro origine e delle ipotesi che hai voluto formulare.

Il mio lavoro si basa sullo studio delle possibili correlazioni tra le rappresentazioni della dea Hathor e della dea Nut con lo zodiaco di Denderah.

La dea Nut rappresentava la volta celeste e il ciclo siriaco.

Sirio-Sothis scompariva “nel Duat”, o mondo sotterraneo e non era più visibile fino alla sua ricomparsa che non segnava soltanto l’inizio dell’anno, ma annunciava anche l’imminenza dell’inondazione del Nilo. Si riteneva che in questo periodo Sothis fosse morta e che quindi si stesse purificando. Solo dopo la sua ricomparsa si festeggiava la rinascita.

È stato scoperto che la tribù dei Dogon nello stato del Mali, si tramandava questa antica conoscenza, di cui, dal punto di vista archeologico, non si spiega l’origine: il sistema di Sirio è composto da Sirio A e B. Sirio A è la stella principale, che potremmo assimilare alla dea Iside. La tribù dei Bozo nel Mali, che è affine ai Dogon, descrive Sirio B come la “stella dell’occhio”. Gli Egizi, come sappiamo, rappresentavano Osiride anche sotto forma di “occhio” e Iside nei cieli era la stella imperitura, la sua compagna. Questo per dire che le radici della mitologia egizia potrebbero affondare davvero nella “notte dei tempi”.

Nel dipinto più rappresentativo di Nut, di cui ci occupiamo in particolare in questa sede, appare un particolare che ricorda la prua di un’imbarcazione. Si può notare chiaramente il taglio trasversale, proprio per dare la parvenza di una barca. Come si vede, ci sono cinque rematori, di cui quello centrale si distingue per il copricapo.

 

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Sul dipinto tutti i rematori hanno in mano un remo, ma visto che i remi sono 5, per rendere evidente il numero 50 sono state messe a fianco dieci tacche. Questo numero corrisponde al numero dei rematori dell’imbarcazione celeste che ricorda la mitica imbarcazione con a capo Giasone e i 50 Argonauti, la nave degli Annunaki, o addirittura Enki che nel mito sumerico compare sempre nella sua dimora in fondo all’Abzu, o Abisso di acqua dolce.

– Vuoi quindi tentare un aggancio anche con la mitologia sumera?

In effetti Enki sarebbe figlio di Anu, re di Nibiru, pianeta da cui sarebbero discesi i progenitori dell’umanità. Fu proprio Enki ad avvisare e consigliare al proto-Noè dei sumeri, dell’imminente catastrofe che incombeva sull’umanità, e a far costruire un’arca, prima del diluvio. Nelle pagine storiche, il proto-Noè libera dall’arca degli uccelli per far si che vadano in cerca di terra asciutta, proprio come fece il Noè ebraico e il mitico Giasone affinché si trovasse la via attraverso le Rupi Erranti.

Il Dio Enki veniva associato a Oannes, il misterioso pesce umano, creatura anfibia, detto anche il Signore delle Onde. L’unico disegno originale degli scavi di Kouyunjik – in Iraq – tuttora conservato al British Museum, rappresenta una scultura del Dio che regge una cesta misteriosa. Anche l’uccello del dipinto sembra portare a tracolla la stessa cesta.

Anche nella tradizione Dogon abbiamo degli esseri anfibi, metà uomo metà pesce. Il Dio dell’universo Amma inviò questi esseri sulla Terra: i Nommo, detti “Padroni dell’Acqua”, i “Consiglieri” o gli “Istruttori”. “La sede dei Nommo è nell’acqua”. Ciò corrisponde alla tradizione babilonese, in cui il dio Ea, come il sumerico Enki, viveva in acqua e veniva a volte associato a Oannes.

“Scesero sulla Terra su di un’arca, che approdò a nord-est del paese, l’Egitto, nella arida terra della Volpe. A nord le Pleiadi, a est Venere, a ovest la Stella con la Grande Coda, a sud Orione. Ne uscirono dei ‘quadrupedi’ che la trascinarono fino ad una cavità, poi la cavità si riempì d’acqua”.

Essi descrivono anche il suono dell’atterraggio. “Mentre scendeva, la parola del Nommo uscì dalla sua bocca. L’arca era rosso fuoco e quando atterrò divenne bianca. In cielo era apparsa una stella luminosissima, che scomparve quando i Nommo se ne andarono”.

Secondo la leggenda i Nommo ritorneranno: ci sarà una loro “resurrezione”, e in cielo apparirà una stella detta ie pelu tol, rappresentata come “l’occhio del Nommo risorto”.

Interessanti le similitudini con la tradizione del Dio Osiride. Sempre vicino alla testa di Nut, c’è un occhio con il remo, forse per indicare i rematori, o visto che l’occhio rappresenta anche Osiride, volevano sottolineare che lui governava la barca?

Continua…