Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

01. LE PAROLE DIMENTICATE DEGLI ANTICHI SAPIENTI

Viviamo in una società che pensa di aver raggiunto i risultati più elevati mai raggiunti dalla conoscenza umana. A partire dal 1700, con il cosiddetto Secolo dei Lumi, continuando per il Positivismo ottocentesco e lo scientismo del XX e XXI secolo, nel corso di trecento anni l’uomo ha assistito a un progresso tecnologico e scientifico innegabile. L’affermarsi della mentalità scientifica, sostengono alcuni, ha permesso all’uomo di liberarsi delle sue vecchie superstizioni; tutto ciò che il pensiero umano ha prodotto nei secoli precedenti viene considerato, da taluni, come un’inutile vestigia del passato; nel migliore dei casi, materiale per riempire aridi manuali di storia del pensiero, nel peggiore dei casi, come mera superstizione di cui gli esseri umani dovrebbero vergognarsi. Lo scienziato è diventato l’emblema di colui che possiede una conoscenza certa, l’unica di cui ci si può fidare; il religioso è un’ombra del passato; il filosofo, uno strano feticcio che nessuno ha ancora capito dove collocare. A fronte di tutto questo, l’unica conoscenza che viene considerata degna di essere approfondita, studiata e ampliata è esclusivamente la conoscenza scientifica, quasi essa fosse in contrasto con tutti gli altri campi del sapere.

Questo grande malinteso nasce da una visione estremamente limitata e limitante del concetto di Sapere; lungi dall’essere sempre stato presente nella storia, il conflitto tra scienza, filosofia e religione è un’invenzione recente, derivante dalla progressiva specializzazione dei diversi saperi che, in passato, venivano in vece considerati come manifestazione di una medesima essenza: la Sapienza.

La Sapienza è sempre stata considerata la fonte in grado di nobilitare l’uomo, ossia di fargli intraprendere un percorso interiore in grado di elevarlo dalla sua condizione terrena per fargli raggiungere la perfezione spirituale. Culmine di tale processo è la trasformazione interiore da semplice uomo a Sapiente, che Bovillus, filosofo rinascimentale, definisce come “il fine verace e compiuto di tutte le cose materiali comprese nel firmamento e, come molti credono, un Dio terreno e mortale” (Bovillus, Il Sapiente). A tale scopo, ogni forma di conoscenza particolare è necessaria al Sapiente per divenire tale. Studiare esclusivamente una scienza a discapito di altre significa precludersi in partenza la strada verso la Sapienza.

Scopo del v-blog La Sapienza Dimenticata sarà proprio quello di recuperare lo spirito sapienziale di quei pensatori che, dalla Grecia Arcaica fino a oggi, hanno riconosciuto il nesso inscindibile che lega tutte le singole conoscenze in un’unica forma compiuta: la Sapienza. Per fare ciò, recupereremo le parole di testi e autori ormai dimenticati, spesso dalla stessa storiografia filosofica. Un’operazione fondamentale, ai giorni nostri, per recuperare lo spirito “vissuto” del sapere, inteso non solo come un apprendimento passivo di nozioni, né la mera abilità di produrre nuove invenzioni tecnologiche, ma come una condizione dello spirito in grado di nobilitare l’uomo. Una forma di conoscenza vissuta, che Angelo Tonelli descrive “una condizione dello spirito, un modo di essere, e non un insieme di contenuti che si ritengono veri e saggi. È la posizione interiore del meditante e del contemplatore, che non si preoccupa di spiegare il mondo o le procedure del pensiero, ma è puro testimone, sic et simpliciter, specchio fluido in cui tutto appare e si dissolve, senza lasciare traccia sulla superficie”. (Sulle tracce della sapienza, Moretti e Vitali Edizioni, pp. 21).

Daniele Palmieri

Libro-Palmieri-Autarchia

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