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07. LAO-TZE E IL SEGRETO MITICO DEL TAO

Lao-Tze, fondatore del Taoismo fu, insieme a Confucio, la seconda colonna portante del pensiero cinese. Ma mentre Confucio fu il filosofo dell’ordine, dell’etica, dello stato, della ragione, Lao-Tze fu un mistico, poeta, religioso dai tratti quasi rivoluzionari. A Lao-Tze è attribuito il Tao Te Ching, il Libro della Via e della Virtù, opera cardine del pensiero taoista.

Nonostante la brevità del testo, l’opera di Lao-Tze si contraddistingue per profondità e complessità; in soli cinquemila ideogrammi il filosofo cinese riesce a compilare un’opera che è un insegnamento di vita ma anche un trattato politico, un libro mistico e un testo di alta poesia ricco di metafore e similitudini.

Sin dalle prime righe del Tao Te Ching il “Vecchio Maestro” sottolinea la vacuità e la limitatezza del linguaggio e della conoscenza umana. “Il Tao che può essere detto” scrive, “non è l’eterno Tao,/ il nome che può essere nominato non è l’eterno nome./ Senza nome è il principio/ del Cielo e della Terra,/ quando ha nome è la madre/ delle diecimila creature./ Perciò chi non ha mai desideri ne contempla l’arcano,/ chi sempre desidera/ ne contempla il termine./Quei due hanno la stessa estrazione anche se diverso nome/ ed insieme sono detti mistero, mistero del mistero,/ porta di tutti gli arcani.”

Il concetto qui introdotto è il concetto di “Tao”. Letteralmente la parola “Tao” significherebbe “Via”, ma come spesso accade nelle traduzioni da lingue tanto diverse dalla nostra, qualsiasi traslitterazione sminuirebbe il vero significato della parola originale.

Dare una vera e propria definizione di Tao, come dice Lao-Tze, non è possibile, poiché le parole prodotte dalla limitata mente umana non potranno mai essere in grado di comprendere il principio dell’Universo. Perciò quello di cui gli essere umani possono discutere non è il principio di tutte le cose, ma il Tao terrestre, ciò che permette la vita sul nostro pianeta.

La sua essenza viene svelata nel paragrafo successivo, dove Lao-Tze introduce il concetto antichissimo di yin e yang, che affonda le sue radici nell’I Ching.

In principio, secondo la cosmologia taoista, l’Universo era in uno stato nominato “Wu Chi”, stato in cui ancora non esistevano gli opposti. In seguito si formarono le due polarità, yin e yang.

Yin e yang non sono da intendersi come “opposti” nel senso di due estremi incompatibili, ma come polarità complementari. L’uno non potrebbe esistere senza l’altro e più che in una guerra questi sono impegnati in una danza il cui risultato è la vita. È soltanto a partire da una falsa illusione che li riteniamo inconciliabili.

Lo stesso simbolo del Tao rappresenta i due opposti in un’armoniosa simmetria circolare, la quale suggerisce l’idea di un continuo dinamismo. Inoltre essi non solo sono compenetrati, ma nella parte nera si trova un cerchio bianco e viceversa, simbolo della loro reciproca connessione e del potenziale mutamento che può trasformare l’uno nell’altro.

Come anticipato in precedenza, non è possibile descrivere il Tao con parole umane, né afferrarlo con la mente. Per riuscire a coglierlo bisogna trascendere i nostri limiti mentali. Dal mondo della frammentazione dei due opposti, dobbiamo tornare a ricostituire la loro unità. E per farlo bisogna andare al di là dei sensi; per questo Lao-Tze, pervaso da uno spirito mistico, scrive: “I cinque colori fan sì che s’accechi l’occhio dell’uomo,/ le cinque note fan sì che s’assordi l’orecchio dell’uomo,/ i cinque sapori fan sì che falli la bocca dell’uomo/ […]Per questo il santo/ è per il ventre e non per l’occhio./ Perciò respinge l’uno e preferisce l’altro”.

Oltre a sottolineare l’inadeguatezza dei sensi, i quali non fanno altro che ingannare l’uomo con falsa conoscenza, Lao-Tze propone un mezzo alternativo alla conoscenza empirica, cioè la via dell’intuizione, dell’illuminazione.

Il “ventre” di cui il filosofo cinese parla non è lo stesso che siamo solito identificare con le pulsioni primitive del nostro corpo, ma la parte intuitiva del cervello umano, quella libera da ogni schema rigido che permette all’uomo di spaziare con la propria creatività e di afferrare grandi verità universali.

Ed è proprio sull’intuizione che si baserà il successivo pensiero taoista. Su essa si fondano le attività meditative, il cui scopo è quello di mettere a tacere tutti i pensieri in attesa del “fulmine” che colpisca la nostra mente facendoci comprendere che la molteplicità è in realtà un’illusione, poiché tutte le cose fanno parte di un unico e grande Essere indivisibile. Da dove sorge tale intuizione? Non dal mondo sensibile, ma da un Non-Essere, dal Vuoto, un’entità che non possiamo concepire proprio perché va al di là dei limiti ordinari, ma in cui il Tao si nasconde.

Più volte all’interno del testo Lao-Tze elogia la potenzialità creativa del “Non-Essere”, nel quale risiede la vera origine dell’Essere.

Per esempio nel libro XI scrive: “Trenta raggi si uniscono in un solo mozzo/ e nel suo non-essere si ha l’utilità del carro,/ s’impasta l’argilla per fare un vaso/ e nel suo non-essere si ha l’utilità del vaso,/ s’aprono porte e finestre per fare una casa/ e nel suo non-essere si ha l’utilità della casa./ Perciò l’Essere costituisce l’oggetto/ e il Non-Essere costituisce l’utilità.”

Se l’Essere costituisce l’oggetto, il Non-Essere è la sua utilità, cioè il motivo della sua esistenza. Mentre per Parmenide “L’Essere è e non può non essere, il Non-Essere non è e non può essere”, secondo Lao-Tze se non fosse per il Non-Essere, nulla sussisterebbe e l’Essere non avrebbe motivo di esistere.

Lo stesso si verifica anche nel mondo del pensiero. Infatti per il filosofo cinese è importante che la mente si mantenga vacua, libera, svuotata da ogni pensiero per raggiungere la vera conoscenza. Solo tramite il vuoto possiamo comprendere l’origine di tutte le cose.

Tramite l’esperienza mistica, sia Lao-Tze e in generale i saggi taoisti come Chuang-Tzu arriveranno a comprendere che lo scorrere del tempo lineare percepito dall’uomo è in realtà illusorio, poiché l’Universo, essendo infinito, si trova in uno stato di eterno presente.

Daniele Palmieri

Libro-Palmieri-Autarchia

 

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