Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

04. APPRENDISTI MAGHI

Medardo scalciava le gambe di ferro del banco mentre rovistava nello zaino. Gli era venuta in mente una modifica per il suo motore alimentato a patate e stava cercando il foglio con il progetto, doveva lavorarci subito! Intanto inclinava la sedia facendola sbattere contro il banco del compagno di scuola ˗ quello dietro di lui ˗ per vedere dalla finestra il passaggio di un Boeing 777 che si annunciava brontolando alto nel cielo.
«Medardo, hai deciso di farmi impazzire anche oggi?»
La maestra era seccata da tutto quel rumore durante la lezione di aritmetica.
«No signora maestra!» rispose con sinceritàMedardo.
Non aveva intenzione di dare fastidio, non lo stava mica facendo apposta, ma proprio non riusciva più a stare fermo in quello spazio angusto tra il banco e la sedia. Inoltre aveva delle cose da fare!

«Gioele, ci fai l’onore di tornare tra noi?»
Gioele non aveva sentito una parola della lezione, né il richiamo dell’insegnante rivolto a lui. In effetti ˗ da molti minuti ormai ˗ osservava un pettirosso planato sul davanzale della finestra. Gli sembrava che la deliziosa creatura girasse la testolina a destra e a sinistra per guardare proprio lui, prima con l’occhio destro e poi con quello sinistro. Arruffava le piume e si scuoteva tutto come se avesse i brividi, chissà se aveva freddo e fame…
«Gioele!»
L’intera classe scoppiò a ridere, e quando Gioele uscì dai suoi pensieri con un sussulto ˗ al secondo e più forte richiamo della maestra ˗ si accorse con imbarazzo che tutti lo stavano guardando. Tutti tranne Medardo, il quale invece approfittava di quel momento per nascondere il suo prezioso disegno, prima che alla maestra venisse l’idea di confiscarlo. L’insegnante sembrava più spazientita del solito, e Medardo era preoccupato perché, se si fosse lamentata ancora una volta di lui con mamma e papà, avrebbe passato un guaio!

Medardo non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto sbagliato nel suo comportamento, tuttavia ogni cosa che faceva sembrava appiccicargli addosso sempre più l’etichetta di ribelle. Lo zio e la zia non perdevano occasione, durante gli spinosi pranzi della domenica, per ribadire quanto fosse pestifero e inadeguato. Naturale che provasse ogni volta la sensazione di sedere sopra le spine! La mamma elencava ˗ davanti a tutti e con la voce lamentosa di una vittima ˗ le sue marachelle della settimana, il papà vagheggiava su punizioni sempre più severe e il resto dei parenti scuoteva la testa con disapprovazione.
I genitori lo avevano portato persino dal dottore, uno strano tipo che faceva troppe domande, un vero ficcanaso! Alla fine il medico gli aveva prescritto una “medicina magica” che doveva farlo diventare buono, ma che lo faceva sentire sempre stanco e ansioso. Quindi… forse era davvero cattivo come tutti dicevano? Un bambino buono resta seduto nel banco, ascolta la maestra ed è obbediente. Medardo, al contrario, detestava le lunghe ore di scuola e temeva che una volta o l’altra gli si sarebbero paralizzate le gambe! Di tutto quello che diceva la maestra, era interessato solo ai racconti storici degli eroi perché anche lui voleva essere un eroe, un paladino dei più deboli, e dava all’onore e all’amicizia il primo posto nella scala dei suoi valori.
Infine trovava inutili certe attività che gli imponeva il padre: aveva cose molto più importanti alle quali dedicare il suo tempo, come l’invenzione di nuovi motori o programmare una spedizione avventurosa in Amazzonia per la ricerca di combustibili alternativi.

Anche Gioele aveva un sacco di problemi a scuola e in famiglia. A lui non piaceva parlare; amava riflettere sulle cose, interrogarsi sui misteri dell’universo, osservare le stelle. Quindi era sempre assorto ma, sfortunatamente, agli altri sembrava invece un po’ tonto. Lo sembrava a scuola perché l’unica via di fuga del bambino da quel luogo poco interessante era vagare altrove con la mente, e lo sembrava ai genitori.
Il padre si dava da fare per “svegliare” il figlio, e lo trascinava alle partite di calcio o a qualche gita in motocicletta. Tuttavia Gioele detestava quel tipo di cose, e detestava ˗ come Medardo ˗ le riunioni familiari, dove i parenti parlavano di lui come se non fosse presente, oppure tanto sordo o stupido da non sentire le loro parole colme di delusione. Ma Gioele sentiva tutto, oh, se sentiva! Sarebbe potuto andare in estasi nell’annusare una rosa, o cadere in ginocchio sopraffatto dalla bellezza di un tramonto. O avere il cuore a pezzi alla vista di un’ingiustizia. Anche se pareva molto diverso da Medardo, aveva in comune con lui l’amore per gli eroi della storia e ˗ come il compagno ˗ nella sua scala dei valori l’amicizia e l’onore erano al primo posto.
Anche Gioele aveva subito “l’interrogatorio” di un dottore e anche lui doveva prendere una “medicina magica”, ma quella pasticca gli faceva venire attacchi d’ansia tremendi. Chissà, forse avevano ragione tutti quanti, forse era davvero uno scemo! I bambini intelligenti parlano molto, anzi gridano per sovrastare le voci degli altri, sono assi dei videogiochi e amano lo sport. E lui non era come loro.

«Lara!» La maestra ora richiamava l’attenzione di un’alunna. «Oggi dovrò prendere un’aspirina a causa vostra!» disse la donna toccandosi la fronte con il palmo di una mano.

Lara era la bambina più eccentrica della scuola. Come Medardo, non stava mai ferma, e come Gioele si estraniava al punto che nessun richiamo avrebbe potuto farla tornare dai misteriosi viaggi della sua mente. Quando la maestra aveva urlato il suo nome, Lara non poteva sentirla perché era volata con la fantasia nel castello di una fattucchiera e riceveva istruzioni su magie di guarigione. Così avrebbe potuto guarire la nonna che era tanto malata!
Come i compagni di scuola Medardo e Gioele, anche la bambina non aveva alcun interesse per le lezioni della maestra, ma lei lo diceva forte e chiaro. Esprimeva sempre le sue opinioni, tuttavia sapeva dire le cose con un tale garbo e dolcezza, con un dosaggio così sapiente di autorevolezza e rispetto mescolati insieme, da non essere mai odiosa. Non si poteva detestarla ma nemmeno domarla. I genitori avevano tentato di portare anche lei da un dottore, ma non c’erano proprio riusciti perché Lara si era ribellata dando spiegazioni sensate e risolute. Nonostante tutto, nemmeno Lara aveva una vita facile e si sentiva un’aliena in mezzo a un mondo di umani troppo diversi da lei. Dov’erano gli eroi pieni di quel senso dell’onore che le apparteneva e che sentiva prorompere dal cuore? Il suo disagio era esattamente lo stesso provato da Medardo e da Gioele.

ll giorno seguente, un altro giorno di scuola, poteva sembrare un mattino come tanti, ma la luce e i colori avevano una brillantezza speciale; Medardo, Gioele e Lara non avevano mai visto un cielo così limpido!

Quel giorno entrò in aula anche l’uomo più strano che i tre bambini avessero mai incontrato. Invece della solita maestra un po’ trafelata, arrivò, con incedere lento e maestoso, una figura altissima, barbuta e vestita di nero. Il chiasso degli alunni cessò di colpo e, nel silenzio generale, l’uomo andò a sedersi alla cattedra. L’attenzione di tutti fu catturata dalla foggia del suo copricapo, una sorta di piramide tronca impreziosita da minuscoli simboli d’oro.

«La maestra è malata, sono il vostro supplente» disse con una voce profonda, tonante e melodiosa al tempo stesso.
I bambini non risposero, ancora sorpresi ma soprattutto impressionati dall’aspetto di quello strano insegnante. Non si sarebbe potuto dargli né un’età né una razza; sembrava vecchio ma aveva movenze da giovane, e sembrava occidentale ma aveva gli occhi da orientale. La cosa più inquietante erano le mani dalle dita insolitamente lunghe, simili ai rami scheletriti di un albero. Inoltre la sua altezza era quasi smisurata. Nell’insieme faceva davvero paura!

Quando si levò in piedi e si avvicinò a un alunno in prima fila, il ragazzino sprofondò sotto il banco.
«Cosa vi stava insegnando ieri la maestra?» chiese il supplente, allungandosi verso l’alunno.
Il bimbo, spaventatissimo, balbettò qualcosa senza senso. L’uomo allora girò lo sguardo attorno, in attesa della risposta da qualcun altro. Sembrava una sfida: chi aveva il coraggio di parlare per primo a quel personaggio tutto nero? Pareva che nessuno avrebbe mai vinto la gara perché tutti i bambini erano impietriti; tutti tranne quelli che si erano rifugiati sotto i banchi, naturalmente… e tranne Medardo, Gioele e Lara che lo stavano guardando affascinati.

Il supplente si avvicinò a Gioele e ripeté la domanda. Il bambino lo guardò intensamente e quasi gli occhi gli si riempirono di lacrime. Stava provando affetto per uno sconosciuto! Doveva essere impazzito! O forse non era uno sconosciuto?
«Aritmetica…» disse con una voce limpida e forte come non aveva mai tirato fuori dalla propria gola!
«E quale operazione di aritmetica stava spiegando la tua maestra?» replicò l’uomo.
«Non lo so, signore» rispose candidamente Gioele. «Non ero attento».
«Humm… certamente la natura è molto più interessante. I pettirossi, per esempio, sono creature straordinarie, così carini eppure tanto battaglieri…»
Il supplente non finì la frase e già si dirigeva verso il banco di Medardo. Gioele era interdetto. “Come faceva a sapere che mi ero distratto guardando un pettirosso?” pensò.

«Tu sai dirmi qualcosa di più preciso?» disse l’insegnante rivolto a Medardo.
«No signore, ero distratto anch’io…»
Mentre alzava lo sguardo su di lui, il bambino provò l’assurda sensazione di aver già incontrato quello strano personaggio, chissà dove e chissà quando. In realtà sapeva bene di non averlo mai visto prima, non dentro il mondo reale perlomeno!
«Certo certo, è ovvio, il tuo veicolo aveva bisogno di essere perfezionato prima di partire per un viaggio tanto lungo…»
“Come sa del disegno e del progetto sul mio viaggio?” pensò Medardo con l’espressione più stupita del mondo.

L’insegnante ora si era fermato davanti al banco di Lara che lo stava guardando negli occhi e sembrava ipnotizzata.
«Tu cosa sai dirmi circa la lezione di ieri?» le chiese quell’uomo così alto che svettava quasi fino al soffitto dell’aula.
«La maestra ci ha insegnato l’addizione, ma stavo pensando ad altro…» rispose Lara, anche lei con lo stesso sincero candore dei suoi compagni.
«Hum, certo è più urgente apprendere la magia. Tua nonna ha la precedenza…»
Inutile dire che anche Lara rimase di stucco. Il supplente della maestra le leggeva nel pensiero!

catelli2«Bene ragazzi, andiamo a fare lezione di aritmetica nel bosco
A quel comando si alzarono tutti per seguire l’insegnante che stava già uscendo dall’aula. Medardo, Gioele e Lara si guardarono a vicenda interdetti. Nessuno di loro aveva mai visto un bosco nelle vicinanze! Tuttavia, appena fuori dall’edificio ˗ dove prima c’era solo cemento ˗ eccolo lì il bosco, tenebroso, invitante e misterioso. Accipicchia, esisteva davvero!

Come se lo strano insegnante li chiamasse telepaticamente, i tre ragazzini gli andarono dietro e, tenendosi per mano, s’inoltrarono dentro la vegetazione sempre più fitta. Gli altri compagni di classe erano da qualche parte, ma sembrava che non esistessero più, c’erano solo Medardo, Gioele, Lara e lo strano maestro. Quando L’uomo si sedette ai piedi di una grande quercia, i tre bambini si accovacciarono davanti a lui come tre piccoli discepoli.

«Dunque facciamo lezione adesso. Medardo, dovrai calcolare la lunghezza del tuo viaggio. Con questa speciale carta geografica puoi sommare le distanze delle tappe intermedie che avevi deciso. Luoghi molto interessanti!»
A quelle parole tirò fuori da una manica del vestito nero una carta geografica arrotolata. Quando Medardo la prese e la srotolò poté considerare che non ne aveva mai vista una simile! Se metteva il dito tra una città e l’altra, compariva la distanza chilometrica; se toglieva il dito, il chilometraggio spariva! Era anche indicata la profondità dei mari e degli oceani, che si rendeva visibile dove sceglieva di toccarli. Tuttavia, la cosa più stupefacente erano i puntini lampeggianti che segnalavano la presenza di tesori nascosti e terre sprofondate in un lontanissimo passato!

«Gioele, qui ci sono tutte le costellazioni della nostra galassia. Vorrei che tu mi dicessi quante sono in totale».
L’uomo diede al bambino un libro dalle pagine color lapislazzulo; quando Gioele sfiorò le immagini delle stelle, queste si accesero! Apparivano anche i nomi delle costellazioni e la storia leggendaria legata a ciascuna di loro. Il ragazzo era già in cielo dalla felicità! Ora avrebbe potuto scoprire per quale motivo, per esempio, l’Orsa Maggiore si chiamava in quel modo, e chi erano le dee e gli dei coinvolti nella vicenda. Tutto questo mentre imparava l’addizione!

«Ecco un libro di magia, Lara. La ricetta per guarire i polmoni di tua nonna è a pagina milleseicentodiciotto. D’ogni foglia, fiore o radice vi è scritta la quantità. Vorrei sapere quanto peseranno in tutto le erbe della pozione. Naturalmente prima di metterla a bollire!» L’uomo sorrise e allungò alla bambina il libro, anche quello, sfilato da una manica.
Lara non poteva credere ai suoi occhi: se toccava una ricetta, le illustrazioni delle piante diventavano tridimensionali, come fossero vive. Sembravano talmente reali che quasi profumavano di rugiada! Certamente in quel modo poteva imparare tante pozioni magiche e a distinguere le piante, mentre si esercitava in aritmetica!

Quando la mattina giunse al termine, il più bizzarro maestro del mondo salutò i bambini con una strizzatina d’occhio e scomparve. Con lui sparirono anche gli incredibili testi scolastici sui quali i piccoli discepoli avevano studiato nel bosco.

Il mattino seguente avevano tutti e tre una gran fretta di tornare a scuola, riuscendo a stupire non poco i genitori, abituati a doverceli portare quasi con la forza! Tuttavia, quando Medardo, Gioele e Lara videro varcare la porta dell’aula dalla loro solita maestra, ebbero un moto di delusione; avevano proprio sperato di passare altro tempo con il fantastico supplente. Era guarita troppo in fretta la maestra!

Lara chiese gentilmente alla donna se si sentisse meglio, dopo la sua malattia. L’insegnante parve molto stupita: «Io non sono stata male!»
Medardo balzò in piedi e disse: «Ieri è venuto un supplente, signora maestra, perché lei era a casa ammalata!»
«Non dite sciocchezze bambini, ieri stavo benissimo ed ero qui con voi, in classe!»

A quelle parole Medardo, Gioele e Lara si guardarono a vicenda quasi sconvolti. Cosa stava succedendo? Avevano fatto tutti e tre lo stesso sogno? Corsero fuori tacitamente d’accordo: dovevano verificare se il bosco ci fosse ancora, e forse avrebbero visto di nuovo l’insegnante, seduto sotto la quercia! Quando raggiunsero il piazzale dell’edificio trovarono solo cemento. Del bosco e della magnifica giornata di scuola pareva non esserci più traccia, se non nella loro memoria.

Chi era dunque l’uomo che si era spacciato per supplente? Si trattava forse di un Mago? I tre bambini non avevano una spiegazione, ma da quel giorno divennero grandi amici perché condividevano un incredibile segreto. Medardo non pensò mai più di essere un ribelle, né Gioele un tonto o Lara un’aliena! Da allora seppero di essere semplicemente bambini molto speciali, probabilmente degli apprendisti Maghi!

Grazia Catelli Siscar

 

Credits Img1 Img2..

1 commento su “04. APPRENDISTI MAGHI”

  1. magnifico racconto, che dovrebbero leggere tutti i genitori con bimbi piccoli in modo da non dovergli portar via il tempo, la fantasia, l’amore x la scoperta, e indurli a forza alle assurde regole della scuola e della societa’ che ci vuole tutti uniformati

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