Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

7. LE PAROLE DELL’AMICIZA

Era un mattino di settembre, uno di quei giorni che precedono la dolce stagione dell’autunno, quando aria e sole diventano carezze sulla pelle, e il cielo si tinge di radioso, intenso celeste.

Maddalena aspirava con piacere il profumo degli oleandri in fiore, delle matite nuove, dei quaderni ancora immacolati. Accarezzava l’astuccio colorato uguale allo zainetto, annusava i nuovi libri di testo con il loro inconfondibile odore di carta e stampa (sì, aveva un naso fine e un particolare trasporto per gli odori, che si trasformava in profonda avversione per la puzza!) e sfogliava il nuovo diario di barbie, naturalmente rosa confetto. Era eccitata per tutte quelle novità che segnavano l’inizio di una nuova avventura, e la magia si ripeteva ogni anno il primo giorno di scuola.

C’era qualcosa tuttavia che non cambiava mai e rendeva ancora più felice Maddalena: rivedere Sofia, la sua compagna di banco e migliore amica. Ogni estate era motivo di separazione per le bambine perché Sofia trascorreva tutte le vacanze nella sua casa al mare, ma quella che sembrava una dolorosa lontananza si trasformava nel piacere di scrivere lunghe e segretissime lettere. Sofia raccontava le divertenti avventure marinare e soprattutto parlava del “fidanzato”, quel bambino che poteva vedere solo due mesi l’anno, ma al quale aveva giurato eterno amore. Ricevere una nuova lettera dall’amica era per Maddalena il giorno più bello della settimana! Correva in camera sua e, con religiosa attenzione perché non si strappasse, apriva la busta. Leggeva più e più volte le parole scritte sulla carta azzurra profumata di lavanda, poi scriveva la risposta con la bella calligrafia tutta riccioli e svolazzi, avvolta nel delicato aroma di vaniglia della sua carta da lettere rosa.

Quando la campanella squillò, annunciando per aule e corridoi l’inizio delle lezioni, Sofia non era ancora arrivata. Maddalena continuava a fissare la porta, impaziente di rivedere la compagna; perché tardava tanto?

1BIMBA YAMANAUna ragazzina con le trecce nere e la pelle colore della terra bruciata entrò in aula per ultima. Andò incontro alla maestra, entrambe bisbigliarono qualcosa, la bambina annuì e s’incamminò verso la seconda fila di banchi. Maddalena guardava con gli occhi sgranati quella nuova arrivata che sembrava diretta al suo banco, e quando sedette accanto a lei, nel posto di Sofia, il cuore le fece un balzo in petto! Alzò lo sguardo sulla maestra, quasi a chiedere aiuto, ma l’insegnante ˗ semplicemente ˗ sorrise. Poi annunciò alla classe: «Vi presento Yakamala, è la vostra nuova compagna. Viene da molto lontano, da un paese bellissimo che si trova in un altro continente».

Maddalena ebbe la visione di oceani immensi che l’aereo di Yakamala aveva sorvolato prima di atterrare e portarla ˗ tra tutti i luoghi del mondo ˗ proprio lì, accanto a lei, nel suo banco! Che fine aveva fatto l’adorata Sofia?

Si girò verso quella straniera provando la sgradevole sensazione di essere costretta a un sorriso e qualche parola di benvenuto, ma riusciva solo a guardare i suoi grandi occhi scuri che brillavano di pagliuzze dorate. Anche Yakamala guardava Maddalena 3 BIMBA YAMANA TRISTE (1)senza parlare; poi, dopo interminabili istanti di silenzio, disse qualcosa nella sua lingua. Il disappunto di Maddalena e la sua delusione erano così forti che le veniva quasi da piangere. La nuova arrivata non solo parlava un idioma sconosciuto, ma aveva addosso anche uno strano odore e Maddalena era sensibilissima, come sappiamo, agli odori.

Nei giorni seguenti il malcontento di Maddalena non fece che aumentare perché si aggiunse la sensazione di subire un’ingiustizia: la maestra le aveva affidato Yakamala, era suo quindi il compito di aiutare la compagna quando non capiva qualcosa. Perché una simile sventura era toccata proprio a lei?

Passavano le settimane e Yakamala se ne stava sempre sola, in disparte. Nessuno giocava con quella ragazzina timida, forse perché era l’ultima arrivata in un gruppo già unito da quattro anni di amicizia, o forse perché nessuno riusciva a capire le sue parole, tanto incomprensibili non solo nel significato ma persino nel suono. Camminava sempre a testa bassa e bisbigliava appena le poche frasi italiane che aveva imparato.

Durante un compito di matematica, mentre Maddalena svolgeva il suo dovere di aiutare la compagna, vide brillare negli occhi di Yakamala una lacrima. La vide tremolare fra le ciglia e poi cadere pesante sul quaderno. Le parve più che pesante, le sembrò un macigno che bucava il foglio e il suo cuore. Ricordò tutte le volte che si era sentita lei stessa emarginata e sola, quando la mamma era costretta a lasciarla in custodia agli zii, persone sgradevoli che manifestavano affetto solo per i suoi fratelli maschi. Non aveva dimenticato il dolore delle sottili umiliazioni e la tristezza del rifiuto. Il buco nel cuore fece molto male in un primo momento, poi successe un fatto straordinario: si colmò d’amore. E si chiuse.

Aveva imparato, in quelle settimane, ad apprezzare l’odore sconosciuto di Yakamala: era zenzero e cannella. Ammirava i suoi disegni, pieni di colori e sfumature che evocavano sconfinati cieli azzurri e immense vallate, montagne di fuoco e laghi di cristallo; pensò che dovesse trattarsi davvero di un luogo meraviglioso la terra della sua nuova compagna di banco. Trovava graziosi i fiocchi intrecciati in modo originale tra i suoi nerissimi capelli, eleganti le movenze di quella bimba dalla pelle rosso scura, e dolce come musica la sua lingua. Si divertiva molto quando Yakamala tentava di spiegarle i significati di alcune parole nel suo antico idioma, usando la lingua dei gesti, ed era un mimo eccezionale. Un solo termine sembrava descrivere perfettamente l’intera gamma delle sottili emozioni che si provano in una determinata situazione, e a volte le situazioni e le sensazioni evocate erano diverse da quelle che normalmente provava Maddalena, perché le vite, le usanze e le terre delle due ragazzine erano profondamente diverse.

4) ANGIOLETTI BIANCO E NEROUn giorno Yakamala aveva raccontato a Maddalena che c’è una parola per descrivere cosa prova chi guarda un uccello spiccare il volo e sfrecciare lontano, contro il cielo infuocato del tramonto: l’anima dell’uomo avverte in quell’attimo un profondo struggimento, l’anelito a volare libera per tornare alla sua divina sorgente. Un’altra volta aveva mimato così bene la sensazione di sconvolgente immensità che provoca guardare per la prima volta giù da un grande canyon ˗ anche quella, racchiusa in una sola parola ˗ che quasi Maddalena aveva sentito le vertigini, come se fosse davvero lassù, sull’orlo del precipizio!

Maddalena aveva capito che molte parole non hanno traduzione e che non è sufficiente imparare la lingua dell’altro, bensì è importante penetrare nella sua cultura e nell’intimità del suo cuore. Quel giorno sentì che aveva cominciato a conoscere Yakamala, ad apprezzare il grande tesoro della sua diversità e a volerle bene.

Yakamala avvertì qualcosa di diverso nel silenzio di Maddalena, che la stava osservando. La bambina della Terra del Fuoco, così era chiamato il suo paese, alzò gli occhi sull’altra. Le due scolare si guardarono a lungo senza parlare, poi Yakamala disse: «Mamihlapinatapai».

«Come?» chiese Maddalena.

«Significa che io guardo te e tu guardi me, e tutte e due vogliamo fare qualcosa ma speriamo che lo faccia l’altro per primo» disse l’insegnante di sostegno linguistico previsto tre volte a settimana, il quale nel frattempo si era avvicinato alle bambine.

Maddalena pensò che non potesse esistere parola più bella per descrivere esattamente la situazione, e fece per prima ciò che desideravano fare entrambe: abbracciò forte Yakamala. E mentre l’altra ricambiava con calore quell’abbraccio, capirono insieme che l’amore non ha bisogno di parole perché è la lingua che possono parlare tutte le persone della terra. E chissà, forse anche gli abitanti di tutti gli altri pianeti sparpagliati nell’universo.

Grazia Catelli Siscar

 

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