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266. IL GUERRIERO E LE PRATICHE DI CONSAPEVOLEZZA

Alla parola meditazione sono state collegate ormai da tempo un mondo immaginario di suggestioni che hanno ottenuto un duplice effetto: collegare questa pratica a stati alterati di coscienza, stati trascendenti genericamente associati a parole come “illuminazione”, “samadhi”, “nirvana”, oppure considerare questa pratica uno strumento per ottenere la pace, il silenzio mentale e il distacco.

Non nego che la meditazione possa condurre a tutto ciò, ma non è certo questo il movente che può costituire la spinta a intraprendete tale percorso, perché ne altererebbe la spontaneità per mezzo di un desiderio di perfezione o comunque di ottenimento di risultati. Si entra così nel solito meccanismo mentale delle aspettative, delle richieste, dell’attaccamento al risultato.

Inoltre questa visione della meditazione allontana molte persone che non sono interessate al trascendente o a quella cosa equivoca che passa sotto il nome di spiritualità.

Per tale motivo preferisco sostituire la parola meditazione a quella di pratica di consapevolezza. Essere consapevoli di se stessi è il primo e fondamentale obiettivo da realizzare nella nostra vita poiché è proprio la consapevolezza ciò di cui siamo più carenti in questo periodo storico.

La Mindfulness è una pratica di consapevolezza orientata in maniera più specifica verso una condizione di consapevolezza di ciò che sta accadendo momento per momento, senza giudizio, ma come pura osservazione degli eventi interni ed esterni. Essa nasce come approccio completamente laico e accessibile anche a chi non ha nessuna intenzione di percorrere un cammino spirituale

Ma la consapevolezza, attraverso la pratica, si sviluppa sempre di più e spesso accade che anche il più materialista e disincantato meditante inizia ad avere una percezione più vasta e scopre in sé uno spazio accogliente e uno sguardo amorevole.

Certe qualità si sviluppano spontaneamente e naturalmente, come:

  • il non giudizio (essere imparziali di fronte alla nostra esperienza interna ed esterna)
  • la pazienza (le cose hanno il loro naturale tempo di maturazione)
  • la mente del principiante (guardare ogni cosa come se la vedessimo per la prima volta)
  • la fiducia (fidarsi della propria percezione e comprensione)
  • non cercare risultati (stare con quello che c’è senza aspettative)
  • l’accettazione (vedere e accettare le cose così come sono, anche se non ti piacciono, senza però perdere la capacità di discriminazione)
  • lasciare andare (coltivare il non attaccamento, la capacità di mollare la presa)

Questi sono i sette pilastri della pratica, così come li enuncia Jon Kabat-Zinn nel libro Vivere Momento Per Momento.

La condizione però che sostiene questo sviluppo è una pratica costante, quindi avere un intento forte e motivato che sostenga l’attenzione a sé e alla relazione.

Riuscire a vivere la vita consapevolmente è già un risultato molto speciale perché ci pone di fronte alle cose con un diverso atteggiamento, aperto, chiaro, vero. Spesso le cose non cambiano (le nostre preoccupazioni, le difficoltà, la sofferenza fisica ed emotiva) ma cambia il modo in cui ci rapportiamo a esse.

Di conseguenza la risposta degli eventi e delle persone si allinea e sintonizza con il nostro nuovo modo di essere.

Non c’è la necessità di inseguire nessuno stato di coscienza eccezionale, perché è la vita, nel suo quotidiano, che diventa eccezionale!

Roberto Maria Sassone

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