Il mondo dell’infanzia è tutto

In questa intervista, Manuela Racci ci parla della sua esperienza di educatrice e ci fornisce una panoramica sui conflitti infantili e sui problemi dei giovani, suggerendo anche gli strumenti più adatti per affrontarli.

– I conflitti infantili: quanto possono segnare una persona? 

Per l’esperienza avuta con i ragazzi che” hanno camminato” con me in questi 25 anni, e alla luce delle dinamiche analizzate dagli studi freudiani, ho purtroppo imparato che il mondo dell’infanzia è tutto. Secondo me, nel complesso edipico, a cui Freud dedica grande attenzione, c’è una grande verità, nel senso che tutto quello che capita nell’infanzia determina ciò che poi si dipanerà nella nostra vita futura.

L’ho visto anche su di me, come siano emersi alla coscienza un’immagine, un film o una esperienza che avevo rimosso… ma che erano tutti lì, nell’infanzia. Freud la definisce caput Nili, l’origine del Nilo, cioè il punto da cui parte tutto. La chiave per comprendere i nostri meccanismi, le difese, i malesseri, insomma il nostro inconscio è nell’infanzia, dalla nascita fino ai 4/5 anni almeno. L’infanzia inevitabilmente determina quella che sarà la stabilità psichica o meno dell’individuo. Quanto ai conflitti, i rapporti con i genitori ed in genere quelli parentali, sono fondamentali nel determinare l’affettività, la capacità di amare, e il tipo di apertura nei riguardi della sfera sessuale. L’aggressività nei ragazzi, come anche i tic etc, sono frutto di rimozioni, cioè di qualcosa che il bambino ha praticamente rimosso per non soffrire, ma che sono in azione e pian piano emergono, bussando alla porta dell’io consapevole, e in questo modo nascono le malattie.

In questi 25 anni di insegnamento, ho purtroppo riscontrato un aumento di questi malesseri. Alcuni ragazzini assumono psicofarmaci o soffrono già diattacchi di panico. I miei alunni vanno dai 15 ai 19 anni ma so che alcuni soffrono di depressione e di solitudine già dalle scuole medie. E se vai a scavare ti rendi conto che spesso alle spalle c’è una situazione familiare instabile o, comunque, un cattivo rapporto con i genitori.

– Nella tua esperienza, quali sono gli strumenti per affrontare o superare un conflitto infantile? 

A scuola abbiamo attivato il CIC, un centro di accoglienza dove una o due volte alla settimana i ragazzi possono incontrare degli psicologi che offrono il loro servizio gratuitamente. Con loro, gli alunni possono confidarsi e spesso ne hanno proprio bisogno. Consiglierei a tutti di andare oltre il pregiudizio secondo il quale chi va dallo “strizzacervelli” è “pazzo”, è necessaria invece un po’ dipsicoterapia, per indurre i giovani a parlare, ad aprirsi…come altrettanto necessario diventa l’atto dell’ascolto… Credo nel metodo della psicoanalisi e della libera associazione. Non di meno, uno strumento straordinario e salvifico è la scrittura, attraverso cui si entra davvero nei cantieri dell’anima; certo che poi occorre anche anche la sensibilità del docente pronta a comprendere come dietro un certo pensiero si annidi una potenziale chiave per comunicare con il ragazzo.

In genere, tutelerei proprio l’attività degli psicologi. Andare dallo psicologo non è ancora accettato e può risultare a volte traumatico, noi insegnanti e genitori dovremmo favorire questo incontro. Ritengo che sarebbe auspicabile l’istituzione di corsi di psicologia con valore formativo volti agli stessi insegnanti… Abbiamo a che fare con la materia umana più preziosa! I giovani devono poter parlare, e usare lo strumento della scrittura che è salvifico, che scava nel profondo.

Credo anche nella biblioterapia. Occorre educare alla lettura, consigliare dei libri in modo che si possano sciogliere dei blocchi, prendendosi così cura di se stessi… E’ un’alta operazione di strutturazione e ri-strutturazine del proprio sè… ciò è consigliato anche dagli stessi medici nei reparti di disagio mentale: si comincia a parlare di biblioterapia cioè curare attraverso il libro. Il libro ha un potere quasi omeopatico di somministrazione quotidiana nello sciogliere i nodi della mente.

Quindi, occorre ascoltare i ragazzi, farli parlare, usare lo strumento della psicoanalisi e quello della scrittura e, nondimeno, amarli. Non è assolutamente retorico, bisogna amarli; il loro bisogno di amore è quasi fisiologico. Non è facile fare l’insegnante, il genitore, l’educatore, perché bisogna essere pronti, strutturati. Diversamente, si rischia di fare dei danni. Ad esempio, di fronte al dolente fenomeno del bullismo, alcuni reagiscono con il “pugno di ferro”, con la punizione e la coercizione, purtroppo oggigiorno non funziona. Bisognerebbe cercare veramente di capire e andare oltre, con amore e pazienza. Credo molto nel potere della parola e del dialogo, e in quello della testimonianza che dice “ci sono, sono qui vicino”. Occorre fornire dei modelli e degli esempi.

I miei alunni mi raccontano anche dei loro disagi in casa e della mancanza di comunicazione… le mamme sono spesso stanche, arrabbiate, frustrate. Un giorno un ragazzo mi ha detto “Prof, ma possibile che quando arrivo a casa e voglio parlare…” – e lo dice anche mia figlia ogni tanto con me – “…mia madre deve fare da mangiare e non mi guarda, ho bisogno che mi guardi mentre le parlo, ma lei dice ‘parla, parla pure'”. Hanno bisogno dello sguardo, di qualcuno che si fermi , si metta a sedere, e dica “adesso ti ascolto”….hanno fame di coerenza e attenzione….

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