Stress: alcune sfaccettature

Lo stress si presenta in molte forme e può essere estremamente deleterio, eppure si tratta di un invito a esprimere il malessere piuttosto che a trattenerlo, e a considerare le proprie esigenze più reali.

Da molto tempo la parola stress è diventata di uso comune, raccogliendo un’infinità di sensazioni, emozioni, pensieri, situazioni, esperienze, idee, modi di vivere, modi di fare, pensare, e modi di soffrire.
Dire “Che stress”, “Mi stai stressando”, “Questo lavoro è troppo stressante”, la dice lunga su ciò che la persona sta vivendo. Sembra strano come questa parola inquadri immediatamente una condizione psico-fisico-emotiva. Poi se si ha un antidoto allo stress… è tutto da vedere.

A volte si usa dire che stress per fermare una situazione che ci colpisce, a volte per lamentarci di una stanchezza estrema, a volte per ribattere rispetto al modo di comunicare di un interlocutore. Persino un bambino di 4, 5 anni può dire al suo papà “Mi stai stressando”, e il genitore o risponde in un modo severo, o tace perché si vede nella parte dello “stressore”, cioè della persona stressante.

La situazione più pericolosa è proprio quando non si usa questa espressione, mentre ci si trova al limite della fatica psicologica per lavori vari, massacranti, per un rapporto destabilizzante, per una vita familiare con litigi e pretese, per una noia “mortale”, per essere sempre nello stesso modo, vivere una vita senza stimoli, senza cambiare i propri difetti che puntualmente provocano malesseri, disagi… Anche nel lavoro, spesso, non si ha il coraggio di ammettere di essere arrivati al limite, magari per un riguardo ad altri che stanno peggio di noi.

Una signora raccontava di non poterne più del suo lavoro di accompagnamento dei malati in fin di vita al pronto soccorso. L’incontro con la morte, il seguire, ormai con un senso evidente di impotenza, ciò che non poteva evitare, le procurava malessere e stress. Un uomo si era molto stressato lavorando con malati cronici, dove dava assistenza senza vedere miglioramenti. Oppure si arriva al limite perché non si riesce a stare dietro a tutto, o si subisce mobbing!

Tante sono le situazioni che mettono alla prova la resistenza psicofisica, emotiva delle persone. L’essere umano ha una tendenza innata verso la combattività, la competitività, la sfida, la trasgressione, la dimostrazione delle proprie capacità, il bisogno d’amore, la vendetta, le paure… etc. Tutto questo attiva il fare, la resistenza e la sopportazione di programmi faticosi, anche creati da se stessi.

Una signora era riuscita a fare una carriera importante arrivando ai massimi livelli in azienda, e poi all’età di 45 anni aveva sentito il bisogno di lasciare tutto. Per prepararsi a questo cambiamento iniziava un’analisi e, dopo qualche colloquio, lei stessa capiva che tutta la sua carriera era servita per dimostrare al padre il suo valore, un padre che l’aveva svalutata sin da piccola. Raggiunto il suo scopo si era sentita di essere arrivata a un traguardo. Si preoccupava però del suo futuro, dei suoi stati d’animo. Non capiva se il suo desiderio di lasciare era dovuto anche al grande stress per questo impegno. Solo grazie ai colloqui si era resa conto di quale era stato il suo motore.

Si sentiva un po’ disorientata nel pensare ai 18 anni di impegno e di carriera per dimostrare un valore… certo, quel valore lo aveva anche prima, ma solo con il “linguaggio” di una carriera da economista, lo stesso “linguaggio” del padre, aveva potuto dimostrare ciò che lui non poteva più negare. Magari il padre neanche si era accorto di essere stato così svalutante, anche se negli ultimi anni elogiava la riuscita della figlia! E lei ora si chiedeva: se non avesse avuto quella motivazione, avrebbe scelto quel lavoro, e avrebbe fatto carriera? Non sapeva rispondere, ed era anche molto perplessa di scoprirsi in una fase diversa della sua vita. Riprogrammarsi… era comunque fiduciosa… Per sua fortuna era riuscita ad arrivare dove voleva e ne era contenta.

Ci sono però tanti casi di persone che si trovano nella stessa situazione di partenza e che crollano cammin facendo, stravolti dallo stress, anche solo del proprio modo di fare, costrittivo e dimostrativo, senza considerare se stessi. Certo ci si può fermare se lo stress raggiunge un livello tale per cui il corpo con una stanchezza cronica o una malattia dice basta. E così si ha un’occasione per riprogrammarsi, magari con l’aiuto di qualcuno, altrimenti si rimane incastrati, in una lunga malattia o in un disinvestimento dalla vita, pessimisti o depressi.

Le fasi di stress sono in progressione e dipendono da quanto un individuo è sottomesso a una situazione, da quanto si sente incapace di cambiare, una specie di morte psicologica in combattimento. Sembra che il senso di inferiorità, l’accanimento come sfida alle necessità economiche, il bisogno di iperattivazione, siano alcune delle situazioni soggettive che portano l’individuo a stare in una situazione di stress, oltre misura, oltre il limite. Sono proprio sintomi, a volte solo psicologici, malumori, depressione e senso di insoddisfazione, ad avvertirci che qualcosa non va. Il sintomo nel caso estremo porta ad uno stress per un esaurimento delle forze, non c’è più possibilità di andare avanti. Ci si può ammalare anche gravemente.

Ogni tanto serve fare un punto sul senso della propria vita: se è come vogliamo, dove possiamo modificare, saper chiedere aiuto, verbalizzare. Molte persone fanno fatica anche solo a parlare di sé, non riescono a dire cosa provano, non lo hanno mai fatto, si limitano a raccontare i fatti della giornata, parlano del tempo e di altre cose della quotidianità, poi tutto il resto non esiste: se non se ne parla sembra non ci sia. Infatti non parlare di qualcosa è un modo per rimuovere per non pensare. Ma è poi vero che è così? Tutto rimane dentro e a lungo andare diventa malessere esplicito. C’è un momento in cui si deve riuscire a parlare, gridare, lasciar venire fuori le emozioni, insieme ai pensieri, poi si scopre che tutto sommato le conseguenze non sono drammatiche, anzi ci si rende conto, noi e gli altri, di ciò che non viene visto, perché non si parla, non si ha il coraggio o si sminuisce l’importanza.

Invece è molto chiarificatore parlare, raccontare e lasciar fluire le emozioni. Cercare aiuto e riuscire a raccontare sono atti di fiducia e di considerazione di sé. Anche le situazioni più stressanti possono cambiare, ridimensionarsi e diminuire la “carica” di malessere per diventare occasioni di slancio verso un futuro migliore..

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