Che cos’è la Tfilà (Preghiera) nella Kabbalah?

Che cos'è la Tfilà (Preghiera) nella Kabbalah?

Nella Kabbalah, la preghiera è diretta espressione delle emozioni divine che albergano nel cuore dell’uomo… e rappresenta una misura del suo rapporto con il Creatore stesso.

Tfilà vuol dire il rapporto verso il Creatore. E’ ciò che in questo momento l’uomo sente verso la Forza Superiore che lo conduce. L’uomo, volente o nolente, si rapporta sempre al Creatore dal punto più interiore del cuore. Anche se non crede all’esistenza del Creatore, e non Lo percepisce, il cuore di ogni creatura riceve i riempimenti che sente esclusivamente dalla sorgente. Il che equivale a dire, che l’uomo sente sempre il Creatore.

Perché il rapporto verso il Creatore si chiama Tfilà?

Tutte le emozioni che l’uomo sente nel cuore, sorgono dal Creatore, e perciò la sensazione che egli ha nel cuore non viene considerata una preghiera. La Tfilà è l’appello dell’uomo al Creatore, e infatti la parola ebraica “Tfilà” viene dalla radice “palal” che significa “incolparsi”, cioè giudicare me stesso rispetto al tipo di connessione che ho con la sorgente delle mie sensazioni – il Creatore. E dato che l’origine delle sensazioni dell’uomo è il “Buono e benefattore” (Tov umeitiv), ecco che nella preghiera l’uomo esprimerà la differenza tra la propria sensazione e il “Buono e benefattore”. Così l’uomo scopre quanto è guasto il suo cuore. La preghiera è la percezione della differenza tra l’uomo e il Creatore.

In altre parole, se l’uomo misurasse la differenza tra ciò che il Creatore influenza nel cuore, e ciò che il cuore sente, e come poi egli reagisca, (l’uomo) si accorgerebbe quanto è degradato. Poiché se l’uomo fosse corretto al cento per cento, percepirebbe il “Buono e benefattore” al cento per cento. E più la sua sensazione sarà opposta a ciò, più testimonierà la misura della sua degradazione.

E non è solo su questo che ciò testimonia, ma anche sulla posizione dell’uomo. Dal momento che il Creatore “Buono e benefattore” dona all’uomo in tutti i 620 canali, l’uomo sa in quali dei canali percepisce di più o di meno, e in quali sente bene o male.
Se l’uomo ha un quadro generale dell’anima, vede e percepisce tutto. A ogni gradino egli sa dove si trovi e quale sia il quadro dello stato finale, che gli mostra la differenza tra il suo stato corretto e il suo stato attuale.
Tutte le cose sulla cui base l’uomo giudica il suo rapporto verso il Creatore – il loro completo insieme si chiama Tfilà – Preghiera”.

La Tfilà erompe dal cuore dell’uomo come conseguenza delle sue sensazioni. La Tfilà deve erompere dalla profondità del cuore prima ancora che l’uomo cominci a controllare con la mente la sensazione del cuore – prima ancora che egli cominci a comprenderla e a pensarvi.
E’ la sensazione latente nel cuore, prima ancora che l’uomo provi a controllarla, che si chiama “Tfilà“.

Ma se la preghiera anticipa il controllo dell’uomo, come mai all’uomo è stato detto di pregare, di raggiungere lo stato di “Tfilà”, come se la preghiera dipendesse dai suoi sforzi o dalla sua libera scelta?

La risposta è che l’uomo deve raggiungere il desiderio che si chiama Tfilà tramite vari tipi di azioni e mezzi che conducono al desiderio giusto. La preghiera è il riassunto, è il risultato, oramai esistente, delle preparazioni che l’uomo ha svolto. E allora, ogni volta che prega, quando sente nel cuore una certa relazione con il Creatore, allora la sua preghiera al Creatore è sempre nuova.

Quali elementi della preghiera possono essere sotto il controllo dell’uomo?

E’ scritto: “Iagati umatzati” (Faticavo e avevo trovato). Lo sforzo è sotto il controllo dell’uomo, mentre il risultato non lo è. Come mai? Perché noi svolgiamo il lavoro sulla nostra anima anche quando non ne conosciamo la struttura e le vie di sviluppo. L’uomo deve solamente fare del suo meglio e sforzarsi, dedicandosi sia in quantità che in qualità rispetto allo sforzo; e non preoccupandosi dei risultati, della strada e delle situazioni che dovrebbe attraversare, né del ritmo del suo progresso e né della sua forma finale. Poiché non solo l’uomo non può conoscere la propria forma finale, ma anche ad ogni innalzamento in uno stato nuovo, egli non sa dove finirà. Questo avviene perché all’uomo si rivela ogni volta una parte nuova della propria anima, che prima invece gli era nascosta. Perciò, nell’elevazione spirituale lo sforzo deve essere diretto oltre la ragione, cioè all’opposto della nostra ragione nel suo stato attuale – all’opposto di ciò che pensiamo e comprendiamo.

Che cos’é la “Tfilà totale”?

L’uomo arriva allo stato di “Tfilà totale”, se il suo cuore è in assoluto accordo con il Creatore, e allora tra lui e il Creatore non c’è alcuna cosa che degradi la percezione del “Buono e benefattore”. Ne consegue, che la sua preghiera sarà identica a quella scritta nel “Sidur” (il libro delle preghiere), o con ciò che è scritto nella parte dodicesima dello “Studio dei Dieci Sfirot”.


Fonte:
Dal libro “Discorsi sui gradini della Scala”, Volume A
Discorso sull’articolo “Che significa la metà dello Shekel nel Lavoro?”
www.kabbalah.info/it/Testi_Autentici/La_Tfila.htm

Approfondimenti:
www.kabbalah.info.

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