Io-Governo

Io-Governo

Molti credono di conoscere se stessi a livello razionale eppure non riescono a cambiare. In realtà la conoscenza che si crede di possedere è del tutto inadeguata. Non si tratta di vera conoscenza e comprensione di sé, ma di un “racconto che si fa a se stessi” per giustificare la propria situazione. Il cambiamento accade, invece, quando il nostro “Io-governo” – il centro del nostro paese interiore – comincia a dirigere la nostra vita con saggezza ed equilibrio, senza cedere alle pressioni e ai ricatti delle parti infantili o distruttive.


Il mondo influisce su di noi. Ma non è il mondo a determinare ciò che siamo. Già gli stoici dicevano: non sono i fatti, ma come noi reagiamo ai fatti a influenzare la nostra vita.

Se fossimo determinati dal nostro passato, dalla nostra famiglia, dal rapporto con i genitori, dai traumi infantili; se fossimo privi di libertà nel dare significato e quindi valore a ciò che ci è accaduto, il lavoro personale per migliorare il proprio carattere e liberarsi dalla sofferenza nevrotica, sarebbe impossibile e inutile. Molte persone, consciamente o inconsciamente, pensano proprio questo.

In realtà, noi siamo il modo in cui percepiamo noi stessi. Noi siamo la storia che raccontiamo di noi stessi. Attraverso il modo in cui ci raccontiamo, noi creiamo le persone che siamo, come un autore crea i suoi personaggi. Così possiamo fare di noi una persona realizzata e contenta, oppure un disgraziato e un infelice.  Dipende da dove puntiamo la nostra attenzione, a che cosa diamo importanza, a come leggiamo i nostri sentimenti ed emozioni

Ma chi prende questo genere di decisioni. Chi è il soggetto, chi è l’autore? Dopo la psicoanalisi, siamo abituati a pensare che l’io abbia un potere piuttosto limitato. D’accordo, non ci crediamo più determinati dal mondo esterno, dai fatti reali o dal malocchio, ma siamo in gran parte determinati dal nostro inconscio. Bella fregatura: finché non conosciamo l’inconosciuto, siamo sotto il suo dominio. Cioè non siamo liberi.

La psicoanalisi, come metodo elettivo per conoscere l’inconscio, è decisamente un metodo lungo e costoso. E spesso i risultati non sono all’altezza delle aspettative. Così ho sentito dire a non pochi terapeuti che la ricerca della felicità non ha un gran senso: ciò a cui possiamo aspirare è soltanto una sostenibile infelicità. Insomma, come esseri umani civilizzati, non sembra abbiamo troppo di che rallegrarci.

La psicoanalisi e la psicoterapia sono nate in occidente, e sono figlie del nostro peculiare modo di vedere il mondo. In oriente la psicologia si è sviluppata in tutt’altra direzione, perché diversa è la visione di fondo. In India la ricerca del sé è considerata tradizionalmente la pratica di vita più importante. Da noi è considerata solo una seccatura a cui sottoporsi quando si sta male e si sviluppano dei sintomi.

Oggi i tempi sono maturi per far dialogare tra loro queste visioni e queste differenti pratiche: le prime rivolte a rimestare nell’inconscio inferiore per liberarsi dai conflitti; le seconde a realizzare i contenuti dell’inconscio superiore.

L’Io-governo, inteso come principale motore e artefice della personalità, può esser considerato un concetto ponte che consente un dialogo proficuo tra le due visioni.

Che cosa intendiamo per Io-governo?

La dott.ssa Angela Bottani sintetizza, in termini di “politica governativa”, il rapporto tra la corteccia e le altre parti del cervello:

L’uomo è unione di corpo e spirito, quindi la corteccia deve governare con giustizia, cioè in armonia con i messaggi sottocorticali.
Non deve essere un dittatore perché altrimenti il corpo denuncia col dolore o con la malattia le imposizioni.
Non deve abdicare al governo dei molti centri sottostanti che mancano di collegamenti fra loro perché ancora insorge la malattia.
Non deve rifiutare, allontanare dalle sue attenzioni una parte ammalata perché questa stenterebbe a guarire.
La salute è armonia tra la parte corticale e la parte vegetativa, tra lo spirito e il corpo. Imparare a conoscere il nostro corpo è fondamentale per realizzare questa armonia.

La corteccia, e in particolare i lobi frontali, hanno il compito di governare, coordinare e dirigere le altre parti del cervello. D’accordo, questo per quanto riguarda la base fisiologica. Ma in che cosa consiste l’Io, in che modo lo percepiamo come fenomeno, dal momento che di solito in esso ci identifichiamo? Possiamo cioè osservare l’Io mentre a sua volta osserva il mondo esterno e quello interno?

Nella psicologia asiatica, non ci sono dubbi in proposito: l’io può essere osservato da una posizione neutrale, una sorta di testimone interiore al di sopra dell’io, che a differenza dell’Io-Ego, è privo di attaccamenti e avversioni. Un testimone che viene allenato dalla pratica della meditazione, e che alla fine conduce a riconoscere l’illusorietà dell’io stesso come dato permanente.

E in occidente, come viene considerato il problema della coscienza e della consapevolezza di sé?
Proprio in questi giorni sto leggendo uno splendido saggio di Douglas Hofstadter, Anelli nell’io. Fisico, matematico, filosofo, è uno degli studiosi che, come Daniel Dennett, può essere considerato uno degli autori più originali, in grado di coniugare specialismo e ampiezza di vedute rispetto al tema dell’io e della coscienza.

Dice Hofstadter, rispetto alla “struttura dell’io”:

Gli strati “esterni” del sé consistono di moltissimi puntatori che puntano principalmente ad aspetti universali standard del mondo (per esempio, pioggia, gelato, rondini, ecc.); gli strati “intermedi” del sé consistono di puntatori tesi verso cose più legate al vissuto personale di una persona (per esempio, i visi e le voci dei genitori, la musica che si ama, la via dove si è cresciuti, gli animali di casa amati durante l’infanzia, i libri e i film preferiti, e molte altre cose profonde); e poi c’è il sancta sanctorum, costituito da un immane groviglio di puntatori tesi verso cose profonde “indessicali”, come le proprie insicurezze, le proprie sensazioni sessuali, le proprie paure più forti, i propri amori più grandi, e moltissime altre cose che non sono in grado di indicare con precisione.

Tutto questo è molto vago, e vuole suggerire solo un genere di immagine dove gli strati più esterni hanno soprattutto frecce puntate verso l’esterno, gli strati intermedi hanno un misto di frecce puntate verso l’esterno e verso l’interno, e il nucleo più intimo ha miriadi di frecce puntate all’indietro verso se stessi. Il Paese degli Strani Anelli – pieno di sguardi sé-ducenti.

E’ questa qualità del nucleo più interno ad essere profondamente “girato su se stesso” che, suppongo, ne rende così difficile il trasporto altrove, che rende l’anima così radicalmente, direi irrevocabilmente, legata a un unico singolo corpo, a un unico singolo cervello. Ovviamente gli strati esterni si possono trasportare con relativa facilità, a causa della scarsità di puntatori verso l’interno, e gli strati intermedi sono relativamente facili da  trasportare.

Rispetto alle differenze tra persone, che possono rendere difficile la comprensione reciproca, Hofstadter commenta:

In una persona ci sono aspetti più superficiali e aspetti più profondi, e i più profondi sono ciò che infonde significato autentico a quelli più superficiali…

Quello che è davvero importante per la reciproca comprensione tra due persone sono cose come avere reazioni simili alla musica (non solo preferenze condivise ma anche avversioni condivise), avere reazioni simili alle persone (di nuovo, sia simpatie che antipatie), avere livelli simili di empatia, onestà, pazienza, inclinazione all’essere sentimentali, audacia, ambizione, competitività, e così via. Questi elementi costitutivi centrali di personalità, carattere, e temperamento sono decisivi per una comprensione reciproca.

Consideriamo, per esempio, la devastante esperienza di sentirsi costantemente inferiori agli altri. Alcuni conoscono a fondo questa sensazione, altri non la conoscono affatto. Una persona con enormi riserve di fiducia in sé stessa semplicemente non sarà mai in grado di sentire che cosa si prova a essere paralizzati dalla mancanza di sicurezza – proprio “non ci arriva”. Sono gli aspetti di questo tipo, gli aspetti più intimi di un’anima (al contrario di elementi relativamente più oggettivi e trasferibili, come nazioni visitate, romanzi letti, piatti che si sanno cucinare, fatti storici conosciuti, ecc.) che portano alla sua unicità (p. 286).

E ancora sull’empatia:

“Essere” qualcun altro in maniera profonda non significa semplicemente condividere la sua visione intellettuale del mondo e sentirsi radicati nei luoghi e nei tempi che l’hanno plasmato nel suo processo di crescita; è molto più di questo. E’ adottare i suoi valori, avere i suoi desideri, vivere le sue speranze, sentire i suoi struggimenti, condividere i suoi sogni, rabbrividire ai suoi spaventi, partecipare alla sua vita, fondersi con la sua anima (p. 299).

Per un fisico e un matematico, quindi certamente per una persona che ha una forte tipologia thinker, non è male come manifestaizone di feeler! (Thinker e feeler sono distinzioni che appartengono ai tipi junghiani). Concludo con un’ultima citazione, in cui Hofstadter recupera parte della sua componente thinker:

Con intensità variabile, noi esseri umani viviamo già all’interno di altri esseri umani, anche in un mondo completamente privo di tecnologia. La compenetrazione delle anime è una conseguenza inevitabile di quelle macchine rappresentazionali universali che sono i  nostri cervelli. Questo è il vero significato della parola “empatia”.

Io sono in grado di essere altre persone, anche se è soltanto una versione “di classe economica” dell’atto di essere, anche se sono ben lontano dall’essere quelle persone con la piena intensità e profondità con cui esse sono se stesse. Ho la fortuna – almeno di solito la considero una fortuna, anche se a volte ho qualche dubbio – di avere sempre la possibilità di ritirarmi e tornare ad essere “soltano me”, perché c’è soltanto un unico sé primario che risiede nel mio cervello.

Se invece nel mio cervello ci fossero alcuni sé molto potenti, tutti in competizione tra loro per avere la supremazia, allora il significato della parola “io” sarebbe davvero alla mercé del miglior offerente (p. 322).

Nelle parole di Hofstadter, ha senso parlare di “Io” solo se non ci sono altri sé molto potenti, tutti in competizione tra loro. Altrimenti, in termini di PNL umanistica, diciamo che manca un Io-governo. Oppure che è fortemente contaminato. Il paese interiore rimane così in balia di fazioni e piccoli tiranni che scorribandano sul territorio. La popolazione non può certo sentirsi al sicuro, esposta come è ad ogni forma di sopruso e razzia.

Alcune persone che vanno in terapia si trovano in questa situazione: la forma di organizzazione politica in cui vivono è l’anarchia. Esse credono che sintomi e problemi siano causati dai loro tiranni interiori, o dalle loro parti spaventate, confuse, arrabbiate, tristi. Sono convinte che i loro guai derivano dal passato, dalla loro storia personale, di solito costellata di situazioni difficili, di traumi emotivi, di relazioni con figure genitoriali distruttive. In altri termini, quasi tutte sono convinte che la sofferenza dipenda dalla nevrosi storica. E solo su quella sono disposte a lavorare. Il senso comune è in gran parte intriso dell’idea, di origine psicoanalitica, che per guarire dalla nevrosi, occorra lavorare sul passato. Idea non certo errata, ma parziale e talvolta fuorviante.

La psicologia asiatica e i modelli terapeutici più recenti concordano sull’importanza di lavorare sul qui ed ora, cioè sulla nevrosi attuale, quella che manteniamo in piedi attraverso i comportamenti verbali e non verbali di adesso. Soprattutto di quelli messi in atto o comunque avvallati dall’Io-governo.

Diventare consapevoli dei propri pensieri, convinzioni, decisioni, emozioni che guidano la nostra esistenza, è un passaggio necessario per poter cambiare quelli disfunzionali. Altrettanto importante è diventare consapevoli di come noi raccontiamo la nostra storia, presentiamo noi stessi, creiamo il personaggio che agiamo sul palcoscenico della vita.

Molti credono di conoscere se stessi a livello razionale, ma di non riuscire a cambiare lo stesso. Non è così: la conoscenza che si crede di possedere è del tutto inadeguata. Non si tratta di vera conoscenza e comprensione di sé, ma di un racconto che si fa a se stessi per giustificare la propria situazione.

L’autoanalisi e la riflessione attraverso la scrittura, sotto la guida di un terapeuta o di un counselor, è un passaggio molto importante in questo cammino. Scrivere è un’azione diversa dal pensare. I pensieri corrono veloci e svaniscono in un lampo; possiamo ritornare sugli stessi pensieri distruttivi mille volte senza neppure accorgercene. La scrittura obbliga a rallentare il processo di pensiero; consente di definire i pensieri chiaramente tornandoci sopra più volte. La scrittura attiva le zone più recenti del nostro cervello, che per funzionare bene hanno bisogno di tempi più lunghi rispetto agli automatismi tipici delle zone più primitive.

Un paese esce da una crisi quando ha un buon governo, in grado di valorizzare le risorse e tenere a bada le forze antisociali ed eversive che ancora si aggirano sul territorio. La nevrosi personale si scioglie quando si diventa leader di sé, cioè quando l’Io-governo comincia a dirigere la nostra vita con saggezza ed equilibrio, senza cedere alle pressioni e ai ricatti delle parti infantili o distruttive.

La sofferenza si scioglie quando l’autoeducazione diventa parte essenziale della politica dell’io.

Mauro Scardovelli
Fonte: http://www.mauroscardovelli.com .

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