La scienza della meditazione

Da diversi anni oramai l’indagine delle neuroscienze nell’ambito della meditazione sembra offrire un ponte tra scienza e spiritualità, come lo stesso Dalai Lama ama sottolineare. In merito, riportiamo questo interessante e sempre attuale articolo di Rasoul Sorkhabi.

Gli effetti della meditazione sulla salute del corpo e della mente. Confronto tra Dalai Lama e neuroscienziati.

La meditazione non è una scienza. Non lo è nello scopo, né nella pratica. Chi medita lo fa perché ritiene sia una pratica utile, non certo per fare un esperimento scientifico. Il mistero della meditazione non può essere espresso ne tanto meno analizzato e spiegato da scienziati.

Quello che si sperimenta durante una seduta di meditazione, così come accade per una composizione musicale o un momento d’amore, può essere solo provato per esperienza diretta. Ciononostante gli effetti della meditazione sul corpo e la mente possono essere indagati dalla scienza. Questo è ciò che potremmo chiamare la “Scienza della Meditazione”, definizione che, per quanto possa sembrare assolutamente ovvia, è per molti un’affermazione azzardata perché non tutti gli scienziati ritengono utile parlare con monaci, monache e mistici.

Per fortuna, le cose stanno lentamente cambiando e oggi sempre più medici, neurologi e psicologi si confrontano con gli esperti in materia di spiritualità. Un momento molto positivo di questo dialogo tra scienza e meditazione si è svolto durante la “Conferenza sugli studi della mente: la scienza e le applicazioni cliniche della meditazione” […] tenuta dal Dalai Lama a Washington DC.

Le pratiche meditative sono onorate da molto tempo in Oriente, come dimostrano le statue, risalenti a 4.000 anni fa, raffiguranti un personaggio seduto a gambe incrociate in meditazione ritrovate nella Valle dell’Indo. Da sempre, gli insegnamenti indù, buddisti e jainisti, sviluppati in India, danno grande valore alle pratiche meditative come percorso per la pace della mente, l’etica del comportamento, la salvezza dalle sofferenze e la comprensione della verità.

Il buddismo in particolare ha sviluppato un elaborato corpo di conoscenze psicologiche anche grazie all’arricchimento ricevuto in seguito alla sua diffusione in altri paesi asiatici, dal vicino Sri Lanka fino al Giappone dell’Estremo Oriente, e anche perché si è concentrato sullo sviluppo della mente umana piuttosto che filosofeggiare e glorificare un dio creatore. Ciononostante solo da poche decadi la scienza sta prestando la dovuta attenzione a questa elaborata psicologia nata 2.500 anni fa.

Alan Wallace, noto studioso di buddismo tibetano, intervenuto alla conferenza di Washington del 2005, ha sottolineato come la prima area d’investigazione della ricerca scientifica nell’Europa del XVI secolo non è stata la mente umana, ma i pianeti e le stelle, insomma gli oggetti più distanti dall’uomo, mentre la scienza moderna si è concentrata a lungo sullo studio di strumenti scientifici, esperimenti di laboratorio, matematica, fisica e pensiero razionale per studiare il mondo fisico, tant’è vero che tra lo sviluppo dell’astronomia e quello della psicologia vi è un ritardo di circa tre secoli.

Anche quando, all’inizio del ‘900, la psicologia è stata riconosciuta come scienza, la scuola di pensiero dominante fu per decenni il comportamentalismo, quindi la comprensione del comportamento, piuttosto che lo studio della coscienza umana e della natura dei processi mentali.

Una tappa importante del processo di dialogo tra scienziati ed esperti di buddismo, è stata sicuramente la “Conferenza su mente e vita”, svoltasi nel 1987 a Dharamsala, la città indiana dove vive in esilio il Dalai Lama. Negli anni seguenti, quell’incontro è cresciuto d’importanza fino a diventare un appuntamento internazionale che ogni anni coinvolge un gran numero di scienziati. L’incontro di Washington del 2005 è stata la tredicesima edizione del simposio e la seconda aperta al pubblico.

Durante il volo con cui mi recavo all’incontro, ho iniziato a leggere A User’s Guide to the Brain (Guida al cervello per l’utente, N.d.T.) di John Ratey, che scrive: “Il cervello non è un computer che esegue semplicemente programmi geneticamente predeterminati, né un vegetale passivo vittima delle influenze ambientali che lo condizionano. Geni e ambiente interagiscono modificando continuamente il nostro cervello dal momento in cui siamo concepiti fino al momento in cui moriamo. E noi, i proprietari (per quanto ce lo consentono i nostri geni) di questo cervello, possiamo modificare attivamente il modo in cui si sviluppano i nostri corpi per tutto il corso della vita”.

Per tre giorni, dall’8 al 10 novembre, io e migliaia di medici e studenti di meditazione abbiamo appreso i risultati delle ultime ricerche presentati da vari operatori, dove si dimostrava in che modo la meditazione influenza positivamente, attraverso un’azione sul cervello, la salute mentale e fisica dell’uomo. In particolare, sono rimasto colpito da tre aspetti discussi durante la conferenza che riguardavano la neuroplasticità, la sincronizzazione neurale e la terapia basata sulla “Attenzione consapevole”.

Neuroplasticità

Il cervello è composto da circa cento miliardi di neuroni o cellule celebrali, che sono in costante comunicazione l’una con l’altra attraverso impulsi elettrici e l’azione di alcune sostanze chimiche, note come neurotrasmettitori. Il cervello però non è una “macchina muscolare” predisposta per eseguire compiti e comportamenti fissi. Ricerche ed osservazioni recenti hanno dimostrato che esso è più plastico di quello che si riteneva fino a qualche anno fa, tanto da assegnare compiti in precedenza eseguiti da un certo gruppo di cellule, poi danneggiate, a un nuovo gruppo di neuroni sani.

Alcuni studi recenti indicano anche che il cervello può produrre nuovi neuroni dalle cellule staminali. “Grazie proprio a questa plasticità – ha sottolineato il dottor Richard Davidson della University of Wisconsin nel suo intervento alla conferenza – virtù come la compassione o il perdono possono essere apprese attraverso l’allenamento mentale”.

E sempre Davidson ha rimarcato come le cure dei genitori, la musica, l’esercizio fisico e la meditazione giochino ruoli chiave nella regolazione delle nostre emozioni. L’allenamento della mente (lo-jong in tibetano) è il fondamento del sentiero buddista e le ricerche di neuroplasticità giungono a sostenere l’utilità della meditazione nel sostituire, a livello mentale, emozioni negative come l’odio, con emozioni positive come la compassione.

Sincronizzazione neurale

Wolf Singer e i suoi colleghi del Max Planc Institute of Brain Research in Germania, hanno scoperto che per eseguire un compito come per esempio la visione, il cervello non segue un sistema gerarchico centralizzato, ma piuttosto i neuroni responsabili della funzione si “accendono” simultaneamente e battono con lo stesso ritmo che si riscontra essere quello delle onde gamma del cervello (oscillazioni a 40 cicli al secondo). In altre parole, i processi mentali sono distribuiti su tutto il cervello, ma quando questo è stimolato a concentrarsi su un dato oggetto o soggetto, vari processi mentali si collegano per fornire una risposta preferenziale all’oggetto o soggetto al centro dell’attenzione.

La sincronizzazione neurale è una delle scoperte più significative della moderna neuroscienza. Nel suo best-seller The Astonishing Hypothesis: The Scientific Research for the Soul (La sorprendente ipotesi: la ricerca scientifica dell’anima, N.d.T.), il premio nobel Francis Crick ha parlato della sincronizzazione neurale come di una chiave importante nella comprensione della nascita della coscienza.
Da parte sua, nell’intervento tenuto alla conferenza, il dottor Wolf Singer ha suggerito che la meditazione può migliorare l’efficienza della sincronizzazione neurale rafforzando la capacità di attenzione e concentrazione.

Attenzione consapevole

Per certi versi il termine “meditazione” (bhavana o dhyana in sanscrito) è analogo a quello di “sport”. Esistono vari tipi di meditazione; una di questi è collegato “all’attenzione consapevole” (sati), settimo componente dell’ottuplice sentiero buddista che libera gli umani dalla sofferenza (dukkha).

Normalmente viviamo, ci comportiamo e agiamo in modo meccanico, come sonnambuli. Il buddismo chiama questo stato “ignoranza” (avidya) o “disattenzione”. L’attenzione costante aiuta a svegliarsi dai sogni a occhi aperti e dalla vita vissuta in modo meccanico; dà la pura consapevolezza di noi stessi e del mondo. Nelle pratiche buddiste di attenzione costante viene scelto come oggetto della meditazione il respiro, l’attività più automatica e vitale del corpo e della vita.

Negli ultimi trent’anni numerosi programmi curativi hanno utilizzato l’attenzione costante per ridurre stress e tensione ed indurre rilassamento e pace mentale nei pazienti. Per esempio, il dottor Jon Kabat-Zinn della University of Massachussetts Medical School, ha dato vita al programma “Riduzione dello stress basata sull’attenzione consapevole costante” con risultati positivi, alcuni dei quali sono stati esposti durante la conferenza. Il programma prevede otto settimane di meditazione, comincia non con la meditazione sul respiro, ma sull’atto di mangiare. Mangiando con attenzione si diventa più coscienti e più forti spiritualmente per affrontare malattie e stress.
Per il dottor Kabat-Zinn, l’attenzione costante non è utile solo agli ammalati. Anzi, proprio come nelle nostre scuole abbiamo corsi di educazione fisica, ci vorrebbero anche corsi di educazione mentale per aiutare i bambini a crescere in modo sano e equilibrato.

Nel discorso di apertura della conferenza, il Dalai Lama ha scherzosamente affermato: “Dopo queste sessioni scientifiche, qualche volta non mi ricordo quello che è stato detto, ma penso che lasci comunque un’impronta nella mia mente”.
Per quanto mi riguarda, sono tornato dall’evento fortemente impressionato e con una sensazione molto simile a quella descritta da John Ratey nel suo libro: “Un osservatore dello scenario che si va sviluppando deve sentirsi come Balboa quando vide l’Oceano Pacifico: non conosciamo ancora il pieno significato di ciò che stiamo osservando nelle neuroscienze, ma sappiamo che si tratta dell’inizio di una nuova era”. È cruciale che questa “nuova era” della comprensione della mente stia nascendo sia dalla scienza sia dalla spiritualità. La mente è il più importante, il più pericoloso e il più prezioso strumento che abbiamo.

Oltre a facilitare la comprensione delle viti e dei bulloni del sistema celebrale, l’unione tra scienza e spiritualità offre la possibilità di sviluppare il cervello nella giusta direzione e di utilizzarlo in modo positivo. L’impegno del Dalai Lama nelle conferenze su “Mente e vita” costituisce una pietra miliare nello sviluppo della scienza della meditazione; anche la scienza ufficiale sembra ora porvi finalmente attenzione, come dimostra l’interesse di due autorevoli riviste scientifiche, Scientific American e Discover che […] hanno riportato le opinioni del Dalai Lama sulla scienza e illustrato gli sforzi che la massima autorità tibetana compie nel dialogo tra scienziati ed esperti di meditazione.

(di Rasoul Sorkhabi)

Fonte: www.olistica.tv.

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