Un ponte tra il dentro e il fuori

Un ponte tra il dentro e il fuori

Al carcere di alta sicurezza di Opera (MI), i detenuti che partecipano al Laboratorio di Scrittura Creativa hanno la possibilità di scambiare pensieri ed emozioni, e di scoprirsi generatori di nuove libertà interiori. Ce ne parla Alberto Figliolia che per l’occasione ha intervistato Silvana Ceruti, coordinatrice del Laboratorio.

 
Carcere di alta sicurezza di Opera-Milano. Non certo un luogo divertente, piuttosto, in maniera ben evidente, un luogo di pena ed espiazione. Eppure, la vita è più forte di ogni dolore, umiliazione o rabbia e la speranza, in fondo, non è mai spenta dimorando sempre nel cuore di chi lo desidera continuando a credere. A credere nell’umanità, nel senso di umanità.
 
All’interno del Carcere di Opera vive e opera da circa venti anni il Laboratorio di Scrittura Creativa, sito privilegiato, nonostante le dure condizioni esistenziali, per un proficuo scambio di pensieri e d’emozioni tra le persone detenute. Oltre, ça va sans dire, all’opportunità e all’occasione d’offrire un linguaggio per esprimere sentimenti che dimorano nell’anima e pensieri che irrorano la mente e per rielaborare, nella coscienza, ogni vissuto.
Ogni anno il Laboratorio pubblica le poesie dei propri partecipanti: il risultato è sino a oggi costituito da quattro antologie e ben dieci Calendari Poetici, l’ultimo dei quali corredato dalle fotografie di Margherita Lazzati.
La stampa, pur non essendo lo scopo precipuo del Laboratorio, è diventato un mezzo affinché la voce delle persone detenute potesse uscire all’esterno, quindi creando un ponte tra il dentro e il fuori (concetto fisico e simbolico).
 
Silvana Ceruti è colei che da lunghi anni segue con passione e rara competenza il progetto… «Il progetto del Laboratorio resta quello di condividere un pezzo di vita assieme, di condividere la comunicazione. Il Laboratorio non è un progetto rieducativo o di assistenza sociale. Io credo negli incontri tra le persone. Tutto è nato da un corso che ho cominciato a tenere a Opera diciassette anni fa – corso che mi aveva chiesto un Ente – e che era di aggiornamento sulla lettura. Quindi non è sorto da un programma del Carcere. Quando, dopo due anni, esso è finito come lavoro per me, si era ormai costituita una piccola comunità di persone e io ci ho tenuto a proseguire il corso per poter discutere: si portava un libro e se ne parlava, poi si scriveva. Era ed è proprio un progetto di comunicazione alla pari, al di là della considerazione intorno alle azioni che ognuno, prima di entrare nel Laboratorio, poteva avere compiuto».
 
Dal lavoro al volontariato dunque il passo è stato breve… «È accaduto che dopo circa un quinquennio di cose dette e scritte si sia potuto pubblicare un’antologia poetica (In un mignolo d’aria): da lì è nata la voglia di comunicare anche con il mondo esterno. Il mio progetto è continuare questo: condividere e testimoniare questa condivisione. Tengo a sottolineare il fatto che non vi è mai alcun caso di gelosia tra i corsisti poeti, perché niente nasce dall’ambizione di dire… “Io sono bravo, io sono poeta”, ma dal desiderio di comunicare. Sentendosi gruppo, se un singolo è stato apprezzato, anche gli altri traggono soddisfazione. Allorché viene un poeta da fuori e viene letta una poesia e quel poeta ospite ne riconosce il valore umano e formale, tutto il gruppo sorride, felice per il successo di uno che è poi quello di tutti. Molti poeti “di nome” negli anni hanno curato le varie antologie, coadiuvando la crescita espressiva del Laboratorio».
 
E operativamente parlando? «Gli stimoli per scrivere li troviamo dalle cose più varie. Alle volte porto un oggetto, dei bottoni, per esempio, o dei fazzoletti o un cucchiaio o una foglia. L’incontro è allora “contemplare”, dare un’importanza estrema all’oggetto. Questo è lo stimolo esperienziale. Io porto sempre uno stimolo esperienziale e uno di parole. Un’esperienza visiva, olfattiva, di movimento. Lo stimolo deve far vivere una mini-esperienza, altrimenti scrivere diventa verbalismo. Dall’esperienza nasce un vissuto e poi, certo, ci vuole anche del linguaggio poetico e allora si lavora su similitudini, metafore, leggendo dei testi di altri. C’è inoltre una valorizzazione della differenza: partendo da un unico stimolo – uguale per tutti – si verifica il risultato più diverso. Da questo nasce anche la benevolenza verso gli altri, l’apprezzare la diversità che non è in conflitto con il proprio essere».
 
La poesia come arma salvifica… «Sono convinta che dentro ogni persona vi sia la possibilità della poesia. La poesia è anche più facile da reggere perché basta un’intuizione, un’illuminazione, un sentimento, e si può reggere un breve verso. Per reggere invece un romanzo o un racconto ci vogliono altre abilità. Per molti la scrittura è stata la scoperta di qualcosa che era già dentro di sé: non pochi son sorpresi da ciò che riescono a produrre e creare, ponendosi domande del tipo: Ma l’ho scritta io questa cosa? Occorre sempre un momento di fiducia nel proprio sentire per estrarre quello che si prova, poi c’è un lavoro linguistico per plasmare e per dare una forma. Prima c’è la scoperta che la poesia è un modo di vivere, di ascoltare se stessi, di guardare tutte le cose con occhi nuovi. Guardare qualunque cosa in modo interrogativo, in modo nuovo per scoprire. Questa è un’attitudine interiore che serve dentro e poi, di riflesso, anche fuori. Alcuni certo lo fanno in maniera più conviviale… “È bello stare insieme, scriviamo”, poi, una volta lasciata Opera, abbandonano, ma ho la prova di varie persone uscite che hanno continuato a scrivere poesia perché è diventata un modo di vivere. Ogni tanto mi mandano i loro scritti. Con molti rimane un contatto proprio perché è nato come vicinanza umana».
 
Insomma, nessuna controindicazione, bensì solidarietà e collaborazione… «La Direzione del Carcere (l’attuale direttore è Giacinto Siciliano) apprezza questo lavoro: credo si sia resa conto dell’importanza di aiutare le persone detenute a ricreare un mondo, a occupare il tempo con un pensiero. Io credo che lavorare con la poesia renda l’uomo più buono, sensibile, reale. Spero sia un buon modo di collaborare con le istituzioni e spero si possa continuare sullo stesso sentiero di armonia e disponibilità».
 
Alberto Figliolia
 
Una poesia…

Il manichino


Una giacca
rossa come un cuore estraneo
mi soffoca con dura eleganza
In vetrina vivo all’ombra
delle luci di strada
turbato dallo sguardo violento
e confuso
Lo scandalo è che disprezzo
il mio splendore
mi tormenta
la mia condizione
Muto tra i miei panni
inghiotto lacrime come capricci di plastica
mentre la gente non crede
alla mia anima
La sensualità
si consuma nel vuoto della sera
quando il mio corpo si rintana
dietro una vecchia saracinesca.
 
Gimmi Cirino Tropea
 
 
La carne dei mortali
 
Il mormorio di là.
La lingua degli stranieri
implora il Dio Allah:
con le mani snocciolano
il rosario.
Noi, incuriositi, li guardiamo
mentre recitano il Corano:
pregano sul suolo di questa
terra che li ignora.
Conoscono i tragitti
della mala sorte,
negli occhi vaga la speranza
della metamorfosi;
l’aria sgorga da lacrime e parole,
il sangue versato in tanti
anni di miseria;
continuano a masticare
la saliva amara del mattino,
si asciugano i lividi
e cercano risposte.
Chissà cosa pensano
quando tutto tace,
forse i loro pensieri
sono altrove
lontano dal battito del cuore.
 
Giuseppe Carnovale
 
 .

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