L’ente relazionale

Ogni relazione ha un nome, un proprio temperamento, una personalità ben delineata…

 

Una presenza incorporea, che abita lo spazio tra le persone senza essere vista ma che stimola la percezione fino ad allertare i sensi e indurre gli stati emotivi più disparati.
Un’entità che non obbedisce alle leggi della fisica ma interviene in questa realtà e la abita allo stesso modo degli esseri che ne fanno parte.
Un essere che appare spesso fuori dal controllo anche se la sua evocazione è voluta da chi ne vorrebbe pilotare gli agiti.
Un elemento sfuggente, capace di possedere gli individui.

Abbiamo definito uno spettro o la relazione?[1]

 

Basta fermarsi un attimo e togliere l’attenzione dai luoghi consueti, come noi stessi, come gli altri, per percepire immediatamente l’esistenza di nuovi spazi inesplorati. Uno di essi, in particolare, ha un influsso continuo che diviene determinante negli eventi di tutta una vita. Regola la formazione della nostra personalità, agendo continuamente dal momento del concepimento, ancora prima della nascita; potremmo dire che viene generato con noi e per noi.

Parlo dello spazio dove vivono le relazioni.

È un luogo interstiziale, un territorio etereo che impregna le distanze più o meno ravvicinate che ci separano dai genitori, dai parenti, dagli amici, dagli amori. Cambia con noi nel tempo, così come gli esseri che lo abitano: forme di vita plasmate dalla sinergica collaborazione tra gli esseri umani e unite a loro dal momento della creazione di un legame reciproco.

Le relazioni. Enti antropici a tutti gli effetti, vitali, che rappresentano e sintetizzano un magma psicologico denso, derivante dagli oggetti interni delle persone a cui fanno riferimento.

Ogni relazione ha un nome, un proprio temperamento, una personalità ben delineata, dei connotati che la rendono unica. Se riusciamo nello sforzo di contemplarne continuamente la presenza, il mondo esterno cambierà per sempre.

Il miracolo può avere inizio con un semplice esperimento psicologico che è possibile fare in autonomia.

Proviamo, ad esempio, a spostare l’attenzione da nostra madre al legame che abbiamo con lei. L’idea, di per sé, già porta un cambiamento; in particolare il nostro genitore “fisico” cessa di essere bersaglio di molti contenuti che vi riversiamo. Allo stesso tempo a noi smettono di giungere i suoi, più o meno desiderati che siano. L’oggetto con cui scambiamo la mamma è un valido intermediario che non costituisce più una “fazione in guerra o pace con l’altra” ma è esso stesso la guerra, esso stesso la pace!

Immaginiamo come potrebbe essere rappresentata questa nuova forma di vita meta-umana; quale sarebbe il suo genere? Quale l’età? Di che colore avrebbe gli occhi e perché? Sarebbe alta e magra oppure piccola e rotonda? Sono sicuro che chiudendo gli occhi e aprendo quelli, più percettivi, della mente, ognuno di noi possa riuscire a dare forma a questa relazione. Potremmo a questo punto annotare l’esito della visione che abbiamo fatto, disegnarla o semplicemente riportarne la descrizione nel modo più dettagliato possibile. Questo, infatti, è il momento di dare un nome alla creatura che va delineandosi.

L’atto di nominare ha una valenza metafisica ancestrale: nel nome sta il segreto della traslazione del materiale psico-genetico tra nominante e nominato, sta la chiave dell’ingresso nel mondo da parte del nascituro. Nominando concediamo definitivamente la vita alla nostra creatura psichica, consentendogli di penetrare lo spazio fisico.

Come si chiama, dunque, l’essere che incarna la relazione con nostra madre? D’ora in poi dovremmo rivolgerci a lei o a lui con il nome che abbiamo deciso di dargli. Per il resto, basterà un’attenta e posata osservazione dei suoi comportamenti.

Per fruire al massimo di questo esperimento, ne sentiremo il carattere, ne percepiremo gli agiti, senza mai tuttavia abbandonare l’acriticità del nostro pensiero; l’atteggiamento di totale epoché (dal greco ἐποχή, sospensione del giudizio) è fondamentale per interagire con gli enti relazionali. Prenderemo semplicemente atto di ciò che sa e che può fare, accettando la sua diversità da noi e soprattutto dalla nostra madre reale.

Di più: rifletteremo sul fatto di averne consolidato l’esistenza e non ce ne dimenticheremo più, continuando a contemplare ogni giorno quanto appena scoperto, in modo da lasciare a quell’essere il proprio compito di intercessore per eccellenza. Qualora scordassimo per un attimo i suoi connotati, basterà riprendere in mano il promemoria inerente il suo aspetto fatto in precedenza.

Mediante una semplice esperienza come questa è già possibile comprendere l’importanza dell’ente relazionale, considerato “vivente” a tutti gli effetti.

La possibilità di accrescimento della nostra consapevolezza correlata a questa metodica di analisi sono infinite, così come l’occasione di curare e curarsi basandoci su di essa.

Guido Rutili

Libro-Rutili-Jung

 

Note

[1] Guido Rutili, Jung, l’anima e il matrimonio, Anima Ed., Milano 2016. Disponibile in libreria o via web a questo link

 

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