Dacci il nostro pane quotidiano

 

Intervento di Giuseppina Tazzioli e Gian Paolo Del Bianco al convegno Dialoghi sulla Coscienza, organizzato da Centro Mosaica a Lido di Camaiore (LU) il 6-7-8 aprile 2018.

 

Tra gli argomenti del video:

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” è una delle frasi cardine del Padre Nostro.

Il Cristo incontra Satana nel deserto e gli dice: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

C’è un pane di parola, un pane di grano e un pane di memoria, come quello che troviamo quando il Cristo spezza il pane dell’ultima cena e invita gli Apostoli a ripetere il gesto in memoria di lui.

Qual è il pane che nutre la coscienza dell’uomo?

Il mito di Er di Platone racconta che l’anima sceglie l’ambiente dove incarnarsi perché ha un compito e delle prove da superare.

Hillman dice che nasciamo con impresso un carattere o una immagine precisa che ci caratterizza.

La coscienza, la consapevolezza, è un processo che avviene attraverso una serie di prove e trasformazioni.

L’arcano maggiore numero 1, Le Bateleur, Il Mago, significa “tutto in potenza è possibile”. Nella mano sinistra ha una bacchetta attraverso cui riceve le energie spirituali, e nella mano destra ha un denaro, segno che anche il corpo va nutrito. Sul tavolo vi sono molti strumenti, tutti quelli che riceviamo quando nasciamo. Il suo cappello contiene l’infinito.

L’arcano maggiore finale è il numero 21, Il Mondo, e rappresenta la piena realizzazione della coscienza. C’è una donna che danza dentro l’ovale azzurro della coscienza. Nella mano sinistra ha una bacchetta, segno del contatto con il divino, e nella mano destra un’ampolla che contiene solo ciò di cui ha avuto bisogno (e non più tutti gli strumenti dell’inizio del percorso). Troviamo anche l’aquila, che è il centro intellettivo, e un angelo, che è il centro emotivo. A sinistra in basso c’è un animale da traino, affaticato per il percorso fatto. E poi c’è il leone, la piena realizzazione della creatività.

Quando il bambino nasce, su di esso si proiettano i desideri e le aspettative della madre. Il bambino e la madre sono in profonda connessione psichica, allora il bambino registra l’immagine che la madre ha di lui e si mette addosso quel “vestito”.

La madre è colei che si occupa dell’aspetto materiale della vita del figlio, che gli ricorda dei pericoli e dei limiti.

Crescendo il bambino comincia a esplorare oltre la madre, lontano dalle sue braccia che lo delimitano.

Comincia a esplorare il mondo delle idee, dei nomi delle cose. Per far questo, è importante la figura del padre. Il padre è colui che toglie il bambino dall’abbraccio simbiotico della madre e lo porta nel mondo. Il padre permette al bambino di separarsi, di andare via, di dire no e fare esperienza diretta del mondo. Il bambino grazie al padre può sperimentare, ma sapendo di poter tornare a quella base sicura che è la madre.

La coscienza si nutre della dialettica tra questi due poli diversi, tra materno e paterno, femminile e maschile.

Se la “madre” porta l’acqua e l’emozione, e la terra della materia, per insegnare al figlio il limite, allora il “padre” porta il fuoco della trasformazione e del rito. La madre corrisponde al medico e il padre al sacerdote, colui che insegna a trascendere il limite.

Il limite c’è per essere trasceso. Come si comincia a trascendere il limite? Fantasticandolo, avvicinandolo.

L’anima viaggia fuori dai limiti che la materia impone.

L’adolescente comincia ad avere il desiderio di trovare la sua specifica strada e la vicinanza dei genitori gli provoca angoscia.

Il desiderio e il sogno sono l’esito di una scelta che è possibile fare distanziandosi dai genitori: mi riconosco erede dei messaggi della famiglia, ma riconosco anche la potenza del mio bisogno allora faccio nascere una nuova creatura cioè il mio modo specifico di risoggettivare ciò che ho ereditato, e questo è il pane fondamentale per l’evoluzione della coscienza.

Il ragazzo, se incontra altri sacerdoti lungo il suo percorso, ha modo di sviluppare il proprio sé e nutrire la coscienza. A questo punto divenuto uomo sente l’esigenza di generare qualcosa di nuovo trascendendo i propri limiti.

Nel nostro sé c’è la spinta a trascendere i nostri limiti, a progettare ciò che non esiste, per lasciare una traccia da lasciare nel mondo.

Nel suo viaggio l’uomo scopre che non è un semplice esploratore ma un cocreatore della realtà. Si è liberato di ciò che non gli serviva e ha tenuto ciò che è buono per lui, dando un senso alle esperienze che gli accadono.

La sfida di questo uomo è diventare intimo con se stesso, cioè “internissimo” a se stesso, collegato alle emozioni che prova.

Il mondo è la tappa finale del percorso, l’età della vecchiaia. Il pane di questa età è la trasmissione. Cosa trasmettiamo agli altri? Cosa lasciamo agli altri?

La vecchiaia è l’eta dello sciamano, capace di avere i piedi in un mondo e nell’altro.

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