Single in aumento, coppie in calo

Perché la categoria dei single è in costante aumento? È vero che i single sono più felici e realizzati delle persone sposate? Cosa sta succendendo ai matrimoni e alle coppie? Ce ne parlano Gloria Di Capua e Maurizio Lambardi intervistati da Silvia Matricardi

 

I dati Istat ci dicono non solo che i single sono in aumento, ma che sono già la categoria dominante nella composizione media della famiglia italiana. Mentre i mezzi di comunicazione continuano a proporre un modello tradizionale di giovane coppia con figli, il mercato si sta muovendo nella nuova direzione, cercando di intercettare le esigenze di una tipologia sociale fino a oggi ignorata, se non penalizzata. Ecco che – come per magia – iniziano a circolare sempre più indagini e notizie dedicate ai single e si rileva una certa tendenza, sempre più insistente, a convincerci che le persone che vivono sole siano più belle, più in salute, più sessualmente soddisfatte e più felici. Sarà vero? Cerchiamo di capirlo e di fare chiarezza e per comprendere la profonda trasformazione sociale suggerita dai numeri statistici, ne parliamo con Gloria Di Capua e Maurizio Lambardi, entrambi coach, counselor e soprattuto Tantra body counselor, esperti, cioè, proprio di relazioni e criticità relazionali.

– Gloria, cosa puoi dirci su quella che, in base alla vostra esperienza, è la vera composizione delle nostre famiglie?

I mezzi di comunicazione tendono a mostrarci modelli di vita e relazioni sempre più distanti dalla nostra realtà, e ogni tanto è salutare prendere coscienza di questa lontananza. La consapevolezza è sempre il primo passo per riuscire a liberarci del potere limitante che ogni modello irrealistico e irraggiungibile ha su di noi. Alejandro Jodorowsky direbbe: “Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei” e io aggiungo che per andare verso qualsiasi obiettivo devi anzitutto toglierti da dove ti trovi in questo momento. La famiglia, la coppia, i figli, la società sono mutati e continuano a mutare velocemente, fino a essere del tutto irriconoscibili rispetto alla generazione precedente. Il modello che persiste a essere proposto è rimasto fermo alla metà del secolo scorso, fateci caso: una coppia molto giovane, che vive con due figli e un animale domestico in una casa con giardino. E non mi sembra proprio che nella realtà possiamo dire di essere davvero rappresentati da questo schema.

– I dati Istat ci aiutano subito a raccogliere questo invito a confrontare il modello con la realtà. Cominciamo dagli animali domestici: in metà delle nostre case ce n’è almeno uno (cani e gatti, in prevalenza assoluta). Proseguiamo con la casa: 8 italiani su 10 vivono in un’abitazione di loro proprietà, ma per quanto riguarda il giardino, è realistico solo per il 43,3% di loro, che risiedono in ville o villini. Consideriamo ora l’età. Mediamente gli italiani  si sposano a 35 anni (37 gli uomini, 33 le donne) e l’età media a cui diventano genitori è 32 anni. Maurizio, già a questo punto abbiamo scoperto che il modello standard che ci viene proposto non è così rappresentativo della realtà effettiva…

Non solo te lo confermo, ma aggiungo che anche limitandosi ad approfondire l’esame dei dati, senza tirare in ballo la nostra esperienza “sul campo”, questa distanza tra modello e realtà è ancora più clamorosa. La composizione media della famiglia italiana è infatti di 2,4 componenti. Altro che moglie, marito e due figli. Le coppie con figli sono il 21,3% e quasi si equivalgono numericamente alle coppie che non ne hanno, che sono il 20,3% delle famiglie e nessuno le prende mai in considerazione. Entrambe sono però superate dalle cosiddette altre tipologie di famiglie, come possono essere quelle ricostituite da scomposizioni precedenti oppure quelle con un nonno, o altro familiare, e sono un buon 22,7%. In ogni caso la categoria più numerosa in assoluto delle famiglie italiane non è nessuna di queste, ma è quella composta da una sola persona. Sono il 31,6%. Più di una famiglia su tre ha un solo componente, altro che moglie, marito e due figli! Esulano dalla categoria “coppie”, anche se non sono considerati “single” anche quel 2,8% di famiglie composte da monogenitori che vivono con i figli.

– Abbiamo compreso con chiarezza che i single sono la categoria più numerosa di questa nostra attuale società e, se leggiamo i dati sullo stato civile, troviamo ulteriore conferma. Il numero assoluto di celibi, nubili, divorziati e divorziate supera i 26 milioni e mezzo di persone, vedovi e vedove sono 4 milioni e mezzo. Sono coniugati e coniugate circa 28 milioni e mezzo di persone, questi ultimi in calo, sia assoluto sia percentuale, negli ultimi anni, a differenza degli altri. Maurizio, cosa significano questi numeri?

Tra le altre cose, questi numeri significano che i single, oltre a essere la categoria più numerosa, sono anche in costante aumento. Significano anche che sono ancora in molti a vivere a lungo nella famiglia di origine, sia per scelta che per necessità, e che il numero delle persone senza un vincolo matrimoniale sta superando quello delle persone sposate. L’istituzione stessa del matrimonio è di fatto in crisi, come ti posso confermare dalla nostra esperienza sul campo.

– Secondo una ricerca realizzata da Ulrich Orth ed Eva C. Luciano del dipartimento di psicologia dell’università di Berna in Svizzera, i single sono più soddisfatti di chi sceglie la vita di coppia e la famiglia. Alla fonte di questa maggiore felicità c’è la maggiore attività sessuale, con partner diversi, il minore stress dovuto all’assenza delle problematiche connesse con i figli, un maggior benessere economico dovuto alle minori spese. Altri studi, da oltreoceano, concordano e dettagliano sostenendo che il mantenimento di autonomia e libertà favorisca anche una vita più sana, maggiore attività fisica, legami sociali più soddisfacenti. E ancora una ricerca condotta dall’Università di Basilea in Svizzera e dal Max Planck Institute for Human Development in Germania ci informa che le coppie tendono a mangiare troppo e ingrassare, facendo meno sport, mentre i single restano più snelli e socialmente attivi. È vero che i single sono più felici? Poniamo questa domanda a Gloria.

Col massimo rispetto dovuto ai ricercatori, diciamo anzitutto che non erano necessarie particolari ricerche scientifiche e antropologiche per prendere atto di alcuni elementi abbastanza ovvi: i figli costano e stressano, in termini di tempo, energia e impegno economico. Una coppia che non deve mantenere bambini in età scolastica ha sicuramente più risorse economiche disponibili per lo svago rispetto a chi deve sostenere spese continue per pediatra, sport, piscina, scuola e doposcuola. Se il reddito in entrata resta costante, una persona finché resta single ha indiscutibilmente più potere d’acquisto e la possibilità di dedicare interamente tale budget ai propri gusti ed esigenze. La stessa persona, nel momento in cui stabilisce un legame di coppia in convivenza, deve ridurre le spese dedicate a se stesso per far spazio a quelle derivanti dall’essere in due e pianificare il futuro. Mantenere una relazione stabile, anche in assenza di figli, richiede comunque impegno, costanza, crescita, maturità e duro lavoro. Pensare e agire in termini di “noi”, pur essendo un valore aggiunto, sacrifica e comprime indubbiamente gli spazi dedicati ai due “io” che compongono la coppia. Fino a questo punto è tutto talmente palese da non necessitare affatto di specifiche riflessioni e analisi.

– Maurizio, la coppia è dunque finita? Superata? Destinata ad estinguersi?

Dai dati Istat, letti nel loro complesso, la crisi della coppia è una deduzione palese. Diminuiscono i matrimoni, aumentano separazioni, divorzi e single. Si tratta di una crisi perfino concettuale, perché non riusciamo neanche a definire chiaramente, oggi, cosa sia una coppia, a differenza di alcuni decenni fa, in cui non c’erano dubbi in proposito, rientrando in tale definizione solo le persone sposate. Ed eccoci al limite dei dati Istat, che è ancora fermo a questa catalogazione ormai superata. Non tiene traccia delle relazioni stabili non istituzionalizzate, il che significa che vengono classificate come single anche le persone che hanno un legame stabile ma non lo hanno formalizzato. Così come sfuggono a una precisa definizione (sono considerati “celibi” e “nubili”) i single che non vanno a vivere da soli ma restano nella famiglia di origine.

C’è però una grande lacuna in tutte queste ricerche sull’essere single e nelle analisi che le accompagnano. Manca una seria riflessione sul perché. Per cercare di capire meglio il fenomeno dell’aumento delle persone che non hanno una relazione stabile formalizzata, che va di pari passo con l’incremento delle  crisi matrimoniali che diventano separazioni e divorzi, è opportuno riflettere. Anzitutto cercare di capire chi sono queste persone. Un single su tre ha più di 45 anni, uno su 4 è sotto i 45 anni. Sono prevalentemente uomini (per il 55,3%) e donne che non si sono mai sposati oppure sono separati o divorziati.

Le domande interessanti da porsi sono: Perché sempre più persone decidono di vivere da soli, senza una relazione formalizzata? Si è soli in virtù di una scelta consapevole di vita, cioè per una posizione che potremmo definire “ideologica”? O magari si è costantemente alla ricerca dell’anima “gemella”, passando da una relazione insoddisfacente all’altra? Si tratta di un doloroso ripiego al termine della fine disastrosa di un grande amore, conclusosi gridando: “mai più!”? O magari è una fuga dovuta all’incapacità di relazionarsi in modo soddisfacente con l’altro sesso? E quindi si riempie il vuoto della solitudine, impegnandosi vorticosamente in eventi, chat, apericene, centri fitness e ogni cosa “in” per ottenere approvazione, nell’illusione di restare perenni “adultescenti”?

In altre parole, l’argomento su cui riflettere e su cui interrogarsi è: si sceglie di stare da soli perché si sta davvero meglio in compagnia di se stessi, oppure perché, privi della capacità e degli strumenti per relazionarsi in modo piacevole e soddisfacente, si soffre in modo insopportabile ogni volta che si prova a stabilire un legame sentimentale? Perché, se è questa la motivazione effettiva che ci spinge a dire no alla coppia, allora è abbastanza ovvio che da soli si provi meno dolore, rispetto alle sofferenze provocate da una relazione disfunzionale. Ed è altrettanto chiaro che quello stare da soli non sia una vera scelta evolutiva di crescita e benessere ma una fuga e, in quanto tale, priva di crescita e di benessere personale. Come capirlo? Perché la sofferenza ci segue, cambia la modulazione in cui si esprime, ma non cessa. Se la sofferenza ci segue, l’essere single è una fuga.

– Gloria, ma allora interrompere una relazione che ci causa sofferenza, non è garanzia di smettere di soffrire?

Se la sofferenza è sistematica e ricorrente a ogni tentativo di relazione, smettere di relazionarci non può porre fine alla sofferenza stessa. Quel dolore che proviamo nell’avvicinarci all’altro sesso (ma spesso anche agli amici) non può estinguersi semplicemente con l’interruzione, perché è radicato dentro di noi. È una sofferenza che proviene direttamente dalle nostre paure infantili. È la nostra incompleta maturità emotiva a causarci quel dolore ogni volta che interagiamo con gli altri. Se non affrontiamo quelle paure, se non ci assumiamo la responsabilità del nostro benessere, non facciamo altro che continuare a proiettare sul partner la nostra mamma e il nostro papà, ossessionati dal bisogno di essere rassicurati e coccolati. Una proiezione destinata a convalidare la nostra paura e il nostro dolore, sia perché non siamo più bambini e sia perché il partner non è mamma e neanche papà. E tutto questo avviene nella più totale carenza di strumenti per relazionarci. Nessuno ci insegna come si fa a stare insieme rispettando gli spazi personali. Come si comunica senza aggredire. Come si fa a comprendere i nostri bisogni, come è meglio esprimerli, e come rispettare quelli del partner.
Nessuno ci spiega che il modello genitori-figli non funziona tra partner e che è possibile amare e lasciarsi amare senza l’attaccamento ossessivo, senza l’invasione, il controllo o l’infantile paura di essere abbandonati.

– Allora, Gloria, il problema della crisi della coppia è nel nostro restare immaturi?

Prevalentemente sì. In base alla nostra esperienza di coach relazionali, counselor e operatori del Tantra body counseling, la maggior parte delle criticità relazionali, e delle scelte di non relazionarsi, sono proprio da addebitare al modo primitivo con cui interagiamo con gli altri esseri umani.

– Cosa significa relazionarsi in modo primitivo, Gloria?

Significa interagire proprio come bambini, sul piano emotivo e razionale, bambini che collegano l’essenza dell’amore al soddisfacimento di bisogni infantili. Se ho un incubo, bagno il letto e piango, papà viene a rassicurarmi e accudirmi, il mio disagio svanisce grazie a lui, più è sollecito e più mi ama e per me questo è l’amore. Se il partner si adegua a questo mio schema io mi sento rassicurata e inizialmente sto bene. Ma poi, siccome lui non è il mio papà, non potrà mai rispondere esattamente a questa mia aspettativa. Quindi ci sarà crisi: o perché un giorno, sentendomi sempre più bambina accudita da lui, smetterò di essere sessualmente attratta da questa figura ormai genitoriale (e lo stesso avverrà per lui, vedendomi sempre più bambina e meno donna), oppure perché non riuscirà più a essere abbastanza “padre”, o si stancherà di doversi sforzare per adeguarsi ad un ruolo che non è sano per lui ricoprire. E non è sano neanche per me da proiettare sul partner.

– Maurizio, ma questi problemi non c’erano anche nelle generazioni precedenti? Perché prima i matrimoni duravano e oggi, invece, crollano?

Anzitutto in passato non c’erano alternative. Il matrimonio era indissolubile e le mogli dipendevano economicamente dai mariti. Bisogna però allargare la riflessione, perché fermarla qui sarebbe riduttivo. In passato il matrimonio rappresentava lo scopo della vita, non solo per le donne, anche per gli uomini. Era indispensabile per generare figli, per la trasmissione di cognome e patrimonio, per la stabilità economica, per la buona reputazione e per l’accettazione sociale. La motivazione a restare nel matrimonio era fortissima, in grado di superare praticamente ogni tipo di problema o quasi. Si trasgrediva ma si tornava comunque sotto al tetto coniugale, perché non farlo avrebbe generato disagi non sostenibili sia economicamente sia soprattutto socialmente. Oggi non c’è più alcun bisogno di sposarsi per ottenere di poter generare figli nel consenso sociale, di avere indipendenza, di trasmettere eredità e cognome alla prole. Oggi possiamo dire che lo scopo della vita è il benessere personale.

Non abbiamo però una chiara visione di come si faccia e di che cosa sia lo “stare bene”. Ottenere stabilità economica, divertirsi, avere ciò che ci piace, essere amati: sono più o meno i concetti che definiscono per noi la felicità, ma non siamo muniti della capacità di relazionarci necessaria in tutti questi settori. Soprattutto in quello sentimentale. Noi ci relazioniamo col partner come bambini bisognosi di cura e attenzione e questo tipo di interazione non è sana, non porta benessere ed è destinata a fallire per il semplice motivo che non siamo bambini e il partner non è mamma e neanche papà. In questo senso va letto il vero significato della fin troppo gettonata frase “per stare bene col partner devi prima saper stare bene da solo”.

Gloria, possiamo dire che per far funzionare le coppie o comunque per essere felici, dobbiamo smettere di essere bambini ed iniziare a maturare?

È esattamente il punto di tutta la riflessione. Le persone che si rivolgono a noi vengono trattate come adulte, guidate alla consapevolezza che nessuno può – e se anche potesse, non deve – soddisfare le loro necessità infantili, perché quel compito spetta a ciascuno di noi e non può essere delegato. Aggiungerei anche che è necessario apprendere gli strumenti per crescere e per relazionarsi in modo adulto con gli altri adulti. Strumenti che noi insegniamo e che rendono ciascuno di noi in grado di evolvere, nel modo di amarsi, amare e di lasciarsi amare, dalla fase immatura e dipendente a quella matura e libera.

Fonti:
http://www.istat.it/it/archivio/220713
http://www.istat.it/it/files//2018/09/infoStatoCivile.pdf


 

Maurizio Lambardi e Gloria di Capua sono una coppia professionale e nella vita; utilizzano le rispettive competenze professionali ed il laboratorio sperimentale della loro stessa relazione per ottenere una particolare ed unica autenticità nell’applicazione del life coaching alla coppia ed alla famiglia.
Dal 2008 organizzano e tengono seminari di gruppo e consulenze individuali e per la coppia in Italia, rivolti alla crescita personale e la cura della relazione.
Sono ideatori del metodo “Active Integrative Method®“, ufficialmente riconosciuto come percorso di formazione da SICOOL (Società Italiana Counselor e Professionisti Olistici), vantando più di 5000 ore tra seminari e consulenze.
Sono ideatori, conduttori e maestri del percorso di crescita personale e Tantra body counseling “Tantra & Amore” composto da 14 seminari esperienziali che si ripetono ciclicamente e della scuola di coaching “Life & Relationship Coaching”.
Sono autori di:
Tantra & Amore – Il corpo e l’anima – Nuovi strumenti per la relazione, Anima Edizioni
Meditazioni Tantra & Amore – Il corpo e l’anima – Nuovi strumenti per la relazione, libro e CD, Anima Edizioni

Gloria e Maurizio sono su Facebook:
http://www.facebook.com/LaboratorioIlCorpoELanima/

e sul web:
http://www.corpo-anima.it


 

Silvia Matricardi, più di un ventennio di “free press” alle spalle, giornalista pubblicista dal 1994 al 2018, ha fondato la testata locale “dossier informare”, per la quale ha operato nel duplice ruolo di giornalista ed editore dal 1994 al 2015. Come grafico, editor e giornalista ha collaborato alla prestigiosa pubblicazione scientifica “Ardea, la terra dei Rutuli, tra mito e archeologia: alle radici della romanità: nuovi dati dai recenti scavi archeologici” di Francesco Di Mario, Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio (2007).  Dal 2009 scrive romanzi e si dedica al ghost writing e all’editing. Dal 2018 ha lasciato il settore giornalistico per concentrarsi sulla sua passione per la scrittura.

Bibliografia
Il drago e l’Unicorno, 2012, racconto (include il racconto breve “Masuria”)
Ardit, 2012, romanzo
Amnesia, 2014, romanzo breve
ELE – Evento livello estinzione, 2014, romanzo
In Aeternum, 2015, romanzo
La perla della discordia in “Sorridi, sei a Nettuno”, 2018, racconto breve

Premi e riconoscimenti
– Premio donna che fa la differenza, categoria giornalismo e scrittura, Ardea, 2016

Per il romanzo In Aeternum:
– primo classificato nella sezione ebook di “Lilly Brogi La Pergola Arte 2017” IX Edizione, Firenze
– menzione speciale miglior caratterizzazione di genere nel “Premio Letterario Amarganta”, 2017, Rieti
– menzione speciale libri a tema storico nel “Premio internazionale Michelangelo Buonarroti” 2018, Forte dei Marmi

Per il racconto Il drago e l’unicorno, primo premio “Mille parole per un sogno”, 2009, Pomezia, 2009
Per il racconto Masuria, primo premio “L’Airone d’Oro”, 2012, Ardea..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento con Facebook

Torna in alto