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47. LE STAGIONI E I COLORI: L’AUTUNNO

25/09/18

Nell’immaginario collettivo l’autunno appare come una stagione triste: dopo il rigoglio estivo, ecco i primi freddi, le piogge insistenti (ma benefiche!) e le brume. Nella simbologia intrinseca, per così dire, nella nostra stessa natura, che associa le stagioni alle fondamentali fasi della vita, questa si configura come l’epoca della decadenza, del progressivo venir meno dello slancio vitale, insomma dell’incipiente vecchiaia, se non come vero e proprio preludio della morte, rappresentata dall’inverno (anche se, come sappiamo, l’inverno è in realtà tutt’altro: v. 41. Le stagioni e i colori: l’inverno).

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Certamente quel cadere di foglie, l’appassire dei fiori e il progressivo allungarsi della notte suscitano un senso di malinconia, nostalgia e persino tristezza, magari accresciuta dall’idea della ripresa lavorativa dopo le ferie estive e, per i più giovani, dell’inizio di un nuovo anno scolastico. Non a caso in americano col termine fall si designa l’autunno, che in inglese propriamente significa «caduta» e, di conseguenza, «decadenza, rovina».

Ma, se proviamo a uscire dai luoghi comuni e osservare il nuovo abito con cui in questa stagione si veste e sveste la natura, c’è da chiedersi se le cose stiano veramente così o non sia piuttosto una lettura riduttiva di un fenomeno straordinario, ricco di colori e di simboli molteplici che suggeriscono una visione più complessa.

Lo stesso termine autunno (in inglese autumn) sembra contraddire questo venir meno delle risorse della natura, in quanto derivato dal latino autumnus (< auctumnus), collegabile ad auctus, participio passato del verbo augère, che significa «aumentare, arricchire». L’autunno è da sempre una stagione ricca per i contadini, momento di vendemmia e di raccolta di frutti, molti dei quali destinati alle scorte invernali. Non solo: se la primavera è prodiga di fiori e l’estate di frutti, l’autunno ci offre i preziosi semi, destinati a perpetuare la vita, garantendo nuovi raccolti.

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Quanto ai colori, l’autunno non si può certo definire una stagione “grigia”, giacché non sembra smorzare, ma anzi accrescere sensibilmente le tinte dell’estate: prima di mostrare la nudità e l’austerità invernali la natura fa sfoggio dei colori più caldi, rivestendosi di rosso, arancione, giallo, marrone, ocra, amaranto, viola e oro, con una varietà di sfumature affascinanti, tanto che giustamente si parla di “magia” dell’autunno. In effetti qualcosa di misterioso, se non portentoso, succede. Come i fuochi d’artificio tenuti per ultimi alla fine della festa, perché più belli e più complessi, così l’autunno fa esplodere i colori più caldi, dall’effetto centrifugo, per lasciarli poi cadere in morbidi e variopinti tappeti.

Anche la frutta autunnale, particolarmente ricca di vitamine e di sali minerali, reca in sé i colori della stagione. Ritroviamo così il rosso, colore dell’energia vitale, in mele, melograni, giuggiole, corbezzoli, lamponi, mirtilli e corniole; l’arancione, colore della gioia e della crescita, in zucche, cachi, arance, mandarini, mandaranci e pompelmi dalla succosa polpa rosata; il giallo, colore della positività e della saggezza, in nespole, uvaspina e uva, che al sole sembra splendere in grappoli d’oro; il marrone, colore della solidità e dell’accoglienza, in castagne, nocciole, mandorle e noci, un vero tesoro energetico e d’alto valore nutrizionale, ricco di ferro, fosforo, potassio, magnesio e calcio; il viola, colore della trascendenza, in uva, mirtilli, susine e fichi.

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Dopo questa esplosione pirotecnica di colori, sulla soglia del fecondo silenzio invernale, incomincia il fenomeno della caduta, del progressivo e risoluto spogliamento, fino alla totale nudità. C’è qualcosa che ricorda la pioggia di petali dei ciliegi, che i giapponesi festeggiano pur nella consapevolezza della fugacità dell’esistenza terrena, in quel «di foglie un cader fragile» del pascoliano Novembre. L’autunno si toglie allora la maschera dei colori per mostrare il suo volto segreto, che ha espressioni di maturità, per suggerire messaggi di saggezza, che invitano a liberarsi di ciò che col tempo non ha più ragione di persistere, a creare spazio per accogliere gemme di vita nuova.

È l’autunno interiore, segno non di età anagrafica ma di maturità spirituale, che sa accogliere con gioia il mutamento, la trasmutazione e il sentimento stesso della caducità dell’esperienza terrena, bella e preziosa proprio perché breve. Spogliarsi del superfluo appare allora condizione indispensabile per cogliere l’essenziale. In questa prospettiva l’autunno si rivela come la stagione più spirituale, capace di conciliare i colori più festosi, che esaltano la pienezza della vita, con il loro, seppure temporaneo, assoluto venir meno.

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Forse le foglie non “cadono” come pensiamo noi, ma hanno atteso a lungo questo supremo momento che d’improvviso muta la loro fissità in volo, un breve e incerto volo, come di farfalle, ma liberatorio ed esaltante. Un insegnamento naturale di vita, che Thoureau coglie, senza contraddizione, come meraviglioso esempio con cui «esse c’insegnano a morire»: «quando gli uomini, con la loro vantata fede nell’immortalità, giaceranno con altrettanta grazia e maturità?».

Cesare Peri

 

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