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257. IL GUERRIERO E LA RESPONSABILITÀ PERSONALE…

Il Guerriero e la responsabilità personale nella ricerca

Incontro molte resistenze a far capire che una psicoterapia o altri percorsi personali, pur essendo efficaci, non si sostituiscono all’impegno personale.

Il terapeuta o l’insegnante non può assumersi la completa responsabilità della trasformazione di chi si rivolge a lui. Invece le aspettative dei cosiddetti pazienti o allievi o clienti sono altissime e vogliono (talvolta pretendono) che egli li “cambi” e li faccia “star bene”. Naturalmente il terapeuta si assume la responsabilità completa per quanto riguarda le sue competenze e la sua preparazione, ma non può sostituirsi al suo cliente.

Questo avviene anche in coloro che decidono di fare un percorso “spirituale”. Si illudono che le tecniche di meditazione e di consapevolezza agiscano automaticamente, come un’aspirina o un valium. Di fatto l’impegno personale, portato nella vita di tutti i giorni, l’intento di confrontarsi nelle storie quotidiane, nelle relazioni, nelle azioni, è fondamentale.

Ogni guerriero sa questo e lo tiene sempre presente in se stesso, sia quando è nella sua funzione di insegnante, sia quando è nella sua funzione di allievo.

Noi viviamo in una società che in maniera spudorata si spaccia per dispensatrice di benessere. Questa società fa passare come oggetti che donano felicità detersivi, crociere e automobili alla stessa stregua di corsi di meditazione, ritiri spirituali e tecniche di autocoscienza.

Conosco molte persone che passano la loro vita a correre da un corso a un altro, spesso corsi tematici che vengono reclamizzati come risolutivi. Quando me lo raccontano, mi dicono così: “Sai, ho molta rabbia; ho prenotato il ‘corso tal dei tali’ perché lavora sul tema della rabbia e quindi la butterò fuori“. E successivamente: “Ho ancora una parte giudicante e quindi andrò al corso ‘Tizio e sempropnio’ perché devo ‘ridurre’ il mio giudice interiore”. E così via…

Il mio non è un giudizio di merito sui corsi e sui laboratori (ce ne sono alcuni di ottima qualità), ma sul modo in cui vengono adoperati e talvolta proposti. È come dire: Ho mal di testa e prendo un cachet, ho mal di pancia e prendo un digestivo, sono stitico e prendo un lassativo!

Tutto questo viene fatto senza un filo conduttore e un progetto chiaro, secondo la logica del consumo e della deresponsabilizzazione. Spesso con queste persone mi scontro con i mulini a vento. Si arrabbiano, si offendono, non capiscono che sono entrati in un circuito che li imprigiona invece di liberarli.

Ogni corso, ogni lavoro di gruppo, ogni terapia, deve essere condotta, lasciando invece spazio alla responsabilità personale, indicando una linea di percorso, sostenendo, ma rafforzando soprattutto la discriminazione di ogni individuo, la sua libertà, la sua autonomia.

Roberto Maria Sassone

 

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2 commenti su “257. IL GUERRIERO E LA RESPONSABILITÀ PERSONALE…”

  1. Leggendo il tuo post Roberto mi viene da aggiungere una riflessione. Proprio sulla responsabilità di chi svolge un ruolo di guida, accompagnamento personale, terapeutico, sostegno con persone che cercano, si trovano, vogliono, desiderano, nutrono un percorso di evoluzione.
    Va un po’ di moda il “se ha funzionato per me, sperimentate gente che funzionerà anche per voi”. Vengono così promossi modelli, mappe di orientamento per l’evoluzione della coscienza che, talvolta, dall’altra parte, per la persona che si affaccia alla sua evoluzione assumono i connotati dell’assoluto. E allora c’è chi sviluppa, da una parte e dall’altra, l’assoluto del corpo, unico strumento di evoluzione, chi quello della meditazione di un certo tipo da praticare due volte al giorno e guai a sgarrare, chi quello sulla necessità assoluta e imprescindibile “per crescere” di trovare un maestro che possa guidare. Il problema non sono gli strumenti o le tecniche né tantomeno i modelli o mappe, ma il confezionarli come assoluti nel tentativo di semplificare e ridurre l’immensa complessità dell’essere umano, nel tentativo di “linearizzare”, di “migliorare”. Come se un percorso di evoluzione fosse un miglioramento di sé, dritto, sicuro, con la testa al prossimo traguardo da raggiungere. Invece di liberare “masse” di attenzione vitale dalle strutture rigide delle certezze, vengono create nuovi “assoluti”, nuove certezze a cui aggrapparsi, più funzionali sicuramente ma che non nutrono la possibilità di “sentire la propria realtà”, quella della percezione personale, l’unica realtà che esiste, l’unica base per dare un vero, profondo, onesto, contributo. E’ qui che cresce, dal mio punto di vista, la responsabilità della guida, del terapeuta, dell’accompagnatore: essere un esploratore competente, un essere umano che ha la competenza per stare nell’incertezza e aiutare, facilitare, vedere, pezzettino dopo pezzettino il percorso che si apre insieme alla persona e nel porgerle con affetto ciò che conosce, lo strumento che potrebbe esserle utile in quel momento. Invitare all’esperienza, suggerire i propri strumenti, le proprie esperienze, come proposte per ampliare il senso della possibilità. E stare li, con affetto per la persona e la relazione, con la passione per l’esplorazione e il desiderio di esplorare insieme.

    Un caro abbraccio.

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