Qualche mese fa, durante una conversazione scolastica, mia figlia se ne uscì con una esclamazione: “Non si giudica mai un libro dalla copertina!”.
Lì per lì mi stupisco di queste sue pillole di saggezza che, con l’ingenuità del bambino e l’acutezza del vero maestro, sono elargite dai nostri cuccioli d’uomo senza troppo suono di tamburi, a volte solo usando uno scalpitio di piedini, ad annunciare che presto è pronta all’arrivo una bomba orgonica di consapevolezza.
In questo clima di stupore e perplessità, le ricordai che a volte di un libro mi era, per l’appunto, bastata solo la copertina, poiché il contenuto era dubbio per ciò che al momento mi serviva.
Devo dire di aver spesso acquistato libri solo per il colore, o la forma… alcune volte per il titolo… per poi accorgermi col tempo che era un acquisto apparentemente inutile in tempi non sospetti, ma che invece arrivava come una freccia sul bersaglio quando davvero serviva. Capivo, però, che Andrea Maya (il nome di mia figlia) desiderava far spazio anche a dell’altro: “Non si giudica mai un libro dalla copertina!”
Spesso mi accade con le persone: mi lascio influenzare dall’aspetto per deficienza di cuore, per poi notare, in un momento di mutuo soccorso, che sono state proprio quelle persone per le quali non avrei speso un pensiero d’ascolto a darmi materiale prezioso di correzione della mia andatura egoica.
Faccio qui pubblicamente questo esame di coscienza. In qualche tratto provo imbarazzo, ma non vergogna, altrimenti non avrei capito la lezione, e il mio ego ferito si sarebbe accartocciato su se stesso per impedire la visione di tali pensieri così bassi, così gretti, che poco si confanno a un essere che si definisce “umano”.
Da un’insegnante di percorsi spirituali non ci si aspetta tali metodiche di pensiero, tali cristallizzazioni del cuore, ma forse non ci si aspetta neppure una confessione pubblica.
Caro lettore, oggi sei il mio sacro confidente e questo slancio, che apparentemente ha l’aria di qualcuno che vuole mondare i suoi peccati, mi si apre spontaneo, esce come fiotto da roccia, senza neppure pensarci un attimo sul giudizio che ne potrebbe facilmente derivare: ho imparato! Perché ho peccato. E mi sono accorta!
Forse lo rifarò molte altre volte, giudicherò per la copertina, e col tempo mi ricrederò e aprirò quel libro che consideravo di poco conto.
Ai seminari in cui insegno a collegarsi al proprio Se’ (l’anima grande, il Sacro contenitore dove tutto già è), dopo una prima parte di teoria, avviene la “pulizia dei canali”. Il mio compagno inizia pulendo i miei, poi io pulisco i suoi e a seguire, secondo le coincidenze, le persone vengono divise in due gruppi; metà procederà con Andrea, l’altra metà con me.
Sono attimi, questi, di profonda commozione e amore, tanto che il cuore dei partecipanti, all’unisono coi nostri, va oltre a tal punto, da provocare palpitazioni e spremute di cuore. Le lacrime scendono copiose e si sente freddo tutto intorno, per la presenza dei tanti aiuti sottili che non tardano ad arrivare, mentre dentro al petto s’infiamma la compassione.
Questo avviene sempre, da anni, allo stesso modo.
Di recente mi è capitato un fatto imbarazzante, ma che desidero raccontare come deposito, resa di ciò che non desidero più portare con me. Fin da piccola, le persone con patologie particolari, nevrosi per lo più, emanano per il mio olfatto un odore particolarmente pungente. Questo è talmente fastidioso che mi impedisce di usare il tatto o l’abbraccio nei loro confronti. Forse è una forma di protezione per il mio essere fisico, una sorta di limitatore simile a quello che viene impiegato per i motori degli scooter, quando devono essere usati dai ragazzini.
Mi trovavo in fase di pulizia dei canali a un allievo, mentre Andrea, nella sedia accanto, si occupava di pulire un’altra persona. Ero nell’onda della compassione quando, a un tratto, stranamente precipito di energia, mi si apre un varco nell’aura e si insinua una forma pensiero che mi dice: “Meno male che quella persona è capitata ad Andrea e non a te, senti com’è piena, senti che odore sgradevole emana”.
In quel momento provo disgusto per me, per ciò che penso. Mi sforzo di dis-identificarmi da essa: “Non sono io”, e sgancio la forma pensiero. Non appena ci riesco, l’allieva inizia a piangere. Provo una enorme compassione, mi si stringe il cuore e vado ad accarezzarla come fosse mia figlia.
Ho ancora davanti immagini che mi spingono in uno stato di emozione intensa e coinvolgente, mentre entro in quei grandi occhi che mi si dipanano davanti, tra lacrime e capelli, grandi come quelli dei bambini, e in quel momento miracoloso, nel quale accadde qualcosa di inspiegabile, una liberazione tale che coinvolse tutti i sensi, sentii del profumo di fiori che si staccò da lei. E io capii. La copertina aveva sortito nuovamente il suo effetto.
Pensai allora alla mia piccola maestra che mi sussurrava con occhi sornioni: “Non si giudica mai un libro dalla copertina!” e mi sorpresi a sorridere…
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