Certe persone mostrano di essere veramente derminate a reiterare comportamenti autodistruttivi e a restare nella sofferenza, spinte da quello che sembra essere quasi un attaccamento all’infelicità. Come mai?
Penso sia utile iniziare precisando alcuni concetti di riferimento. Innanzi tutto definiamo l’inconscio quella componente della mente da cui dipende il funzionamento del corpo, la nostra vita psichica, emozionale e di relazione; quel misterioso regista che dirige il nostro comportamento stando costantemente dietro le quinte.
Possiamo paragonare la nostra mente ad un iceberg: la parte che emerge, il conscio, costituisce solo un quinto del tutto, mentre la porzione sommersa, l’inconscio, ne rappresenta i nove decimi e mezzo. In altre parole utilizziamo consciamente più o meno solo il 5% del nostro potenziale, e questa è anche la percentuale che rappresenta quanto ci rendiamo conto delle motivazioni del nostro agire e del perché ci comportiamo in una determinata maniera. Quel 95% sommerso rappresenta la potenza dell’intelligenza e creatività che vive in noi, senza che per la maggior parte del tempo noi ne abbiamo cognizione e consapevolezza.
L’inconscio ci permette di svolgere molte mansioni che ci facilitano l’esistenza in modo del tutto automatico, ad esempio mangiare, bere, muoversi, parlare, dormire. Inoltre consente alle funzioni vitali del nostro organismo, come respirazione, battito cardiaco, circolazione sanguigna e linfatica, digestione, crescita ecc. di espletarsi autonomamente senza l’intervento della nostra volontà. La nostra Mente Inconscia coordina magistralmente miliardi di processi che hanno luogo costantemente nel corpo/mente, mentre noi siamo alle prese con tutt’altro.
Se ci guardiamo attorno possiamo notare che c’è un’enorme diversità nelle reazioni a situazioni simili. E’ innegabile che rilevanti diversità di esperienza e di comportamento si riscontrano anche tra individui appartenenti alla stessa cultura.
La maggioranza delle persone che stanno male, sono pessimiste e si aspettano il peggio sembrano pervicacemente attaccate al loro malessere e del tutto intenzionate a perpetuarlo. Che cosa fa sì che le persone siano ottimiste o pessimiste, gelose, annoiate o curiose, vendicative, generose, piene di speranza o rimpianti, capaci di programmare o totalmente disorganizzate? E’ una questione di genetica, di casualità, di fortuna?
L’ipnosi, l’arte e la scienza di comunicazione con l’inconscio, può rispondere a questi quesiti: l’esperienza e il comportamento sono il risultato diretto dei modelli cognitivi e percettivi di chi li esprime. E il modo in cui una persona percepisce e pensa il mondo determina le sue esperienze e reazioni nei confronti del mondo stesso. Dai comportamentisti deriva il termine di “imprinting”: un certo tipo di esperienza crea un modello interno che è un potente filtro rispetto a ciò che verrà sperimentato. Ad esempio se conosco solo le botte sperimenterò un mondo violento, se sono convinto che sono tutti ladri verrò derubato ecc. In altre parole non posso sperimentare ciò che non ritengo possibile.
A questo proposito è utile citare un episodio che risale all’arrivo dei primi bianchi in America. Colombo e i suoi giunsero nel Nuovo Mondo a bordo di grandi navi che dispiegavano vele di notevoli proporzioni, ma all’inizio i nativi non le vedevano. Il loro cervello non riusciva a decodificare quegli oggetti che non facevano parte della loro abituale esperienza, quindi non li “leggeva” e creava un’allucinazione negativa in cui al posto delle caravelle continuava la distesa del mare. Soltanto dopo molte spiegazioni dettagliate su forma, dimensioni e utilità delle imbarcazioni, dapprima soltanto il gruppo che aveva ricevuto le spiegazioni iniziò a scorgerle, e in seguito anche tutti gli altri.
Siamo programmati dalle nostre esperienze; ma è necessario precisare che è ciò che accade nei primi sette anni di vita a essere determinante per la nostra personalità. Il bambino è come creta morbida e ricettiva e ciò che accade nei primi anni crea delle strutture di riferimento inconscie che vanno a costituire le nostre basi. Tutto ciò che proviene dall’esterno, specie quello che ci giunge dai genitori e dalla famiglia, va ad imprimersi nell’inconscio dando origine a idee, convinzioni, abitudini, atteggiamenti, comportamenti che nel loro insieme fanno da substrato al nostro personale mondo psichico ed emozionale; da esso dipenderà conseguentemente il nostro modo di vivere.
La maggior parte delle informazioni non sono mediate dalla parte conscia: il 90% delle informazioni è non verbale. Ciò significa che non è tanto quello che viene detto a creare i condizionamenti ma l’enorme mole di ciò che viene trasmesso attraverso il corpo e le emozioni: il tono di voce, l’espressione, la posizione corporea, i gesti sono molto più eloquenti dei concetti che le parole trasmettono. Cresciamo dentro un certo “clima” familiare come i pesci nell’acqua, tutte le informazioni emotive che scorrono nella nostra famiglia vanno a informare il sangue, le ossa, la nostra carne stessa, e da lì il nostro modo di vedere il mondo e di pensare.
Con la nostra venuta al mondo, a volte mentre siamo ancora nella pancia della mamma, la nostra naturale serenità viene turbata da una serie di difficoltà, traumi e shock trasmessi dalla famiglia e dall’ambiente. L’inconscio, che si occupa prima di tutto di salvaguardare la nostra sopravvivenza, per ogni trauma che ci ritroviamo a vivere crea una parte inconscia che attraverso una risposta emotiva ci permette di sopravvivere. Rimozione, fuga, paura, ansia, tristezza, svalutazione di sè, autodistruttività, chiusura ecc. non sono altro che risposte di adattamento a situazioni che da piccoli abbiamo percepito come minacciose e retaggio di ciò che allora è stato necessario per sopravvivere.
E’ importante sottolineare che l’inconscio non ha il senso del tempo e quelle parti in noi continuano ad avere la stessa età di quando sono state create, ecco che nelle esperienze che ci mettono veramente in difficoltà andiamo in regressione e perdiamo contatto con le nostre risorse di adulti.
A proposito della forza del condizionamento, più l’ambiente era allineato nell’esprimere una lettura problematica della vita più sarà difficile per la persona affrancarsi dai modelli negativi che ha interiorizzato. Se invece il tessuto famigliare presentava più varietà nei messaggi trasmessi dai diversi adulti, allora sarà più facile per quell’individuo desiderare di cambiare e darsi da fare per recuperare gli strumenti per riuscirci.
Più c’è stato dolore e trauma nella nostra vita più diventiamo schematici e ripetitivi nel tentativo di fuggire da ciò che è destabilizzante attraverso la rassicurazione di ciò che è stabile e non cambia, anche se questo significa continuare a soffrire. Il malessere, la negatività, l’autodistruttività si basano su comportamenti appresi e ripetuti innumerevoli volte. Essi vanno quindi a costituire uno stato di autoipnosi negativa che si rafforza con ogni ripetizione. Che fare dunque?
(Continua nella II parte).
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