Per i Celti, la divinità non poteva essere rinchiusa in un recinto o in un tempio. Era nella natura e nei boschi, e dentro di noi: nel Nemeton, il centro, il bosco sacro (il termine ha la stessa radice del latino nemus).
Nelle frequentazioni con i luoghi dello spirito, può capitare di imbattersi in una sorta di doloroso smarrimento, guado di ombre e irrisolti interrogativi, nel quale pare si debba pagare un alto prezzo all’ansia della ricerca intrapresa. Tale esperienza si può chiamarla notte dell’anima o vacuità del cuore, o in altro modo, a seconda delle differenti tradizioni esoteriche cui ci si riferisce. Per il celtismo pagano, useremo la denominazione essere nel punto medio. Chiunque ricerchi spiritualmente la via degli dei interiori o, se vogliamo, dell’illuminazione animica, è sottoposto ad ardue prove iniziatiche. Tra queste, l’essere nel punto medio assume una particolare e beneaugurante configurazione interiore.
Per i celti pagani, difatti, e cito l’indiscussa autorità dello storico romano Lucano, la morte fisica null’altro è che un punto medio in una lunga vita. Certi dell’immortalità dell’anima, i Celti avvertivano l’accadimento funebre quale passaggio, punto medio tra resistenza mortale e l’entrata nella terra degli antichi dei. Ma, ancor distante l’evento fatale della morte fisica, la sapienza celtica ci informa su altri tipi di punti medi, in cui chi ha iniziato il cammino delle conoscenze, avverte il dolore di un passaggio da una condizione precedente a una consapevolezza superiore che pure stenta nel delinearsi compiutamente. In tali accadimenti, per la sapienza celtica è auspicabile recarsi in un solo luogo: il Nemeton, ovverosia il Bosco sacro. La sua valenza è interiore: è il luogo deputato ai riti druidici, ma ancor più il ricetto dell’anima in cerca, afflitta da dubbi e smarrimenti.
Per oltrepassare il punto medio dell’essere occorrerà quindi addentrarsi nelNemeton. Quando ne sentite il bisogno, sedetevi per terra assumendo una posizione ieratica, armoniosa; dopodiché, inspirate dolcemente portando la massima concentrazione sul centro frontale, poco sopra la radice del naso. Tra l’inspirazione e l’espirazione, trattenete per qualche istante il respiro e dite mentalmente: Nemeton. È un logodinamo che dissolve più di una nebbia, come il sanscrito Om; alternando le fasi respiratorie con la pronuncia del nome sacro, e con la prolungata concentrazione sul Nemeton, si arriva ad assumere quell’immaginifico mentale necessario per superare le nebbie in cui ci pare di essere perduti. Taliesin il Bardo non ebbe altro luogo in cui rifugiarsi che un bosco sacro, allorché volle accedere alla completa conoscenza di sé stesso.
Si narra che lo stesso fece Myrrdin-Merlino, all’atto di scegliere fra il mondo degli uomini e il regno dell’armonia. La tradizione celtica è tutta colma di esempi del genere: rifugiandosi nel Nemeton, che è innanzitutto un luogo dello spirito, è possibile ritrovare il cammino perduto..
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