Quanto è importante l’opinione degli altri? Quanto realmente rappresenta una misura della propria “amabilità” e del fatto che si è accettati e ben voluti? Forse, il vero problema non è cosa pensano gli altri, ma quanto e come è strutturata la propria identità. Ce ne parla Roberto Maria Sassone in questa interessante intervista.
– Quanto è importante l’opinione degli altri?
Si tratta di un argomento molto delicato perché proprio sull’opinione degli altri si giocano dinamiche emotive molto forti, meccanismi di aggressività o di frustrazione.
Se una persona non ha sufficiente fiducia, non solo di se stessa ma di ciò in cui crede, si ritrova con la necessità impellente di vedere confermata la sua opinione. Viceversa, quanto più ella ha fiducia in ciò che sente e nella sua esperienza, tanto meno avverte il bisogno che la sua opinione sia confermata dagli altri.
In una conversazione, una persona insicura sulle proprie tematiche non sarà in grado di entrare in una relazione che consenta di comprendere il punto di vista altrui e di considerarlo un arricchimento e una nuova angolazione da cui vedere l’argomento in questione. Vedrà l’altro come il nemico da combattere in una tenzone, un duello verbale per stabilire chi ha la visione più vera e reale.
In casi come questo non c’è più la capacità di ascolto, anzi, ancor prima che l’interlocutore abbia terminato di esporre i suoi concetti, si formulano argomenti a lui contrari ma che rafforzano, invece, la propria opinione… che diventa una specie di simulacro della propria identità, cioè ci si identifica con essa.
Chiunque abbia un minimo di consapevolezza sa che ognuno, per quanto possa essere esperto in un settore oppure certo della propria esperienza, abbraccia comunque un campo limitato della vita. Nessuno possiede una visuale veramente completa su un tema, anzi, per quanto possa avere una grande preparazione, rimane profondamente ignorante.
E’ quindi profondamente stupido – e voglio sottolinearlo – presupporre che la propria opinione esaurisca tutto ciò che riguarda l’argomento trattato. Invece, la bellezza dell’opinione altrui è data dalla possibilità di arricchire il proprio patrimonio di conoscenza, perché anche se l’altro afferma qualcosa di contrario rispetto a quanto proposto nella conversazione, offre la possibilità di vedere una diversa angolazione dell’argomento.
Si pensi invece alle tribune politiche… l’altro non è assolutamente visto come un individuo che può portare dei contributi ma come un avversario da mettere in ridicolo per poter trionfare. Ovviamente qui non c’è comunicazione, e non ha senso parlare dell’opinione altrui perché non è più un’opinione vissuta come tale: l’interlocutore diviene solo un nemico da schiacciare, e questo impedisce ogni forma di relazione.
Un individuo che si comporta in questo modo nella relazione di comunicazione ci mostra la sua “pochezza umana”; non ci si sbaglia mai… anche se si tratta di un uomo di grandissima cultura.
– Ma c’è chi ha un atteggiamento quasi servile nei confronti dell’opinione dell’altro, pur di essere accettato ad ogni costo…
Alcune persone si svalutano nella percezione o immagine che hanno di se stesse, ed hanno bisogno di avere conferme. La richiesta che fanno è del tipo “tu devi far esistere me attraverso la tua approvazione” quindi l’opinione dell’altro non è più semplicemente un’opinione che consente una maggiore comunicazione, ma diventa una specie di indicatore: “sono accettato oppure no? Sono stimato oppure no?”
Di conseguenza, si adegua spesso il proprio atteggiamento e comportamento in funzione di quello che si pensa sia corretto per l’altro… ma qui c’è da precisare un ulteriore passaggio che rende più complicato il tutto: nella maggior parte dei casi, quello che viene ritenuto il desiderio dell’altro, la sua opinione, è una invenzione cioè una proiezione che la persona insicura sta facendo sull’altro. In pratica, la persona insicura crede che l’altro stia facendo una certa richiesta o abbia una determinata opinione anche se, in realtà, non è così.
Questo accade puntualmente nelle coppie in cui ognuno pensa che l’altro pensi di voler qualche cosa, quindi siccome in genere è difficile accettare di poter comunicare sulle proprie fragilità – è infatti difficile che si dica “Senti, io avrei proprio bisogno di questo: sto male e mi manca” – rimane il silenzio in cui nasce una relazione di interpretazione: si pensa che la richiesta del partner sia di un certo tipo, ma non lo si verifica con lui e non gli si chiede la sua opinione…
– Ma perché alcuni insistono decisamente con questo atteggiamento?
Bisogna cercarne l’origine nel senso dell’identità. L’identità è qualcosa che si forma: il neonato, quando esce dal ventre della mamma, ne è ancora privo. Man mano che il bambino vive le esperienze, in lui si forma l’identità, ma questa si crea e si rafforza soprattutto se – ed è importante sottolinearlo – il bambino sente che c’è un reale sostegno da parte dei genitori; l’identità diventa forte in un individuo se, nella fase del suo sviluppo, egli si sente profondamente visto, riconosciuto e sostenuto… tre parole fondamentali, tre punti essenziali che rappresentano il terreno su cui l’io si può consolidare. Ma se questi aspetti mancano, l’identità del bambino si svilupperà in funzione dell’amore che vorrebbe ricevere e non riceve.
Da qui nascono tutte le proiezioni: “credo che mia madre voglia da me questo”, “credo che mio padre voglia da me quello”… Oppure le realtà: “mia madre mi ama solo se faccio questo”… di conseguenza il figlio tende a uniformare il proprio comportamento all’esigenza del genitore, oppure diventa un ribelle e sviluppa atteggiamenti contestatori, soprattutto se il genitore non ha un’autorità tale da mettere dei confini.
Si passa da un estremo all’altro… da un totale masochismo: “purché tu mi ami io faccio quello che tu vuoi”, o subentra la reattività come nei bambini piccoli: “ti dico no a priori”.
– Anche dire no a priori è una sorta di richiesta?
E’ una sorta di richiesta mascherata, il messaggio che si vuol mandare è :”io non ho bisogno di te, non ho bisogno della tua opinione e del tuo amore… faccio tutto da solo” e ovviamente anche questa è una barriera nei confronti dell’altro… anche qui non si sta affermando una vera identità; si inventa una costruzione magari forte, dura, che dia l’illusione a se stessi e all’altro di avere una forte identità..
– Ricapitolando, si può dire che all’origine di tutto vi sia l’insicurezza?
Occorre precisare, perché il termine insicurezza viene usato in riferimento a molte situazioni… qui si sta parlando di una fragilità dell’identità, di una insicurezza in merito all’identità.
Chi ha una identità vera non ha bisogno di essere approvato, non ha bisogno di sentire per forza che tutti lo debbano accogliere e accettare, perché accoglie e accetta se stesso… e se qualcuno lo rifiuta, ritiene tale situazione una normale espressione della vita: non tutti possono essere sulla sua lunghezza d’onda e avere la sua stessa visione. Se qualcuno non lo ama, sa che ciò non significa che non sia meritevole di amore. Tutto questo però deve nascere dalla sensazione di una pienezza interiore…
Ho parlato del senso dell’identità in una chiave psicologica, in base al tipo di conferme e al sostegno legato alla storia famigliare, ma un altro aspetto importantissimo è che ovviamente la percezione dell’identità, per poter essere reale e fondata, passa attraverso una buona percezione del corpo….
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