Si tende naturalmente ad andare verso il piacere e ad evitare il dolore. Questo meccanismo può tuttavia risultare limitante quando ci impedisce di affrontare il cambiamento pur di evitare il dolore che ne deriva. Ne parliamo assieme a Marco Paret in questa intervista sul tema “piacere e dolore”.
– Qual è il legame tra piacere e dolore? Alcuni, per esempio, hanno piacere di provare dolore… Come portare alla luce questi meccanismi e usarli in modo costruttivo?
La nostra mente tende ad andare verso il piacere e ad allontanarsi dal dolore, tuttavia capita che una persona si abitui a delle situazioni che le procurano dolore. Ad esempio, un caso frequente è quando, all’interno di una relazione di coppia, uno dei due partner si abitua a quella che è definita come zona di comfort, cioè un “ambiente” conosciuto e usuale, nel quale si continua a restare anche se non si viene trattati molto bene. La persona raggiunge un punto in cui staccarsi dalla zona di comfort risulterebbe più doloroso che restarci dentro, e quindi vi permane, convinta che rappresenti un porto più sicuro e in fondo piacevole.
La “zona di comfort” si chiama così non perché necessariamente sia una situazione dove si sta bene, ma perché rappresenta il territorio che si conosce, quello che non crea “sorprese”. La mente si sente più a suo agio nella zona di comfort, prova un senso di maggiore sicurezza e la associa al piacere, mentre all’idea di uscirne prova dolore o comunque simili configurazioni… Quindi, paradossalmente, accade che certe persone vivano nel dolore quando invece potrebbero dirigersi verso il piacere, poiché rimangono nella loro zona di comfort.
– Uscire dalla zona di comfort provoca dolore ma, una volta che si riesce a farlo, di solito ci si trova meglio… allora si tratta di un dolore illusorio?
Quando siamo nella nostra zona di comfort, abbiamo ancora una visione ridotta rispetto a quando ne siamo fuori; nel momento in cui ne usciamo, ci ritroviamo nel fare, nell’azione… la nostra mente si mette in moto con soluzioni, idee, intuizioni… se prima vedevamo solo una direzione, ora ne vedremo diverse, scoprendo che riusciamo a cavarcela…
Per esempio, consideriamo una persona che sta facendo un lavoro che non ama e che, nell’immaginare di abbandonare questo lavoro, vede come unica realtà possibile quella data dal pensiero “rimango senza soldi”. Ma se poi effettivamente lo abbandona, la sua mente comincia a svegliarsi, a regolarsi su nuove possibilità e occasioni… La persona si renderà conto di stare meglio e di essere in grado di svolgere attività anche più redditizie… una possibilità che non poteva neanche immaginare fintanto che rimaneva nella sua zona di comfort.
– Come si può capire che è arrivato il momento di uscire dalla propria zona di comfort?
Se si prova dolore, se non si sta bene… non c’è altro da fare: occorre cominciare a rompere la scorza in cui ci si è rinchiusi, cominciare ad agire, a fare dei tentativi, a fare qualcosa di diverso rispetto ai propri comportamenti usuali…
– Ma c’è chi non riesce ad uscirne, rimane nella zona di comfort e… si lamenta di continuo…
Questo è un caso molto frequente. Ci sono persone che rimangono bloccate in questo schema anche per diversi anni perché non trovano il coraggio di vivere meglio, di prendere in mano la propria vita… infatti per poterlo fare occorre comunque un certo livello di coscienza.
Inoltre, quando si è presi dal tran tran quotidiano, dalle attività che si susseguono freneticamente, può risultare difficile concentrarsi su decisioni più importanti. Può essere utile, allora, ritirarsi e ricavarsi un momento dove non si ricevano stimoli esterni, per decidere consapevolmente quello che è meglio per se stessi.
– Che dire della capacità di assumersi determinate responsabilità?
La capacità di assumersi determinate responsabilità è spesso legata alla credenza di poterlo fare. Mi spiego meglio. Alcuni individui hanno ricevuto dei condizionamenti durante l’infanzia per cui sono portati a credere di non essere capaci di realizzare i propri obiettivi ecc…
Proprio per i vari condizionamenti dovuti all’ambiente, suggerisco di isolarsi in qualche modo e prestare attenzione a sé, per poi prendere le proprie decisioni con cognizione di causa. Invece, finché rimaniamo immersi negli stimoli esterni, non riusciamo a prendere una decisione effettivamente appropriata e saggia per noi stessi, perché in realtà continuiamo ad agire attraverso delle reazioni e non delle decisioni effettive.
– Sta suggerendo di entrare in contatto con la nostra parte più profonda?
Certo, questo è fondamentale. Parlando di piacere e dolore, abbiamo descritto i meccanismi per la zona di comfort e le reazioni causa – effetto, tuttavia noi non siamo queste reazioni… esiste in noi uno spazio più ampio, una “dimensione di centro”, una parte del nostro inconscio da cui è possibile avere una visione più ampia… invece spesso non ci accorgiamo della totalità dell’albero ma solo dei suoi rami, e ci facciamo schiacciare dalle piccole cose…
– Vuole aggiungere altro?
Sul dolore… spesso usato come incentivo. C’è ad esempio chi dice a se stesso “devo fare la tal cosa sennò quell’altra mi va male”, oppure non di rado gli studenti fanno un ragionamento del tipo “studio di più gli ultimi due giorni prima dell’esame, così sono motivato a concentrarmi per la paura di non farcela” ecc… Ecco, questa maniera di motivarsi non è proprio la migliore perché è fonte di stress ed affatica il nostro organismo. Per andare avanti, è meglio avvalersi di ragioni basate sul piacere…. del tipo “supero questo esame per sentirmi soddisfatto… per andare avanti nel mio percorso… per affrontare nuove possibilità…”
Consiglio decisamente di sostituire il più possibile le motivazioni negative con quelle positive..
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