Nella Bibbia si narra che Giona disobbedisce al Signore che gli comanda di andare a predicare a Ninive, e sceglie di fuggire in direzione opposta. Si imbarca su una nave, ma questa è investita da un temporale violento. Giona realizza che l’unico vero modo di «andare avanti» è di abbandonare la nave ed essere gettato nelle acque…
Adesso, e soltanto adesso, dopo che ha conosciuto il suo «lato oscuro», Giona è capace di ritrovare se stesso. Egli riconosce che la tempesta è stata originata da lui, attraverso i suoi pensieri e il suo gesto folle di aver timore più di perdere le proprie effimere e vane «certezze» che di gettare la sua anima in pasto al suo ego, i «corvi saturnini».
Quand’è che siamo in grado di vedere qualcosa, che prima non riuscivamo nemmeno a distinguere o immaginare? … Quand’essa si presenta dinanzi a noi, e si rende visibile, o noi invisibili a tutto il resto entrando così nel suo status. Per renderci conto di ciò che siamo, dobbiamo staccarci dalla nostra condizione abituale, innalzarci, elevarci, ed è quello che fanno «gli uomini» (della nave) che compiono letteralmente il gesto di sollevarlo di peso per gettarlo in mare (Gn 1,12). In questo modo egli raggiunge una posizione più alta, elevata, che gli permette di «vedere».
Se giriamo per le strade di una città, non ci rendiamo realmente conto della sua grandezza, del suo potenziale o al contrario del suo decadimento; dobbiamo uscire da essa e portaci in un punto panoramico, alto, elevato, per averne una visione completa. Tuttavia, per far ciò, c’è bisogno di una volontà «eletta», che ha sentito il «richiamo», che ha ascoltato la «chiamata»; c’è bisogno di un’azione che potete generare soltanto voi.
Siete voi i protagonisti, e Giona vi sta implorando di elevarvi, di sollevarvi dalle vostre comode poltrone, o scomode seggiole, e di «vedere» da un differente punto di vista, perché siete più di quello che immaginate, non lo sapete soltanto. E anche se ve lo dicessero, non ci credereste perché siete divenuti dei San Tommaso, ma «beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (Gv 20,29).
Non vi allarmate se pensate di non riuscirvi: a tutto c’è rimedio, Giona è qui a posta. Cominciate col dissolvere idee, opinioni, convinzioni e concetti a cui siete legati, le sicurezze su cui poggiate, su cui vi siete adagiati poltrendo. Giona enuncia: «Ebreo io sono…», e dal momento che riconosce «quello che è», comprende quello che vorrà essere, e non sarà più «quello che era».
Volete farlo anche voi?
Volete migliorarvi?
Innanzitutto prendete un foglio e fate un elenco di quello che siete, o vi sentite di essere.
… Fatto?
Ora, bruciate quel foglio, gettatelo nella geenna, perché non sarete più così.
La prima fase è distruggere quello che siete.
Se avete il coraggio di farlo, allora proseguite nel racconto, poiché significa che è giunto il vostro tempo: ora e adesso, perché è il presente che conta.
«Che non riceva molto di più nel tempo presente» (Lc 18,28).
Ricordate? Siete stati scelti, e non importa quale sia la vostra età perché il tempo di cui si parla in Giona non è quello imbrigliato nelle lancette dell’orologio, ma più grande, che ci circonda in ogni momento, e per esso ogni istante è il momento propizio, perché non ha mai fine e non conosce la parola «tardi». Tardi per cosa poi? Per migliorarsi? … Non è mai tardi! Ogni momento è quello giusto per arricchire voi stessi.
Quando iniziamo a percepire che quello che ci gira attorno, quello che facciamo, quello che siamo, non ci sazia, allora è giunto il momento di cambiare, significa che qualcosa ci è negato o ci è stato negato, e percepiamo il desiderio di guardare altrove. In quel preciso istante veniamo convocati da qualcosa di più grande di noi, ma che non sta fuori bensì dentro noi stessi.
Tutto sta dentro di noi, basta farlo emergere, far emergere il desiderio di essere noi stessi.
Gesù predicava ai fedeli che non aveva bisogno di studiare le Sacre Scritture poiché esse erano già dentro di lui, come lo sono dentro di voi. Quando morì, Kant volle sulla sua tomba scritto l’epitaffio: «Due cose hanno soddisfatto la mia mente con nuova e crescente ammirazione e soggezione, e hanno occupato persistentemente il mio pensiero: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me».
Parliamo di quello che voi abbandonate, del «peso materiale».
A un certo punto del suo viaggio, Giona non si getta al mare ma chiede di essere gettato, poiché dove andrà non potrà essere seguito dalle sue certezze, la «nave», che sarebbero unicamente un peso. Dove Giona si accinge non è concesso portare nulla con sé; egli sarà solo, e ciò è normale che generi paura in ognuno di noi. Memori dell’insegnamento cristico di Gesù, dobbiamo abbandonare tutto poiché i legami sono un peso che ci fa affondare.
Nel racconto della vicenda di Giona, «gli uomini» tentano di ritornare «all’asciutto», al «visibile», l’unica cosa che riescono a concepire, cioè la «nave», le «certezze», soltanto perché sono tangibili, e si rifiutano di intravedere oltre (Gn 1,13). Loro remano più forte che possono, si sforzano ma è tutto invano, la grande tempesta è sopra di loro e a nulla serve proseguire, e se soltanto uno di loro si destasse, lo capirebbe.
Quando voi vi destate, infatti, percepite come le «certezze» scricchiolano allo stesso modo del battello su cui è Giona, e a nulla serve proseguire dalla parte opposta. Oramai siete consapevoli della strada da percorrere per raggiungere l’intimo di voi stessi e nulla potrà farvi cambiare idea. […]
Pensate al potenziale che si prospetta se riuscirete a seguire il vostro cammino, la vostra natura ed essenza: avrete la capacità di fermare tutto intorno a voi, di dirigerlo a vostro favore e di generare tempesta, una bufera costruttiva, perché ricordatevi che alla fine di una tempesta sorge sempre un arcobaleno.
La tempesta prima o poi dovrà finire, basta girare l’angolo e troverete il sereno, anzi, esso stesso giungerà da voi. Non prendete a modello il Mattia Pascal di Luigi Pirandello, prigioniero delle fasulle e imposte regole sociali, voi rimanete Adriano Meis (l’identità che Mattia Pascal si era scelto, dopo aver fatto intendere di essere morto) e proseguite; tornare indietro non farebbe altro che riportarvi al punto di partenza.
Estratto da Giona – Come una Colomba nella pancia di una Balena, di Paolo Rinaldini (Anima Edizioni)
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