Stare bene è il risultato di molteplici fattori, che tengono conto sia delle predisposizioni individuali sia della capacità di collegarsi con gli altri. Testo estratto dal libro “Omeopatia – Conoscersi, curarsi, guarire” di Salvatore Coco.
[…] Lo stato di salute umana dipende dalla sintesi armonica di due fattori fondamentali:
– l’eredità costituzionale, espressa attraverso il DNA dei geni contenuti nei cromosomi;
– il modo di vivere (educazione ricevuta, alimentazione, norme igieniche, esercizio fisico e mentale, ambiente, ecc.).
I due fattori sono interdipendenti.
Dal mondo esterno assorbiamo continuamente luce, aria, acqua, cibo, suoni, vibrazioni visive, unioni di forme e colori, armonie, ritmi musicali, pensieri e stimoli emozionali. Il nostro modo di essere dipende, quindi, dalla qualità del mondo esterno.
Gli effetti di tale continuo contatto con l’esterno vengono però filtrati dal carattere, dal patrimonio genetico, dalla struttura emozionale e mentale di ogni singolo individuo. Ciò è dimostrato dal fatto che persone che vivono nello stesso ambiente presentano quasi sempre caratteristiche diverse.
Entrambi i fattori, interno ed esterno, sono essenziali e a nessuno dei due può attribuirsi priorità. D’altra parte, innumerevoli sono le variabili che si combinano, trovando la sintesi proprio nel singolo individuo.
Si può affermare che in ogni microcosmo è presente tutto il macrocosmo. È possibile riconoscere l’albero dai suoi frutti.
Se questa sintesi si realizza in maniera armonica, il risultato sarà lo stato di salute. Se, invece, si realizza in modo disarmonico, il risultato sarà la malattia o il malessere (sensazione di non stare bene).
La malattia si esprime attraverso dei segnali
Solitamente, quelli fisici sono facilmente comprensibili: si esprimono prevalentemente con sensazioni di disagio, dolore e alterazione di funzione o di struttura.
I segnali mentali, invece, non si leggono facilmente, a causa della frequente identificazione tra la Coscienza e i suoi contenuti. Molti si identificano con i propri atteggiamenti, le emozioni e i sentimenti patologici. Sono convinti che rappresentino il loro vero essere. In realtà, questa identificazione impedisce l’espressione autentica e integrale dell’essenza individuale.
Noi non siamo la nostra malattia
Per guarire è necessario separare il proprio essere sano dal proprio essere ammalato, e lasciare che la propria intima essenza si dispieghi liberamente e pienamente.
In ciascuno di noi è come se convivessero due persone: una di valore e una ammalata.
Spesso la persona di valore viene completamente nascosta dalla persona ammalata. Il soggetto vede di sé solo la parte ammalata, quella che occulta tutto il suo valore. La malattia è come un’edera che ricopre tutti i muri di una casa. Chi la guarda riesce a vedere solo l’edera, non la casa da essa coperta.
Il problema può, inoltre, complicarsi a causa della diffusione sociale di valori e credenze non sani, ma ormai considerati “normali”, ed essere assorbiti e inglobati nella struttura della personalità umana, sin dalla nascita, con inevitabili risvolti comportamentali. È il motivo per cui mi soffermerò su alcuni aspetti dello stato di salute interiore, senza la pretesa di essere esaustivo.
Nonostante lo stato dell’essere umano in salute non venga comunemente studiato nei corsi di laurea in medicina, è possibile una sua diretta conoscenza attraverso l’esperienza, la tradizione medica, culturale e religiosa orientale e occidentale, gli studi psicologici di alcuni autori (Maslow, Assagioli e altri) e l’osservazione delle persone, soprattutto di quelle che hanno sviluppato aspetti sani del loro immenso potenziale umano.
Qui di seguito, considereremo le sensazioni principali che esprimono le persone che vivono in stato di salute e di pienezza di vita:
La sensazione di Fiducia rispettosa nei confronti della natura umana e della natura in generale
La mancanza della tale fiducia ci impedisce di vivere pienamente la vita. La natura ci appare minacciosa, il clima ci fa paura, il nostro corpo può generare malattie, perdiamo la capacità di godere delle meravigliose risorse che ogni giorno il nostro pianeta ci offre. Se, in particolare, manca la fiducia negli altri, diventa impossibile costruire una buona vita di relazioni e ogni tentativo di interagire si trasforma in un inferno. L’insicurezza ci pervade. Anche se ci sforziamo di costruire situazioni esterne protettive e sicure, dentro di noi prevale la paura.
Non sempre, però, la paura è un sintomo patologico: quando è determinata da una reale situazione esterna di pericolo, assume una funzione di difesa e protezione. Sappiamo bene che non possiamo fidarci sempre e di tutti! L’antropologa Margareth Mead sosteneva che il grado di sviluppo di una civiltà si misura nella sua capacità di insegnare ai bambini quando potersi fidare e quando invece non.
Nella gerarchia dei bisogni intrinseci dell’uomo, elaborata da Maslow, il bisogno di sicurezza viene subito dopo la soddisfazione dei bisogni fisiologici fondamentali.
“Quando i bisogni fisiologici sono stati gratificati abbastanza bene, emerge una nuova serie di bisogni, che possiamo categorizzare approssimativamente come bisogni di sicurezza (sicurezza, stabilità, dipendenza, protezione, libertà dalla paura, dall’ansia e dal caos, bisogno di struttura, di ordine, di legge, di limiti, di un forte protettore, e così via)… L’adulto sano e fortunato nella nostra cultura è molto soddisfatto nelle sue esigenze di sicurezza. La società che procede pacificamente, senza scosse, che è stabile e buona, ordinariamente fa sì che i suoi membri si sentano abbastanza al sicuro dagli animali feroci, dalle temperature eccessive, dagli assalti dei criminali, dagli assassini, dal caos, dalla tirannide e così via”. (Maslow H. Abraham)
Uno degli atteggiamenti più comuni di compensazione del bisogno di sicurezza è la ricerca del possesso di beni materiali. Possedere denaro o cose spinge a pensare che i bisogni fisiologici saranno sempre soddisfatti.
È possibile far ricorso ad atteggiamenti compensatori anche per attenuare la paura delle malattie. Abitare vicino a un ospedale o stipulare un contratto di assicurazione medica può dare sicurezza. Quando questa sicurezza dipende quasi esclusivamente da fattori esterni, nello stato interiore non si è ancora realizzato il presupposto fondamentale dello stato di salute, ossia la sensazione di fiducia.
I sintomi della mancanza di fiducia sono: le paure di ogni tipo, l’ansietà, la mancanza di fiducia in se stesso o negli altri, tutte le forme di insicurezza non correlate a una situazione esterna di reale minaccia.
La spontaneità
L’uso del termine “spontaneità” ha spesso dato adito a malintesi. L’errore più frequente è quello di confondere la spontaneità con l’impulsività morbosa: sei spontaneo quando esprimi tutto ciò che vuoi dire o manifesti tutte le emozioni o compi tutte le azioni stimolate dagli impulsi. La spontaneità autentica non è la reattività alle condizioni esterne, ma l’espressione dell’istinto profondo dell’uomo. È una condizione che difficilmente si riesce a conoscere e a vivere.
Sin dall’infanzia, gli schemi educativi e ambientali possono condizionare e reprimere le istanze naturali e spontanee, determinando l’alterazione o la perdita dell’istinto profondo. A differenza degli altri animali, dotati sin dalla nascita di un forte istinto guida, i mammiferi, l’uomo in particolare, hanno un’istintività debole. I processi di apprendimento, l’educazione, la cultura, gli schemi sociali, ne sostengono la crescita, ma a volte possono controllarla, modificarla o addirittura sopprimerla. Il cucciolo d’uomo non è capace di badare a se stesso. Ha bisogno di un periodo più o meno lungo di apprendistato per acquisire i comportamenti adatti alla soddisfazione dei suoi bisogni. La civiltà, l’educazione, la religione, la famiglia, dovrebbero proteggere e aiutare l’espressione dell’istintività e assecondare le naturali inclinazioni. Solo a queste condizioni l’uomo può imparare a essere spontaneo e può realizzarsi in modo pieno e autentico.
La condizione di autentica spontaneità si verifica raramente. La maggior parte degli individui subisce, purtroppo, un’educazione repressiva degli istinti e delle forze dell’organismo. I processi di manipolazione possono condurre alla repressione o all’esaltazione degli istinti e colpire in particolare due aspetti vitali dell’uomo (come individuo e come specie): il cibo e il sesso. Molti input possono deviarci dal sentire spontaneo di questi due impulsi fondamentali. Per esempio: la pubblicità fa larghissimo uso di immagini sessuali; la pornografia ha una diffusione enorme; proviamo piacere mangiando o bevendo autentiche porcherie, debitamente pubblicizzate.
Anche la diffusa assunzione di droghe di vario tipo porta alla perdita dell’istintività, a causa dell’alterazione che esse producono sulle sensazioni della persona. L’istintività alimentare può essere alterata sia dall’educazione alimentare ricevuta, sia dall’uso di spezie o additivi che, mascherando il sapore e l’odore dei cibi, ingannano il gusto. Istintivamente rifiuteremmo molti cibi che ingurgitiamo, mangeremmo molto meno e assumeremmo solo quanto ci è necessario.
Molti neanche immaginano cosa possa essere la propria istintività. Travolti dai luoghi comuni sono indotti a pensare che, se si lasciassero andare, diventerebbero distruttivi o aggressivi, perderebbero ogni controllo e si comporterebbero come bestie. Questa preoccupazione si fonda sulla convinzione che l’animalità che temiamo sia quella dei lupi, dei maiali, dei serpenti. Invece, l’animalità della specie umana ha caratteristiche positive, quali: la capacità di socializzazione, la generosità, l’istinto ad aiutare gli altri membri della specie, la capacità di sorridere e di provare amore e altre forti emozioni.
Vivere la propria istintività non compromette quelli che vengono considerati aspetti tipicamente umani. Potenzia, invece, la capacità di crescere come persone autenticamente spirituali, sociali o artistiche. Per potere essere una persona autentica, capace di realizzarsi pienamente, bisogna prima essere un buon animale, capace di vivere i suoi istinti di specie.
Quando l’uomo vive la sua spontaneità riesce a provare un piacere naturale in tutti gli atti della sua vita, in quanto essi sono l’espressione della profonda e istintiva natura umana.
Al contrario, quando l’uomo non vive la sua spontaneità, perché non la conosce o non la ascolta, avverte sensazioni di dolore o di disagio.
Tutte le psicoterapie del “profondo” concordano su un fatto: man mano che il soggetto si libera dalle stratificazioni patologiche che lo inibiscono, scopre la sua natura biologica animale e istintiva. Natura che poi diventa la forza propulsiva in grado di portarlo all’abbandono di eventuali nevrosi e verso la realizzazione del proprio vero essere. La saggezza orientale ha sviluppato nel corso dei secoli un grande interesse verso la spontaneità, giungendo all’elaborazione della filosofia del Non Agire.
Non agire non significa vivere senza fare niente, vivacchiare nell’ozio o nella pigrizia. Significa invece lasciare che l’azione sorga spontanea dall’interno del proprio essere e che sia determinata dalla natura profonda che è dentro di noi.
Questo orientamento filosofico ha suscitato un grande rispetto per il fluire spontaneo della vita. Una poetessa giapponese, una mattina, vedendo una pianta di convolvolo attorcigliata al secchio del pozzo, invece di strapparla, decise di prendere un altro secchio. Incantata per la vita di quell’essere vegetale, per come la vita si era sviluppata in una notte, condensò la sua emozione in un haiku: “Oh, il convolvolo Prenderò Un altro secchio”.
Il taoista cinese Chuang-tzu esprime così la sua amarezza per il vivere la vita distanti dalla propria natura spontanea: “Se non pensa e non riflette, il pensatore non sarà felice; se non dialoga e non persuade, il sofista non sarà felice; se non critica e non inveisce, il caposquadra non sarà felice. Gli uni e gli altri sono prigionieri delle cose che sono loro esteriori. L’uomo che sa sedurre i suoi contemporanei avrà il favore della corte; l’uomo che dà soddisfazione al popolo sarà amministratore; l’uomo forte amerà la difficoltà; l’uomo coraggioso sfiderà la sorte; il soldato amerà la guerra; l’anacoreta avrà cara la fama; i legisti allargheranno la sfera del potere; i letterati che coltivano i riti e la musica avranno cura del loro contegno; i letterati che hanno il culto dell’umanità e della giustizia si appassioneranno ai rapporti umani. Il coltivatore che non strappa le erbacce non compie il suo dovere; il commerciante che non va al mercato non avrà scopo nella vita; gli uomini che si dedicano ai loro affari quotidiani se ne sentono spronati; gli artigiani che con abilità usano macchine o arnesi ne sono stimolati; senza denaro l’avaro avrà delle preoccupazioni; se non ha modo di brillare, il vanitoso sarà triste; l’avventuriero che spia la buona occasione amerà il disordine sociale. Insomma, tutti hanno le loro occupazioni particolari che dipendono dalle circostanze, e non possono non agire. Così vanno avanti per la loro strada, come l’anno in cui le stagioni si succedono e non cercano di modificarsi. Frustano il loro corpo e la loro natura per immergersi nelle cose. Non si ritrovano più fino alla fine della propria vita. Che peccato!”.
Ognuno di noi ha dentro una guida, un suggeritore che indica cosa mangiare, come vestire, quali decisioni prendere. È la voce dell’istintività che si esprime attraverso sensazioni, sogni, desideri, simboli, emozioni. Possiamo affidarci a questa voce profonda, che è collegata con il “Tutto”, oppure possiamo non ascoltarla e lasciarci guidare dalle paure, dai calcoli e dalla razionalità apparente. In entrambi i casi ci sono vantaggi e svantaggi.
Affidandoci alla guida dell’istintività, avremo più probabilità di realizzare il nostro essere profondo ma i nostri affari potrebbero risentirne.
Affidandoci alla guida del calcolo e della ricerca del profitto personale, avremo più probabilità di ottenere benefici materiali ma con il rischio di perdere l’essere naturale ed eventuali conseguenze per la salute e la felicità.
Gli atteggiamenti psicologici più diffusi, tra quelli che impediscono il sentire spontaneo, sono:
– il condizionamento del passato;
– l’anticipazione del futuro.
Nel passato possono esserci stati degli episodi, particolarmente intensi, di dolore o di sofferenza. È possibile aver acquisito abitudini che condizionano il sentire nel presente, facendoci interpretare ciò che viviamo alla luce delle esperienze passate. Nell’anticipazione del futuro prevale il pensiero del dopo: cosa farò dopo? cosa mi può succedere dopo? come si può sviluppare la mia vita lavorativa e relazionale? L’immaginazione produce un film, di cui possiamo diventare i protagonisti. Il nostro sentire viene quindi fortemente condizionato dall’immaginazione. Ma a questa, di solito, segue la delusione. La realtà è ben diversa da quella immaginata. E anche se casualmente la realtà somiglia al film immaginato, il grado di soddisfazione non è mai completo. La vera soddisfazione deriva solo dal sentire spontaneo.
Le difficoltà più grandi si incontrano nella realizzazione dell’istinto alimentare e dell’istinto sessuale. Si mangiano cibi solo per abitudini acquisite nel tempo e imposte dall’educazione. Spesso si mangiano alimenti, piacevoli solo perché ben pubblicizzati.
Anche il sentire e il piacere sessuale possono essere alterati dai condizionamenti che derivano dal passato o dalle aspettative di un futuro immaginario. Molto spesso, le relazioni non vengono costruite in base al sentire che si sviluppa attraverso il contatto, lo sguardo e la vicinanza, con conseguente difficoltà al godimento spontaneo e naturale del piacere sessuale.
I sintomi che si riferiscono alla perdita della spontaneità sono collegati soprattutto ai bisogni primari:
– alimentazione (desideri alimentari, avversioni alimentari, malesseri legati ai cibi, alterazioni dell’appetito, anoressia, bulimia, tutte la forme di golosità di compensazione); – sessualità (repressione dell’impulso sessuale, esaltazione dell’impulso sessuale, libertinismo, lascivia, lussuria, deviazioni sessuali, alterazioni nel desiderio e nell’attività sessuale);
– sopravvivenza (desiderio di morte);
– conservazione della specie (alterazione dell’istinto materno e paterno);
– sentire le emozioni (repressione emozionale che il soggetto esercita su se stesso, costretto dall’educazione ricevuta o condizionato da vessazioni e manipolazioni provenienti dall’ambiente esterno).
La realizzazione delle capacità personali
Ognuno di noi ha uno o più talenti. C’è chi ha capacità intellettive, chi capacità manuali, chi organizzative, chi di pensiero, chi di azione.
Le propensioni individuali vanno espresse e sviluppate nella misura più completa possibile in tutti i contesti: nei luoghi di lavoro, in famiglia e, in generale, nell’ambito dei rapporti sociali. Questa libera espressione delle proprie attitudini permette di provare una sensazione di gratificazione e soddisfazione. Il loro mancato sviluppo, invece, porta a un sentimento di inutilità e di insoddisfazione.
Sento che il testo, profondamente simbolico, della parabola evangelica dei talenti, esprime proprio il bisogno umano di sviluppare le proprie potenzialità:
“Un uomo, prima di partire in viaggio, riunì i propri servitori e affidò loro i suoi beni. Diede a uno cinque talenti, a un altro due talenti ed a un altro ancora un talento, secondo la capacità di ognuno. Poi partì. Subito, quello che aveva ricevuto cinque talenti si mise all’opera, li fece produrre e ne guadagnò altri cinque. Pure quello che ne aveva ricevuto due, ne guadagnò altri due. Ma quello che ne aveva ricevuto uno solo, fece un buco nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Tempo dopo il padrone di questi servitori ritornò e chiese loro conto. Quello che aveva ricevuto cinque talenti, gliene portò altri cinque dicendo: Padrone, tu mi hai affidato cinque talenti; ecco altri cinque che ho guadagnato. Il suo padrone gli disse: Molto bene, servitore buono e fedele, sei stato fedele in poco, io ti affiderò molto, vieni a rallegrarti con il tuo padrone. Quello che aveva ricevuto due talenti si presentò anch’egli e disse: Padrone, tu mi hai affidato due talenti, ecco altri due che ho guadagnato. Il suo padrone gli disse: Molto bene, servitore buono e fedele; tu mi sei stato fedele in poco, io ti affiderò molto; vieni a rallegrarti con il tuo padrone. Infine si presentò quello che aveva ricevuto un solo talento: Padrone, disse, io so bene che sei un uomo duro; tu raccogli là dove non hai seminato; tu raccogli là dove non hai zappato. Io ho avuto paura, ed ho nascosto il mio talento in un buco nella terra. Eccolo, ti rendo il conto. Il suo padrone gli rispose: Farabutto, fannullone! Tu sapevi che io raccolgo là dove non ho seminato, che raccolgo là dove non ho zappato! Dovevi dunque mettere il mio denaro in banca, al mio ritorno l’avrei ritirato con gli interessi. Toglietegli questo talento e datelo a quello che ne ha dieci. Verrà dato a chi possiede e sarà nell’abbondanza, ma a quello che non possiede niente, verrà tolto anche quello che crede avere. E il servitore inutile gettatelo fuori nelle tenebre: là saranno pianti e stridore di denti.” (Matteo 25:14-30)
In questa parabola, il padrone simboleggia il nostro essere profondo, i talenti simboleggiano le capacità che sono dentro di noi. Quando noi sviluppiamo queste capacità, il nostro essere profondo ci fa vivere una condizione di benessere. Invece, quando non le sviluppiamo, il nostro essere profondo ci fa vivere una condizione di malessere. Lo sviluppo delle capacità richiede intelligenza, coraggio, impegno, attenzione, controllo, perseveranza.
Possono considerarsi sintomi patologici: la pigrizia, il timore del fallimento, la codardia, i disturbi dell’intelligenza, dell’attenzione e della memoria, la mancanza di controllo, di perseveranza e di volontà, la falsa o distorta immaginazione di sé o del mondo.
Lo sviluppo delle proprie capacità implica, spesso, l’interazione con gli altri. Questa può essere di collaborazione o di competizione.
L’atteggiamento prevaricatore porta al conflitto e genera atteggiamenti come la collera, la rabbia, la prepotenza, l’aggressione verbale, la violenza, l’esercizio o il desiderio di forme di potere e di dominio sugli altri, il sospetto, l’inganno, la mancanza di rispetto per gli altri. Quando la prevaricazione viene subita si vivono sensazioni come l’umiliazione, la mortificazione, il disprezzo, il senso di fallimento. L’uomo, generalmente, pensa di soffrire conseguenze dal conflitto solo quando ne subisce gli effetti come parte più debole. Questo si spiega in base all’ottica prettamente individualistica con cui si guarda il conflitto, visione della realtà molto diffusa.
Nell’attuale contesto sociale uno dei valori più importanti è il Successo, ossia la valorizzazione massima del proprio ego, attraverso il raggiungimento degli obiettivi personali, realizzato senza badare ai colpi bassi inferti per raggiungerlo.
L’uomo sano si rende conto che in sé c’è una dimensione doppia di essere. Egli è individuo, combinazione unica e irripetibile di caratteristiche biologiche e psicologiche, genuinamente unico nel passato, nel futuro e nell’eternità. Ma, come dice Maslow: “Oltre all’atteggiamento di gratitudine assoluta per le differenze individuali ce ne è un altro, abbastanza diverso, che consiste nel mettersi al di sopra di queste differenze riconoscendo l’uguaglianza essenziale e il reciproco appartenersi e l’identificazione con tutti i tipi di persone nella suprema umanità o identità di specie, nel senso che ognuno è nostro fratello e nostra sorella”.
L’uomo sano si rende conto che non è lui il creatore della vita, ma che essa scorre in eguale misura all’interno di sé e degli altri. Rispetta la vita in tutte le sue forme: quella individuale, quella sociale, quella della specie umana e quella di ogni altra specie vivente. Le sue azioni tendono verso l’amore, l’aiuto e il beneficio per sé e per gli altri. Non si limita a pensare solo a se stesso, né si concentra esclusivamente sul servizio agli altri perché, in entrambi i casi, negherebbe una parte della totalità della vita. Affinché l’uomo possa vivere in salute, l’ego deve avere uno sviluppo equilibrato.
Una personalità eccessivamente egoica può manifestare i seguenti sintomi: l’egoismo che si concretizza nel desiderio di possedere solo per sé; l’egocentrismo o egotismo che porta l’uomo a fare di sé l’unico punto di riferimento, a considerare ogni cosa dall’angolatura della propria personalità, a concentrarsi esclusivamente sulle proprie idee e sulle proprie reazioni emotive; l’ipertrofia dell’ego che si esprime con orgoglio, arroganza, senso di superiorità, smisurata ambizione.
Al contrario, se durante l’infanzia l’uomo riceve un’educazione, in cui la sicurezza e l’autovalutazione sono state minate da atteggiamenti svalutanti, perpetrati dai genitori o dall’ambiente, può verificarsi un carente sviluppo fisiologico dell’individualità. In tal caso, il soggetto può percepire sensazioni di scarsa autostima e considerazione di sé che possono inibire o impedire lo sviluppo e l’espressione delle capacità individuali e la realizzazione delle ambizioni, dei progetti e degli scopi della propria esistenza.
Lo sviluppo interiore di sentimenti ed emozioni positive
È esperienza personale di ogni uomo, che lo stato di salute e il livello di energia fisica sono collegati al tipo di sentimenti e di emozioni vissuti. Quando l’uomo è pieno di amore e di gratitudine per sé, per il suo lavoro, per gli altri e per il mondo, si sente completo, dotato di un alto livello di energia, pieno di benessere e di gioia. Quando, invece, nell’uomo si manifestano sensazioni depressive o di noia, riesce a stento a trascinarsi durante la giornata. Se in lui alberga l’odio ed il risentimento, può diventare distruttivo. Se le passioni dominano il suo cuore, perde completamente la libertà interiore. È come se i sentimenti, cosiddetti positivi, di amore, gioia, generosità, attivassero nel corpo uno stato di grande energia generatrice di benessere e di salute, mentre i sentimenti negativi di ansia, paura, dispiacere, odio dessero origine ad un mal funzionamento del corpo, possibile causa di malattia.
“Un altro punto fondamentale da riconoscere è che la natura interiore di ciascuno di noi è solo in piccola parte specifica della persona, ma per la più grande parte è caratteristica dell’intera specie umana”. (Maslow H. Abraham)
Di conseguenza, quando sono vissuti sentimenti ed emozioni profondamente distruttivi (l’odio, il risentimento, l’invidia), nonostante siano rivolti contro gli altri, in realtà, per la profonda identità di specie, danneggiano molto di più la persona che li prova, anziché coloro verso cui sono destinati. Ancora Maslow afferma: “Il punto che ciascuno di noi dovrà riconoscere con grande nettezza e precisione, e da sé, è che ogni singola deviazione rispetto alla virtù positiva della specie, ogni atto malvagio, viene registrato senza eccezione alcuna nell’inconscio, e fa sì che disprezziamo noi stessi. Karen Horney ha trovato una felice espressione per descrivere questo percepire e ricordare dell’inconscio: l’inconscio, ha detto, ‘tiene i conti’. Se facciamo qualcosa di cui ci vergogniamo, l’inconscio lo ‘registra’ al nostro passivo; mentre se facciamo qualcosa di onesto, o di bello, o di buono, lo ‘registra’ a nostro credito. Il risultato netto sarà dell’una o dell’altra specie: o rispetteremo e accetteremo noi stessi, o ci disprezzeremo e ci sentiremo spregevoli, privi di valore, indegni di amore”.
In conseguenza, la nostra vita può essere piena di benessere e di salute o di malessere e di malattia. Metaforicamente Gesù Cristo è stato sicuramente il più grande “egoista” della storia: consapevole del fatto che i sentimenti negativi verso gli altri fanno stare male, soprattutto il soggetto che li prova, ha esortato l’uomo ad amare i propri nemici. Vivere nell’amore ci fa stare bene, vivere nell’odio ci distrugge.
Sapere che la natura interiore caratterizza l’intera specie umana, porta a comprendere che l’io individuale è profondamente connesso agli altri io, così come un’ape è profondamente connessa all’alveare. Quando, insieme al nostro benessere, cerchiamo anche quello degli altri, ne riceviamo benessere. Quando, invece, danneggiamo gli altri, ne riceviamo danno. La felicità e il benessere individuali sono, quindi, in relazione profonda con il benessere e la felicità della società in cui viviamo.
È impossibile, dunque, costruire la propria felicità sulle sofferenze o sull’infelicità degli altri.
In ogni uomo c’è una miriade di sentimenti e di emozioni. L’uomo sano, stimolato dagli eventi, può sperimentare anche i sentimenti più abietti e riprovevoli, ma evita di coltivarli e fa di tutto per comprenderli e superarli. Rinunciando alla tentazione del non amore, riesce a vivere prevalentemente sentimenti positivi. Lo stato affettivo ed emozionale della persona è fondamentale, in quanto espressione della capacità di amare, la più alta facoltà dell’essere umano vivente e senziente. Per l’Omeopatia rappresenta uno degli elementi più importanti nell’analisi del complessivo stato di sofferenza e nella conseguente scelta del rimedio omeopatico, il quale, con la sua azione, tende proprio a trasformare i sentimenti negativi in sentimenti positivi.
La condizione di autenticità
L’uomo sano non ha bisogno di atteggiarsi per apparire diverso da come egli è. Nelle relazioni sviluppa la sua comunicazione, rimanendo fedele il più possibile al proprio sentire autentico, senza atteggiamenti difensivi di autoprotezione o pose affettate. L’inganno, l’affettazione, la finzione, l’ipocrisia, lo sforzo per cercare di impressionare gli altri sono in generale assenti nelle persone sane. Anzi, esse in genere, vivono un certo disgusto per questi atteggiamenti artificiosi, quando li notano negli altri. Questo non vuol dire che siano persone esenti da difetti o da caratteristiche negative, ma che non si danno atteggiamenti per mascherarli.
Le persone sane riescono a esprimersi in un modo che è semplice, ma non per tutti facile. Riescono a dire “sì” quando nel loro sentire è sì, e “no” quando nel loro sentire è no. Hanno il coraggio di esprimere i propri sentimenti, di raccontare le proprie esperienze, di condividere le proprie emozioni, di comunicare i propri desideri. In tal modo, i loro rapporti sono caratterizzate da una sorta di “verità”. Le relazioni umane possono essere inquinate da malintesi e da silenzi.
L’interazione umana, verbale e non verbale, produce numerose emozioni quali la vergogna, la tristezza, l’ansia, la paura, l’insicurezza, la simpatia, la benevolenza, l’eccitazione, il dolore, ecc. Queste emozioni possono essere accettate o rifiutate dal soggetto che le prova. Nel primo caso è facile esprimerle in modo autentico. Nel secondo caso si può innescare una reazione di rifiuto dell’emozione provata, reazione che può essere di mascheramento o di aggressività. Quando una persona ci ferisce, mortifica o umilia, è inevitabile provare dolore.
Nella difficoltà di accettare questo sentire doloroso, si può sviluppare una reazione di difesa (collera, odio, rifiuto, risentimento) finalizzata all’eliminazione della sofferenza e alla distruzione simbolica delle situazioni o delle persone che, a nostro avviso, sono la causa dello stesso dolore.
Questa reazione può essere repressa nella sua manifestazione e allora il conflitto diventa sotterraneo.
Oppure questa reazione aggressiva può essere espressa, provocando la risposta di difesa dell’altro che dà origine ad un conflitto manifestato chiaramente.
Se una persona ci ferisce, possiamo reagire con rabbia accusandola di essere causa del nostro dolore. Questo atteggiamento aggressivo ed accusatorio, può provocare a sua volta una difesa altrettanto aggressiva, portando alla distruzione della relazione.
Quando la comunicazione è autentica, viene privilegiata l’espressione delle emozioni provate, senza attribuirne l’origine all’altro, ma comprendendo che esse sorgono da noi stessi, dalla nostra sensibilità e suscettibilità. L’accettazione e la manifestazione onesta, di quella che riteniamo la nostra vulnerabilità, è l’unica via per prevenire le incomprensioni e la violenza. Possiamo esprimere il nostro disagio senza accusare. Possiamo dire: “mi sento ferito dal tuo comportamento, e questo mi fa stare male”. Questo ultimo approccio non è accusatorio perché attribuisce alla sensibilità personale il proprio dolore, evita il conflitto e favorisce la crescita della relazione.
È possibile accettare la vulnerabilità emozionale, in quanto condizione dell’umanità, esprimerla senza necessariamente mascherarla. Quando l’uomo non esprime sinceramente il suo essere interiore e si illude di ingannare gli altri, in realtà inganna solo se stesso, perché non vive pienamente il proprio sentire. Sono comunque ben consapevole che le regole dettate dal vivere sociale, spesso, reprimono e condizionano la nostra autenticità e che diventa veramente difficile vivere nella verità, in una società retta da interessi economici ed affermazioni individuali. Società in cui il mascheramento diventa quasi una virtù, che permette di avere maggiore successo.
I sintomi legati alla perdita di autenticità sono: la menzogna, il mascheramento, la falsità, la manipolazione, la perfidia, l’inganno, l’affettazione, l’accondiscendenza, ecc.
La consapevolezza della responsabilità e creatività
È abitudine molto diffusa attribuire agli altri, alle circostanze, alla famiglia o al segno zodiacale la responsabilità per gli eventi che ci toccano o per le qualità che ci caratterizzano o che ci mancano. Pur senza negare il ruolo che assumono le condizioni esterne rispetto alle emozioni e alle scelte, bisogna riconoscere che siamo noi gli artefici della nostra vita per via delle scelte che, coscientemente o incoscientemente, abbiamo fatto. Le stesse condizioni esterne, apparentemente casuali, sono attratte dalle predisposizione personali. Il mondo esterno e il mondo interiore si incontrano come la chiave e la toppa di una serratura. Solo una determinata chiave può aprire quella specifica serratura. Solo quel preciso individuo, in un dato momento, può imbattersi in certi stimoli esterni.
L’accettazione della responsabilità, ci può mettere nella condizione di diventare cocreatori della nostra stessa vita, permettendoci di guardare fino in fondo le nostre azioni e le nostre debolezze per modificarle o accettarle, i nostri errori e le nostre scelte per cambiarle, diventando così artefici attivi del nostro destino.
Esiste un collegamento diretto tra i pensieri, le parole e le azioni, da una parte, e il tipo di relazioni, dall’altra parte. I pensieri di amore e le parole delicate possono determinare, per esempio, una relazione di amicizia o di amore. I pensieri aggressivi possono determinare una relazione di conflitto.
Anche l’opinione sugli altri dipende dal nostro modo di essere. Un soggetto assetato di guadagno legge nelle azioni degli altri solo l’interesse ad avere qualcosa. Un soggetto amorevole, invece, legge nelle azioni degli altri l’amore. Il compito più importante di un uomo responsabile non è quello di cambiare gli altri, ma quello di cambiare se stesso. “Vuoi cambiare il mondo? Allora cambia te stesso”.
Durante la mia esperienza professionale ho potuto constatare che la guarigione spinge verso scelte sempre più consapevoli in relazione al modo di essere, di rapportarsi, di alimentarsi. I sintomi legati all’assenza di consapevolezza della propria responsabilità sono: rimproverare se stesso o gli altri, irresolutezza, procrastinazione, pigrizia, mancanza di volontà, giustificazione delle proprie debolezze, sensi di colpa, rimorsi, assenza di scrupoli, rifiuto dei propri doveri e disconoscimento delle proprie responsabilità.
La sensazione di Unità col Tutto, realizzazione dell’istinto religioso (o spiritualità)
Il senso di religiosità può essere vissuto in tanti modi. Per alcuni è fondersi con la natura, riconoscersi come una fibra dell’universo. Per altri è sentirsi parte della stessa unità, che comprende tutto e tutti, è vivere uno stato di coscienza cosmica. Altri ancora si percepiscono come parte di Dio e sentono Dio dentro di sé. Questo è il senso profondo, comune alle grandi religioni. Gesù ci porta a riconoscerci come figli di Dio e a partecipare della stessa natura del Padre. Budda ci conduce alla scoperta dello stato di Buddità presente in ogni essere senziente. Maometto esprime che tutto è Allah.
Spesso dottrine religiose attuali perdono di vista gli originari insegnamenti su cui si fondano. L’uomo si è ritrovato ad adorare una divinità esterna ed estranea a se stesso, allontanandosi dal proprio istinto religioso. È possibile distinguere due aspetti nella religiosità: il bisogno religioso di unione con Dio e l’esperienza religiosa, come consapevolezza di essere parte di Dio. Consapevolezza che fa dire a Cristo: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Consapevolezza che Svami Vivekananda esprime nelle frasi seguenti: “Finché continuerete a pensare di essere seppur di poco diversi da Dio, la paura vi attanaglierà, ma quando capirete di essere Lui, che non c’è differenza, assolutamente nessuna differenza, che siete proprio Lui, in tutto e per tutto Lui, la paura cesserà. Perciò osate essere liberi, osate seguire i vostri pensieri fin dove vi condurranno e osate mostrarlo nella vita”.
“Dite sempre a voi stessi «Io sono Lui». Queste sono le parole che bruceranno le scorie della mente, le parole che faranno scaturire l’energia straordinaria che è già dentro di voi, l’infinito potere sopito nel vostro cuore”.
Danielle & Olivier Follmi
Il bisogno religioso e l’esperienza religiosa sono due aspetti qualitativamente diversi tra loro. Molte persone si considerano religiose perché partecipano alla pratica di riti, ma non hanno la profondità dell’esperienza religiosa. Vedono la grandezza di Dio fuori di loro, ma non sono piene di Dio. Nella vita quotidiana, non vivono caratteristica fondamentale dell’esperienza religiosa: il sentimento di amore creativo.
In relazione al bisogno religioso, si narra una storia su Bodhidharma, il primo patriarca del buddismo zen. Bodhidarma andò a trovare l’imperatore della Cina. Nella sua immaginazione era un uomo grande e sapiente. Arrivato al palazzo imperiale, apprese dai servitori che l’imperatore non poteva riceverlo subito. Stava pregando. Bodhidharma ebbe ancora più stima per l’imperatore. “Non solo costui è l’imperatore – pensò – ma addirittura prega”. Entrò nel giardino e si accostò al luogo, in cui l’imperatore pregava. Voleva ascoltare la sua preghiera. Sentì le sue parole: “Signore dammi la forza per guidare bene il mio popolo verso la prosperità, Signore dammi la saggezza per amministrare la giustizia, Signore concedi la salute al mio popolo”. Bodhidharma se ne andò disgustato. Pensò: “Credevo di incontrare l’imperatore e invece ho trovato il solito mendicante”.
Tempo fa vissi una profonda esperienza di unità: mi sentii come una piccola cellula che faceva parte di un grande corpo. Gli alberi, la natura, gli animali, gli altri uomini, tutto intorno a me erano parte di questo immenso corpo. Percepii che la separazione con gli altri esseri viventi è soltanto apparente. Ho immaginato una cellula epiteliale del braccio separata da una cellula epiteliale del viso. In realtà sono separate solo nella loro dimensione fisica, essendo, invece, unite in quanto parti di un unico corpo. Quante volte mi sono comportato come una cellula isolata dall’unità e piena di spinte individualiste!
I sintomi legati alla perdita del senso di unità sono: solitudine, abbandono, distacco, separazione, egoismo, ecc.
Scrive Walt Whitman nella poesia “Partendo da Paumanok”:
Niente è fine a se stesso
Io dico che tutto, terra e stelle del cielo hanno per fine la religione
Dico che nessun uomo è mai stato devoto la metà del dovuto
Nessuno ha mai adorato o venerato la metà del dovuto
Nessuno ha cominciato a pensare quanto divino sia egli stesso,
e quanto certo è il futuro
Testo estratto da Omeopatia – Conoscersi, curarsi, guarire (Anima Edizioni) di Salvatore Coco.
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