Disbiosi intestinale e sintomi psichici: un connubio all’apparenza singolare, più frequente di quanto si pensi…
L’intestino è al centro della vita. Addirittura qualcuno dice che siamo un intestino che nel corso dell’evoluzione si è dotato di una serie di accessori che costituiscono il corpo. In effetti bisogna ricordare che il tubo digerente è l’organo più antico in termini sia di filogenesi animale sia di ontogenesi umana con i suoi 500 milioni d’anni di evoluzione, e da esso sono derivati tutti gli altri organi, cervello compreso.
Azzardato?
Forse, ma in verità, anche la più recente ricerca scientifica fornisce una immagine dell’intestino umano che è molto di più dell’apparato che serve a digerire il cibo.
L’intestino, con il suo sistema nervoso e il suo sistema immunitario, attivi e costantemente dialoganti con il resto dell’organismo e con il mondo esterno, di cui processano la materia e l’energia che ingeriamo, è quasi un altro cervello. L’ esteso sistema nervoso che contiene è infatti del tutto simile a quello che abbiamo nella testa.
Questo “secondo cervello”, come è stato battezzato dagli scienziati che lo stanno studiando, dirige tutte le attività intestinali anche in collegamento con il “primo cervello”.
Le relazioni tra i due cervelli sono a doppio senso di marcia, nel senso che quello che accade nella testa (stress, emozioni) influenza la salute della pancia e viceversa: la salute della pancia può influenzare il benessere mentale (depressione, ansia e altri disturbi psichici). Questo cervello addominale, racconta la “sua” versione al cervello della testa, crea il suo “profilo emotivo” e prepara un “letto di sensazioni”, anche per la notte. Possiamo dire ragionevolmente che la salute si basa sull\’equilibrio tra un cervello, che possiamo definire – se questo rassicura la nostra razionalità – “superiore”, quello che ha sede nella scatola cranica, responsabile, tra le altre funzioni, della coscienza, e un cervello, altrettanto circonvoluto nelle sue anse, che ha sede nel nostro addome, che possiamo chiamare inferiore, il cervello peristaltico del nostro intestino.
Il dato straordinario, sotto un profilo biochimico, già dimostrato anni fa dalle straordinarie ricerche di Candace Pert, è che i due cervelli utilizzano gli stessi mediatori, neuropeptidi e neurotrasmettitori (tra l’altro questa è anche la ragione degli effetti collaterali gastroenterici di molti psicofarmaci). Nomi come grelina, gastrina, secretina, peptide C o neuropeptide Y, rimandano a sostanze secrete a livello gastroenterico, di dimensioni minori rispetto ai più voluminosi e più noti ormoni come l’insulina e il glucagone, ma che giocano in realtà un ruolo cruciale, non solo nella regolazione dei segnali della fame e della sazietà, dei meccanismi della digestione e dell’attivazione della risposta immunitaria, ma anche nella regolazione della trasduzione del segnale a livello del sistema nervoso centrale su più fronti.
Per portare un esempio, che oltretutto ha una ricaduta pratica, basti pensare che i farmaci antiacidi che agiscono inibendo la pompa protonica a livello della mucosa gastrica (si tratta di farmaci come i diffusissimi lansoprazolo, omeprazolo, pantoprazolo), bloccano anche il recettore per il GRP, peptide di rilascio della gastrina: ebbene, questo recettore è identico nello stomaco e nell’amigdala dorsale e nell’ippocampo (strutture del sistema limbico), dove è stato dimostrato che tale blocco, può, in una percentuale significativa di casi, condurre all’insorgenza di attacchi di panico.
E se pensiamo all’abuso che di farmaci antiacidi viene fatto (farmaci che andrebbero prescritti solo in caso di rischio di ulcera gastrica e per un tempo non superiore alle 8 settimane e che invece vengono assunti anche per sintomatologie da reflusso gastroesofageo e in assunzione cronica), il rischio che questi agenti portino uno squilibrio biochimico, con quello che ne consegue su vari livelli fisiologici, tra cui anche quello neurovegetativo, è tutt’altro che remoto.
Qual è la ragione di tanta diffusione di farmaci atti a correggere squilibri gastroenterici?
Quale il motivo di tanta frequenza di sintomatologie a carico intestinale come l’ormai diffusissimo colon irritabile?
E soprattutto, è corretto considerare che questi siano “normali” disturbi da stress, da accettare come un prezzo inevitabile della nostra esistenza?
Dobbiamo soltanto rassegnarci ad assumere eventualmente farmaci sintomatici o possiamo provare a penetrare un po’ di più nei meccanismi del nostro equilibrio psicosomatico gastroenterico?
A questo proposito un punto che raramente viene focalizzato è che una gran parte dell’equilibrio del “cervello intestinale” dipende dalla flora che lo abita. L’intestino infatti ospita, come ben spiegato dal noto microbiologo Philippe Sansonetti, un vero e proprio organo nell’organo: la flora batterica, costituita da un insieme di batteri i quali, convivendo in un determinato equilibrio contribuiscono allo stato di salute generale. Possiamo definirla un ecosistema costituito da diverse specie di microrganismi che comincia a svilupparsi fin dai primi giorni di vita del neonato.
Il nostro intestino è dunque riccamente colonizzato da batteri di vari tipi, tra l’altro in un numero molto superiore alla somma di tutte le cellule del corpo umano. Se l’uomo è composto da circa 10.000 miliardi di cellule la flora batterica intestinale è pari a 100.000 miliardi di batteri, 10 volte tanto. Se poi prendiamo in considerazione anche i batteri presenti sulla pelle o sulle alte vie respiratorie, il numero aumenta di molto.
Quello che emerge da questa osservazione è che i batteri dentro di noi sono essenziali per la nostra salute. Se, come abbiamo già detto, il tubo digerente è l’organo primario da un punto di vista evolutivo, da cui partono le connessioni con tutti gli altri organi, come conseguenza avremo che un intestino ben funzionante favorirà le funzioni degli organi sottoposti.
Dato che l’intestino stesso non può funzionare senza flora batterica, si può capire quale è l’importanza di un corretto equilibrio della stessa.
La condizione di equilibrio tra i vari ceppi di batteri è definita eubiosi. Se invece prevalgono funghi o altri germi che possono causare patologie, si dice che l’intestino è in uno stato di disbiosi.
Il punto è che, oggigiorno, la maggior parte di noi è in uno stato di cronica disbiosi, per diverse ragioni collegate al nostro stile di vita, prime fra tutti la scorretta alimentazione (dieta carnea, pochi vegetali, poche fibre, prodotti caseari, ecc.), e poi le cause jatrogene, a cominciare dall’abuso di farmaci in particolare di antibiotici, che oltretutto ingeriamo, senza saperlo, anche con il cibo stesso (non solo gli antibiotici vengono somministrati agli animali che poi verranno macellati ma si trovano anche sui vegetali).
La disbiosi spesso resta al di sotto di una soglia di gravità sintomatologica tale da indurre a indagare meglio il malessere, perpetuando così quel circolo vizioso di assuefazione a un costante disagio psicofisico, giustificato nella “panacea dello stress”, che va bene ormai come causa presunta di fastidi vari e vaghi, un po’ in tutte le stagioni.
È però dimostrato che la disbiosi, anche sottosoglia, è responsabile di molti disturbi a cui siamo spesso quasi anestetizzati, compresa la stanchezza cronica, la distimia, e anche l’irritabilità e la predisposizione all’ansia.
Dott.ssa Erica Francesca Poli
Psichiatra, psicoterapeuta.
Lascia un commento con Facebook