Il Natale si può considerare espressione dell’archetipo collettivo che celebra la rinascita del Sole e delle divinità a esso associate, ed è a sua volta simbolo di quella stessa rinascita che può avvenire dentro ciascuno di noi…
Nella notte più buia dell’anno,
nella grotta più oscura della terra,
nei momenti più cupi dell’esistenza,
lì nasce la luce
(Claudio Widmann)
Il culto del Sole come fonte primaria ed essenziale di vita per l’uomo, si può ritrovare in quasi tutte le civiltà della storia. Le origini della sua istituzionalizzazione nella cultura contemporanea risalgono all’Impero Romano. Nella Roma repubblicana era presente il suo culto attraverso la divinità del Sol Indiges che divenne poi Sol Invictus, e cioè Sole mai sconfitto, a partire dal II secolo d.C. Con questo appellativo religioso vennero unificate due divinità solari importate dall’Oriente, El-Gabal e Mitra, con quella romana di Sol. Fu l’Imperatore Eliogabalo, originario della città siriana Emesa, il primo a ufficializzare a Roma il culto del Sol Invictus, mutuandone le caratteristiche dai riti in uso nella sua terra d’origine.
Come era risaputo anche ai primi cristiani, in terre orientali i pagani celebravano un rito in onore del dio Sole dedicato al trionfo della luce sulle tenebre, nella notte tra il 24 e il 25 dicembre. Tra il 21 e il 22 dicembre si celebra, infatti, il Solstizio d’inverno, il giorno in cui l’astro si trova, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, nel punto di declinazione minima: è questo il momento in cui esso raggiungere l’altezza minima sull’orizzonte, dato un particolare luogo di riferimento.
Perché allora le celebrazioni del solstizio d’inverno si celebravano tre giorno dopo la sua ricorrenza? La risposta a questa domanda chiarisce una volta di più, se ce ne fosse ancora bisogno, la precisione delle conoscenze astronomiche degli antichi. Per un particolare fenomeno, che potremmo definire “effetto ottico”, e quindi “illusione”: osservato dalla Terra il Sole, una volta raggiunto il suo punto minimo, sembra che si fermi, che “sosti” in quello stesso punto per tre giorni prima di riprendere la sua ascesa nel cielo, che lo porterà sei mesi dopo, nel solstizio d’estate, a raggiungere il punto di massima elevazione sull’orizzonte a mezzogiorno. Per un osservatore terrestre, il giorno d’inizio dell’apparente risalita del Sole nel cielo, foriero quindi della primavera e della “ri-nascita” della vita sulla Terra, avviene tra il 24 e il 25 dicembre.
Proprio in questa data popoli arabi ed egizi festeggiavano ogni anno la ri-nascita del dio solare Aion, raffigurato come un infante generato dalla vergine Kore. Il rito è un evidente rimando alla dottrina “dell’eterno ritorno”. Nella tradizione cosmologica greca, Aion era uno degli aspetti del Tempo, inteso nella sua valenza di eterno presente, mentre Kore è la parola che designa genericamente la “fanciulla”, il femminile nelle sue infinite potenzialità. Kore è anche il nome di Persefone, una delle divinità femminili più importanti della mitologia greca, e anche degli archetipi astrologici essendo la regina consorte di Ade/Plutone, dio degli Inferi.
Alla morte di Eliogabalo, il culto del Sole fu sospeso per circa cinquant’anni, fino a quando l’imperatore Aureliano non vinse una fondamentale battaglia per la tenuta dell’Impero proprio grazie all’aiuto di una milizia della città di Emesa, la stessa da cui proveniva il suo successore. Con il pretesto di onorare la divinità che lo aveva protetto in battaglia, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus e ufficializzò il culto solare, edificando un tempio a Roma e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontefices solis invicti). In realtà, l’adozione del culto del Sol Invictus fu da parte di Aureliano un atto di reale politique, attribuendo a esso un carattere di forte coesione, considerato che il culto del Sole era ormai presente in tutte le regioni dell’Impero.
Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, durante una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, “Giorno di nascita del Sole Invitto”, facendo del dio-Sole la principale divinità del suo impero e indossando egli stesso una corona a raggi.
Mentre la celebrazione pagana del Sole aveva trovato in questo modo la sua data di riferimento ufficiale, quella del Natale cristiano non era ancora riportata negli antichi calendari delle festività cristiane, in quanto veniva ancora celebrata in date estremamente differenti tra loro.
Dopo aver abbracciato la fede cristiana nel 330, Costantino ufficializzò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù: esso fu fatto coincidere con la festività pagana della nascita di Sol Invictus e fissato quindi il 25 dicembre. Il “Natale Invitto” divenne così il “Natale” cristiano.
I culti pagani furono poi interrotti definitivamente dall’editto di Tessalonica, promulgato nel 380 d.C. da Teodosio I, anch’esso più interessato a promulgare leggi che potessero servire da collante per un impero in lenta disgregazione, piuttosto che alle differenze tra le diverse religioni allora presenti a Roma. Bandendo di fatto ogni altro culto, Teodosio I stabilì che l’unica religione di Stato era il cristianesimo di Nicea, la stessa i cui fedeli erano stati perseguitati e messi a morte fino a pochi decenni prima.
È interessante notare, da un punto di vista astropsicologico, come il collegamento tre le divinità solari pagane e quella cristiana fosse già presente in antichissimi esempi iconografici. Un mosaico del 250 d.C. che raffigura Cristo come Helios, con la corona radiata del Sol Invictus e il carro solare, è presente nel mausoleo sotto la Basilica di San Pietro. La valenza cristiana del mosaico si dedurrebbe dai tralci di vite che circondano l’immagine del dio Cristo. La corona solare, antichissimo simbolo di vita, a rappresentazione dell’energia del Sole che si irradia fin sulla Terra, continuerà a essere presente nell’iconografia cristiana come corona di spine.
Gli edifici sacri sono stati inoltre per molto tempo orientati verso est, punto dove il Sole, invitto dopo la lotta contro le tenebre, risorge per salire nuovamente nel cielo e garantire l’eterno ritorno.
Al livello del potere temporale, re e imperatori, che aspiravano a essere rappresentanti di dio in Terra, attraverso la cerimonia dell’incoronazione, assurgono allo stato di pontefici, diventando il ponte tra l’umano e il divino. Lo stesso, ovviamente, vale per il Papa, pontefice della parola di Cristo per i fedeli.
Da quanto detto finora può apparire più chiaro come l’astro, in quanto centro dell’Universo, fonte di energia e quindi di vita, abbia potuto funzionare come perfetto gancio materico per la proiezione di quello che Jung chiama “l’archetipo del Salvatore”. Un dio, presente come abbiamo visto a livello universale, che muore e risorge, e attraverso il quale viene rigenerato il mondo intero.
In quanto archetipo, quella rappresentata dalle diverse divinità solari è un’istanza presente nella psiche umana e nell’inconscio collettivo. La figura di un dio solare, di un salvatore dell’umanità, è presente in tutti gli uomini di tutti i tempi e si manifesta come espressione del divino, attraverso forme e simboli propri delle diverse culture. Sotto questa prospettiva archetipica junghiana, la figura di Gesù di Nazareth può essere spiegata come una proiezione collettiva di un bisogno di purificazione e di rinascita, in un periodo storico in cui fortissima era l’attesa del messia, del Cristo.
La parola “messia” deriva dal greco mesciach che, per sinonimia di significato, richiama a sua volta la parola christòs, “colui che è unto”, consacrato. “Con-sacrare” rimanda a sua volta al concetto di “sacro”, termine composto dalla radice indoeuropea sak e alla parola oro, a significare l’azione di “avvicinarsi all’oro”.
L’oro, come risaputo, è da sempre uno dei simboli del Sole. Ma è anche l’obiettivo finale del processo alchemico della “trasmutazione” (elevazione psicologica) dei materiali inferiori (gli aspetti conflittuale della psiche) in oro (l’auto-realizzazione spirituale). La “creazione” di un Dio solare può essere allora intesa come il risultato della proiezione dell’archetipo dell’individuazione, la tendenza innata dell’Uomo ad agire, a muoversi verso la scoperta dell’oro. Un oro, prima di tutto, interiore, la più grande ricchezza che ognuno di noi possiede: la scintilla divina presente in ogni essere umano alla quale Jung ha dato il nome di “Sé”.
(Articolo tratto dal libro elettronico Il Mandala della Felicità di Danilo Talarico, tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione; per utilizzare il testo in altri siti si prega di contattare l’autore all’indirizzo mail: cpamilano@virgilio.it)
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