La realizzazione della Buddità

 

Intervento di Giulio Cesare Giacobbe a “Dialoghi sulla Coscienza” (15-16-17 aprile 2016, Villa Bertelli – Forte dei Marmi), organizzato da Simona Barberi Eventi.

Tra gli argomenti del video:

Il Buddha ha dato inizio a un’epoca che ha visto la nascita di grandi filosofi e saggi.

Perché riesumare il Buddha dopo 2500 anni? Perché è l’unico personaggio che si sia dedicato alla soluzione del problema dell’infelicità umana.

Quello proposto dal Buddha è un vero e proprio metodo scientifico.

L’infelicità è una condizione nevrotica, perché in realtà noi nasciamo felici, ma perdiamo questo stato durante la crescita.

Il Tao già affermava che per vivere bene e in salute dobbiamo vivere in armonia con le leggi della vita.

Per la psicologia la gente è infelice perché accumula tutta una serie di traumi.

Ognuno ha come un istinto, una tendenza a mettersi in una condizione di trance o ripetizione, che ci mettono in una stasi mentali dove non c’ è più l’attenzione né lo stress, così come quando eravamo nell’utero.

Un trauma è un’aggressione. La natura fa sì che, se veniamo aggrediti, il corpo produce adrenalina e lo aiuta a fuggire o a reagire.

I problemi della vita di oggi, non sono sempre affrontabili scappando via o uccidendo la persona che ci porta la notizia sgradevole, e quindi abbiamo continue sollecitazioni sul sistema nervoso e sulla struttura muscolare.

Quando la tensione accumulata supera il punto critico, il nostro sistema si scarica attraverso il pensiero.

Il pensiero è la simulazione dell’azione che non abbiamo compiuto. Ogni volta che subiamo un attacco o un sopruso, nei giorni a seguire continuiamo a pensarci sopra.

La prima grande scoperta del Buddha è che il pensiero non solo è nevrotico, ma soprattutto viene formato automaticamente dalla nostra memoria e dal nostro inconscio. In altre parole non siamo gli autori intenzionali del nostro pensiero.

Inoltre, crediamo di prendere noi le decisioni prese dal nostro pensiero, ma in realtà quasi tutti i pensieri sono automatici.

Per gli orientali la mente è una scimmia che salta da un ramo all’altro.

Siamo nevrotici e soffriamo perché siamo schiavi di una scimmia nevrotica. La soluzione, dunque, è far tacere la scimmia, raggiungere il vuoto mentale.

Il Buddha ha scoperto la funzione terapeutica ed esistenziale del vuoto mentale.

Lo zen è il pastore sardo che, rispondendo alla domanda “A cosa pensi quando guardi le pecore?”, risponde: “Ma a cosa dovrei pensare? Sto guardando le pecore!”

Il vuoto mentale è stare fuori dalla mente per stare nella realtà.

Siddharta scoprì che la realtà è impermanente cioè il cambiamento è la legge universale della realtà. E scoprì che ciascun fenomeno è collegato e in rapporto a qualunque altro fenomeno.

Disse che non esiste il sé ma solo il non-sé. Per “sé” intendeva un fenomeno che potesse avere esistenza di per se stesso, indipendentemente dagli altri.

La conclusione è che non esiste né Dio, né anima, né vita dopo la morte, poiché sono tutti dei “sé”.

Il Buddha era dunque ateo e antimetafisico. Per lui l’unica cosa che esiste è il qui e ora, nell’impermanenza.

Per seguire il Buddha bisogna smettere di pensare, ma praticare la disciplina del Dharma.

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