Chi si trova in casa il Vangelo spesso è una persona che è stata fin dall’infanzia educata alla religione senza che ne avesse dei diretti riscontri, ma solo attraverso una dottrina che induce a credervi a priori. È pari a un credere senza aver assaporato: la parola sapere e sapore hanno la stessa origine, chi sa è colui che ha provato fino a sentire il gusto… Un articolo tratto da Vangelo Pratico di Enzo Comin.
Tutto quello che puoi scoprire di te non potrà mai davvero dirti chi sei. Il tuo passato non sarà rivelatore, la stessa realtà in cui sei inserito (o meglio, la cognizione che hai di essa) imbroglia. Se quindi non valgono le risposte che ci si dà per migliorare la consapevolezza di sé e del mondo, come progredire? Come effettivamente soddisfare questa prima tappa del nostro viaggio?
È già stato accennato il senso del non darsi risposte, ma anche che non si sta qui invitando all’ignoranza o all’indifferenza. Come posso affrontare il mistero che è Dio, se le risposte che mi do possono solo essere costruite dalle informazioni che già conosco? Sarebbe solo un mero ripetere gli stessi pensieri che mi hanno portato al punto in cui sono, al punto in cui mi sto ponendo la domanda. E se smettendo di darsi risposte queste arrivassero da qualche altra parte?
Confesso che la svolta principale in questo mio percorso è stato ammettere che non so nulla. Senza rendermene conto, mi comportavo come se sapessi tutto di ogni cosa, arrogavo una spiegazione (e di solito eccezionale) su ogni argomento.
La fede è un veicolo di liberazione, ma può anche essere di chiusura: la mia ricerca di Dio non era un modo per progredire, ma per riconoscermi superiore rispetto a chi non indaga questi aspetti. Addirittura, se qualcuno replicava le mie argomentazioni o le disapprovava, io non mi ponevo dei dubbi a causa di ciò ma semplicemente consideravo che quella persona non era in grado di capire quanto sostenevo e procedevo oltre, senza che la cosa mi influenzasse. Pure quando ricercavo letture, conferenze o presunti maestri che trattassero di spiritualità, non serviva che ad alimentare la mia presunzione; erano funzionali solo a confermarmi quanto già sapevo.
Avere fede vale a dire accettare qualsiasi cosa la vita offra, perché proviene dall’alto, eppure in questa maniera io non accettavo nulla. Respingevo tutti coloro che non confermavano quanto io ero arrivato a captare dell’immensità senza accorgermi che così, invece, non accoglievo la vita e quello che mi offriva.
Nella mia testa sono in effetti contenute intere biblioteche, per quanto ho studiato e ricercato su questi temi, ma sono solo informazioni. Non vi trovavo un piano per raggiungere libertà e felicità, soltanto ulteriori conoscenze da aggiungere a quelle già sedimentate dentro di me, le quali, come quelle precedenti, non generavano nulla: io ero sempre lo stesso.
L’intuizione che stessi sbagliando l’ho avuta facendo un confronto fra me e coloro che seguono il Vangelo. Ammettere di avere torto è stato l’atto più importante della mia vita. E anche parecchio difficile.
Sapere di avere torto, di non poter afferrare interamente la comprensione dello spirituale, dell’invisibile, apre le porte a molte più possibilità ed esperienze. Che mi sarebbero state interdette se avessi continuato ad ascoltare solo me stesso.
Ho avuto accanto un maestro che facendo riferimento al Vangelo mi ha avviato verso un percorso che avrebbe permesso alla mia fede di espandere il proprio potenziale. Il materiale per poterlo fare già c’era, lo strumento potente per guidarci (cioè il Vangelo) anche, ma evidentemente non sapevo come usare tutto ciò. È da tale abbandono, che è nata l’intuizione di questo libro.
Le intuizioni sono ciò che si percepisce come pensieri quanto più mettiamo in uno stato latente l’ego. Il quale rimane lì solo come mezzo per interpretare la realtà attraverso il corpo e la mente e così fare esperienza di questa vita assieme agli altri. Le intuizioni sono infatti pensieri, come suggerimenti, che pensiamo ma non abbiamo creato noi, che sembra che non vengono da dentro di noi: quella forza che induce lo scienziato a creare una teoria rivoluzionaria senza sapere come ha fatto, un artista a concepire un modo inedito di dipingere. Ma anche quando si fa una qualsiasi cosa in una versione nuova, percependo di comportarne un miglioramento.
L’intuizione è una delle conseguenze del mettere da parte l’ego per lasciare maggiore spazio dentro di sé a qualcosa di infinitamente più grande di noi. Più si è coinvolti a soddisfare il proprio ego e più esso prende un ruolo centrale, va a ingombrarci, ostruire quell’energia che può manifestarsi in noi e che ci permetterebbe di realizzare qualcosa di sconosciuto, magari di più grande […].
Questa energia è la vita stessa, impedirla equivale a frenare il naturale svolgersi della vita, spesso a opporcisi. È la stessa energia che induce il seme a germogliare. Cosa spinge i vegetali a spaccare il seme e allungarsi attraverso il terreno come germoglio e diventare una pianta? Mi si può rispondere che è per via dei nutrimenti contenuti nel terreno che alimentano il seme. Certo, ma cosa fa sì che il seme si nutra e ceda poi per lasciare spazio al germoglio? Ecco, stiamo proprio parlando di quell’energia che fa partire il tutto e che dà vita al tutto. Senza di essa non esisterebbe la pianta, solo un seme inerte.
Cosa succederebbe se a questo punto il seme non volesse germogliare? Fantastichiamo che il seme non voglia arrendersi a questa energia come temendo che qualsiasi cambiamento lo possa portare alla propria fine. E giustamente, perché questa energia farà cedere il seme, non per terminarlo ma per farlo evolvere a germoglio e poi a pianta, la quale produrrà dei frutti con al proprio interno una miriade di semi.
Ma questo seme non lo sa perché conosce solo il passato: l’essere seme; e si aggrappa con tutte le sue forze a questa conoscenza. Non vuole perdere la propria identità, si è identificato in essa ed è convinto che se stesso è esclusivamente quello. Se soltanto si arrendesse a questa forza, diventerebbe quello che essa ha in serbo per lui.
Come l’uomo che si aggrappa all’idea che ha di sé, si identifica in un ruolo, si riconosce in ciò e non vorrà mai cedere. Egli cercherà di primeggiare sugli altri, proprio come il seme cercherà di diventare il primo seme fra tutti quelli dell’aiuola. È così che l’uomo impedisce all’energia divina di transitare attraverso di sé e sospingerlo verso il nuovo se stesso di domani, che ovviamente non potrebbe neppure prevedere. Questa è la volontà dell’energia vitale, la volontà di Dio; arrendersi a essa è la via segnata dal Vangelo.
Avere fede, infatti, non significa solo fidarsi, ma affidarsi. Ovunque questa forza mi porti, io ci andrò. Ogni cosa che capita nella vita, pertanto, proviene da Dio; anche ciò che non si riesce a spiegare o quello che si potrebbe valutare come negativo. Io sono consapevole al massimo dei pochi metri attorno a me e del presente, come posso avere una chiara idea di quanto avviene nell’intero universo? Ogni elemento di esso è interdipendente, perciò non si possono esattamente valutare gli eventi che capitano. Di certo, se ogni cosa proviene da Dio, allora ogni cosa è una benedizione e mai una maledizione.
Si deve precisare che questo non significa che se tutto viene fatto da Dio allora l’individuo non si deve occupare di nulla. Non è che bisogna de-responsabilizzarsi ma, semmai, de-identificarsi. Il seme deve dismettere la convinzione di essere un seme.
Come già riferito, io sono un artista, ma non sono un artista, mi ero convinto di esserlo. È un’identificazione, come essere figlio, marito, italiano… sono solo i dettagli casuali della macchina che stiamo utilizzando per poter fare esperienze in questa realtà. Io sono uno spirito (tra l’altro infinito e pertanto immortale) che in questo atto dello spettacolo della vita interpreta il ruolo dell’artista, del figlio, del marito, dell’italiano, ecc. Se non mi identifico in ciò, lascio spazio a quest’energia di manifestarsi.
Nell’accettare le cose che la vita offre, senza riconoscermi in esse, io sto accettando quello che Dio vuole che io faccia. Quello che farò, sarà qualcosa di necessario per me, come persona, ma anche per Dio, come il “tutto” dentro il quale sono. Quindi, se io accetto, quello che voglio e quello che Dio vuole coincidono; non è che divento una passiva marionetta, vivrò con le stesse mire di Dio.
Arrendersi permette di essere tramite di Dio, possibile proprio grazie a un canale che inevitabilmente abbiamo aperto essendo in vita.
Questo canale (abbiamo visto come lo si può occludere o rendere vivace) acconsente anche alla manifestazione dell’essenza dell’individuo, facendolo progredire come nell’esempio del seme che diviene germoglio. Ora bisogna allenarsi a percepirsi così.
Il fatto che sono un artista è un esempio perfetto perché per lavoro devo creare. Io sono colui che concretizza l’opera ma non l’autore. L’autore è questa cosa che passa attraverso di me, infinitamente più grande e non è me. Ogni qualvolta l’artista si attribuisce la paternità dell’opera, si celebra per il risultato, lo usa per inorgoglirsi e sentirsi vincente sugli altri, questo canale si chiude.
Enzo Comin
Estratto dal libro Vangelo pratico
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