Ciò che vediamo nei nostri figli parla anche di noi

Nel modo in cui osserviamo i nostri figli vi è qualcosa che non li riguarda direttamente, ma che riguarda molto di più noi stessi.

Ti è mai capitato di reagire in malo modo, con un eccesso di giudizio e di severità, dinanzi a certi atteggiamenti di tuo figlio? Immagino di sì; a chi non è capitato almeno una volta, e anche molte di più, di essersi visto in queste vesti.

Prendiamo come esempio l’atteggiamento pauroso di un figlio, che in virtù di questa emozione che vive così intensamente, si trova sovente bloccato nelle sue interazioni sociali e scatena nel padre una reazione di collera: “Ma perché fai così? Ma basta con queste paure! Sempre a cercare aiuto! Ma dai!”

Oppure pensiamo a una ragazzina tendenzialmente molto attiva il cui comportamento scatenato provoca l’ira della mamma che non smette più di riprenderla in continuazione.

Dinanzi a quelle che possiamo considerare reazioni genitoriali eccessivamente forti, la saggezza ci verrebbe a dire che abbiamo bisogno di fermarci un attimo per riflettere e comprendere cosa in realtà stia succedendo dentro di noi. Dentro di noi, e non fuori.

Ma non perché la reazione eccessivamente paurosa o esuberante del figlio non possa e non debba anch’essa divenire frutto di una curiosa indagine, ma perché se qualcosa di buono e importante possiamo fare per noi genitori e per i nostri figli, questo qualcosa deve partire in primis dalla nostra vita interiore. Perché è lì che nascono le nostre reazioni ed è lì che vi è l’origine della nostra responsabilità genitoriale e la sorgente della qualità che possiamo apportare alla relazione che abbiamo con i nostri ragazzi.

È infatti al nostro interno e non fuori di noi che nasce quello che si chiama meccanismo di identificazione il quale, è il responsabile di una buona fetta delle nostre reazioni esagerate o critiche verso la nostra prole.

Tale meccanismo agisce portandoti a rivederti in tuo figlio. Ti porta a perdere il confine tra chi sei tu e chi è lui.

In un primo caso, se tuo figlio è portatore di una caratteristica che ti risulta pensante ma che anche tu hai, ti porta, inconsciamente, a essere pilotato dal desiderio di voler riscattare in lui ciò che un tempo tu non hai avuto la forza o la volontà di realizzare per te. Ma non è fattibile togliere il figlio da una condizione interiore con cui anche lui si trova a convivere. Lo si può sostenere, lo si può comprendere, non ostacolare nella sua fioritura, ma non lo si può trasformare attraverso la volontà e desiderio del genitore.

Nell’altro caso, se tuo figlio è invece portatore di una caratteristica che tu non possiedi o meglio, che non hai potuto manifestare, la perdita di confine tra te e tuo figlio, ti porta inconsciamente a essere pilotato dal desiderio di non permettergli di essere ciò che tu non hai potuto essere: più libero, meno soggetto a limiti e restrizioni genitoriali, più indipendente. E da questa condizione di inconsapevolezza, un’educazione rigida e le punizioni, diventano l’unico modo che hai a tua disposizione per urlare a gran voce il dolore che serbi nel cuore: “Non è giusto! Io questa cosa non ho potuto farla!”

C’è dunque in entrambi i casi un tuo dolore che viene prima del comportamento che vedi in tuo figlio e che per te è scomodo o irritante. E questo è importante saperlo perché non renderci conto di ciò, ci porta a continuare a vivere come burattini appesi ai fili di un altro meccanismo psicologico, quello della proiezione, che così può essere riassunto: anziché guardare dentro, noi gettiamo fuori.

Vivendo in seno a una cultura che ha estromesso l’esplorazione interiore a favore di altre forme di indagine, a noi non resta che continuare ad analizzare il comportamento dell’altro senza fermarci a riflettere se tra il modo in cui vediamo l’altro e il nostro peculiare modo di stare al mondo vi sia una correlazione; ma di questo funzionamento disconnesso non possiamo farcene una colpa, perché questo è la modalità che ci è stata trasmessa. Nonostante ciò, non significa che in queste acque paludose dobbiamo restare per sempre.

Quando il nostro sguardo sull’altro è pesante, dobbiamo divenire consapevoli del fatto che esso si andrà rischiarando nel momento in cui andremo almeno in parte depotenziando gli elementi che agiscono dentro di noi come lenti deformanti, tra cui le nostre personali paure e invidie.

Nel mio libro La vita dentro, troverai numerosi spunti di riflessione per imparare a stare accanto a queste nostre parti bisognose di noi, del nostro sguardo e della nostra compassione. E questo perché delle nostre paure e invidie non ci dobbiamo mica sbarazzare.

Nemmeno i meccanismi di identificazione e di proiezione vanno negati; non c’è niente che tu debba togliere, perché sarebbe veramente difficoltoso semplicemente annullare, cancellare, spazzare via questi meccanismi..

Ciò che devi fare invece è semplicemente riconoscerli e cercare di reagire a essi il meno possibile, come se ti allenassi a vederli in azione e a metterli sullo sfondo.

Unitamente agli effetti che hanno su di noi questi meccanismi, vi può certamente essere anche una nostra autentica preoccupazione, un dispiacere e un dolore umano, poiché in qualche modo veniamo a percepire e a sentire anche il dolore del figlio, la sua difficoltà. E questo va tenuto in considerazione altrimenti corriamo il rischio di pensare che tutto in noi debba essere trasformato mentre così non è. Preoccupazione e dolore fan parte dell’esperienza umana.

In questa cornice, è importante tenere a mente che il nostro aiuto come genitori non parte, né deve farlo, da nessuna forma di rimprovero o di giudizio ma dall’incoraggiamento, dall’essere uno specchio pulito in cui i nostri figli possano riflettere la loro bellezza, grandezza, e le loro caratteristiche peculiari. Il punto non è cambiare ciò che in loro noi percepiamo come qualcosa che non funziona bene, ma poter favorire lo sviluppo di ciò che ancora in loro non si è potuto sviluppare.

Wilma Riolo

Autrice del libro La vita dentro – Il viaggio interiore in gravidanza

La vita dentro

 


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1 commento su “Ciò che vediamo nei nostri figli parla anche di noi”

  1. Grazie per questo articolo illuminante. Mi piace molto l’approccio perché non elimina, ma accoglie e abbraccia. Solo questo atteggiamento può portare al cambiamento di sé, perché noi siamo OK! Non siamo sbagliati, non siamo cattivi, siamo dei sopravvissuti che desideriamo essere felici. Felici anche i nostri figli…

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