he-he-ayin
La grande energia della mia anima lotta contro gli inganni
Dal 16 al 21 maggio
Le doppie, nell’alfabeto della Qabbalah, significano eccesso di energia, e l’eccesso può essere un bene o un male a seconda della direzione in cui lo si fa confluire. Nel Nome di questo Cherubino la direzione si annuncia assai difficile: la doppia he, e dunque un’eccezionale potenza spirituale – si trova dinanzi un ayin, il geroglifico di tutto ciò che è pesante, ottuso, incerto come le nebbie e il fango di una palude. La grande maggioranza degli Haha‘iyah sa o sente di avere, nella vita, il compito di disperdere perlomeno gli effluvi dell’ayin, di lottare per la chiarezza, la verità, la luce; ma non è raro che ne siano sconfortati e finiscano per difendersene chiudendosi in se stessi: allora le loro belle energie in eccesso si irrigidiscono in forme strane, dolorose, anche, come crampi.
Così avviene a tutti quegli Haha‘iyah che nella prima parte della vita sono magnifici nel desiderare la bellezza e la felicità, e negli anni seguenti si costringono a una vita in stato d’assedio, in un apparente tentativo di conservare ciò che sono riusciti a ottenere, e in realtà soffrendo di una segreta incapacità di goderne, come gli avari che per timore della miseria non osano più sfiorare il loro capitale. Si direbbe, a quel punto, che il mondo sembri loro un posto troppo infido – troppo ayin – per potervisi rilassare; o che addirittura gli inganni si nascondano dentro loro stessi, così che a forza di domandarsi «Ma sarà vero ciò che provo? Non sparirà d’un tratto tutto ciò che ho?» possono avvicinarsi pericolosamente all’ossessione. Che dire, per esempio, di quei tanti Haha‘iyah innamorati, che per dubbi di questo genere rimangono sempre al di qua della dichiarazione? O di quegli Haha‘iyah che avvertendo in sé un talento per l’arte (e spesso ne hanno) diventano talmente critici verso se stessi da paralizzarsi, alla fine, del tutto? Il guaio maggiore è che un’energia vasta come la loro non può accontentarsi di restare inattiva, o anche soltanto sulla difensiva; se ristagna troppo, è facile che si volga contro se stessa e produca malessere: malattie complicate, disturbi del comportamento, o magari circostanze capricciosamente avverse, dato che le nostre energie spirituali hanno una notevole influenza anche sul destino, oltre che sulla mente e sul corpo.
È essenziale dunque che gli Haha‘iyah si sforzino di opporsi sempre, con forza e fiduciosamente, a quelle paludi che altrimenti li imprigionerebbero. Fece bene l’Haha‘iayh Giovanni Paolo II a mantenersi iperattivo fino alla fine: agiva, così, a vantaggio non soltanto della sua Chiesa, ma anche del proprio benessere interiore.
E anche Andrej Sacharov, Malcolm X, Bertrand Russell e il giudice Giovanni Falcone: tutti Haha‘iyah pienamente convinti sia di agire per la luce, sia di non aver tempo, con tutto il buio che c’è in giro, per fermarsi a recingere e difendere il terreno guadagnato. Così anche Balzac, che nei suoi novanta romanzi (duemila e più personaggi) parve voler analizzare tutti i possibili aspetti dell’ayin nella società francese; e Frank Capra, con l’inesauribile e invicibile ottimismo dei suoi film: La vita è meravigliosa, È arrivata la felicità, L’eterna illusione, A Pocketful of Miracles(che in Italia divenne Angeli con la pistola), titoli-slogan da autentico Haha‘iyah militante, che mette tutto l’eccesso delle sue he a disposizione del prossimo, e ne viene giustamente premiato.
Certo, con il veemente, impaziente impulso di quelle he, non ci si potrà attendere da questi illuminatori una mente meticolosa, sensibile alle sfumature e ai tanti chiaroscuri della verità. Per loro sarà tutto «sì» o «no», bene o male, volumi compatti, slanci diritti e precisi – e, finché staranno andando all’assalto, tutto ciò giocherà certamente a loro favore, perché il bene sarà ai loro occhi ben più netto e maiuscolo del male. Brilleranno, così, in tutte quelle professioni che si fondino sulla speranza in un mondo migliore: dal sacerdote all’artista, dall’architetto al medico, dall’estetista al politico idealista che trascina le folle.
Appena rallentano, invece, capiterà il contrario: l’incertezza, i dubbi, la sospettosità che, come dicevo, spinge gli Haha‘iyah pessimisti a fermarsi a ogni piè sospinto per verificare più e più volte il passo precedente, farà apparire il male circostante molto più significativo del bene, fino a far loro odiare gran parte dell’umanità, e sognare qualcuno che le imponga la ragione con la forza. Qualcosa del genere dovette avvenire all’Haha‘iyah Khomeini, che da rivoluzionario oppositore del regime dello Shah si trasformò, negli ultimi, lunghi anni della sua vita, in un cupo oppressore. Non credeva, probabilmente, di fare il male del suo popolo; solo, il popolo aveva cominciato ad apparirgli tutt’a un tratto come l’ayin recalcitrante contro l’ideale – la doppia he – che lui aveva in cuore. Il pugno di ferro divenne inevitabile. Gli Haha‘iyah evitino di cadere in un simile equivoco nella loro vita quotidiana, nella professione o in famiglia: imparino a considerarlo come una vera propria malattia spirituale, a riconoscerne i primissimi sintomi e a prevenirlo, con un tenace allenamento all’ottimismo. Potrebbero per esempio pensare e convincersi che qualcosa, in loro, porti fortuna agli altri, se loro stessi lo vogliono: come una bacchetta magica che agisca a comando. Funziona, come metodo per consolidare il loro umore; e, con un po’ di pratica, può anche diventare vero.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli
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