mem-tsade-resh
Al confine dei territori noti, io proseguo per vie tortuose
Dal 16 al 20 gennaio
Metsar, in ebraico, è «istmo», e la mente e la vita dei Metsara’el somigliano proprio a un’estrema propaggine di terra, che, sinuosa come una tsade, congiunge due continenti e separa due mari. I due continenti sono, per ogni protetto di questo Arcangelo, l’infanzia e l’età adulta; e i due mari sono il sogno e la follia. Il suo compito è scoprire quell’istmo, e farlo scoprire: è bellissimo, infatti, meravigliosamente panoramico; ma è anche tortuoso, ha scogliere a precipizio, e voragini, e quei due mari psichici sono tutt’altro che calmi. Avviene perciò che parecchi Metsara’el non riescano nell’impresa: e scivolino giù in acqua da una parte o dall’altra, oppure ritornino indietro, nella loro infanzia, in vere e proprie regressioni dalle quali anche gli aspetti più quotidiani della vita sociale appaiono come irraggiungibili terre straniere. A ciò si aggiunge anche la massiccia Energia Yod dei protetti di questo Arcangelo, e dunque l’alternativa netta che si pone loro, tra il curare le malattie del prossimo o l’ammalarsi – di disturbi psichici in particolar modo.
Va da sé che la scelta giusta sia il curare altri, ma è indispensabile che i Metsara’el la preparino e la consolidino con tutta una serie di qualità non facili da sviluppare: grande determinazione, equilibrio, creatività, oltre che naturalmente altruismo. La loro principale dote terapeutica consiste infatti in un alto grado di ipersensibilità, che li rende impareggiabili nelle diagnosi e nell’intuizione in genere, ma implica sempre il rischio di degenerare in vulnerabilità. Devono perciò imparare a proteggersi. Indubbiamente un Metsara’el sta bene solo quando si preoccupa più del prossimo che di se stesso, ma deve puntare la sua attenzione sul benessere degli altri, su ciò che di bello c’è o può esservi in loro, e non lasciarsi condizionare dalle loro morbosità, dalle loro opinioni o dalle tante brutture con cui avrà a che fare esplorando animi e vite. È dura, per chi come lui sa percepire con eguale precisione le vie di scampo che sempre si aprono in una psiche malata, e l’intensità delle sofferenze che la malattia produce: ma se si lascia attrarre più da queste che da quelle, vi cadrà dentro e faticherà enormemente a uscirne. Così pure, nel mondo circostante può avvertire con straordinaria intensità gli aspetti luminosi e quelli orrendi: ma se privilegia i secondi ne subirà la fascinazione, e se ne lascerà travolgere, in forma di fobie e di manie di persecuzione.
Si trovano così, tra i Metsara’el, Edgar Allan Poe e Al Capone, travolti entrambi, ciascuno a suo modo, dal raccapriccio e dal male; e Federico Fellini, che alle ferite della bruttezza riuscì a opporre per tutta la vita – a volte con sforzo immenso – geniale dolcezza, ironia e amore dell’umanità. Che, d’altra parte, i Metsara’el siano per natura candidati alla genialità è cosa evidente, e lo sanno benissimo anch’essi: si accorgono spesso di cogliere, come al di là dei loro pensieri, realtà spirituali più alte, armonie segrete, che a volte sembrano nostalgie, altre volte ispirazioni ansiose di prendere forma. Sentono, allora, di essere davvero sull’istmo tra quelle dimensioni superiori e la realtà in cui vivono – ma possono spaventarsene, e fuggire, e magari smarrirsi sulla via del ritorno. Il Metsara’el Vittorio Alfieri usava legarsi alla sedia, davanti allo scrittoio, per resistere allo sgomento quand’era ispirato; il Metsara’el Benjamin Franklin, appassionato di elettricità, passò alla storia anche per aver inventato, guarda caso, il parafulmine: un istmo metallico, cioè, tra le energie del cielo e la terra. Nei Metsara’el che invece non sanno canalizzare l’intensità delle loro percezioni, gli impulsi delle dimensioni superiori diventano fatalmente ossessioni, compulsioni; la capacità di concentrazione si dissolve e, invece di poter fare molto per gli altri, vengono a trovarsi essi stessi nella condizione di non riuscire in nulla, neppure nelle minime cose, senza che qualcuno li assista.
La maggior fortuna, per loro, è che qualcuno li esorti fin da adolescenti a prendersi estremamente sul serio: un genitore, un mentore, un fidanzato paziente, che sappia amare e comprendere le debolezze e i talenti della loro componente infantile, e convincerli che, nonostante le apparenze, il mondo ha estremo bisogno di loro. Quel loro bambino interiore va incoraggiato, con tutta la sua curiosità, la sua sete di bellezza e bontà per sé e per tutti. Certo, è escluso che un Metsara’el possa risultarne un buon funzionario, o un impiegato capace di coordinarsi con i colleghi, o un lucido commercialista o un avvocato, attento alle minuzie e indifferente ai frequenti momenti di noia della sua professione. Ma ovunque occorra creare, esprimere, inventare, ripristinare, guarire, riparare o salvare, i Metsara’el che siano riusciti ad aver fiducia in se stessi e negli altri possono portare contributi memorabili.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli
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