yod-beth-mem
Io considero le cose nel loro insieme
Dal 6 all’11 marzo
È un altro Angelo dei Re, come Haziy’el, dei Cherubini, e Phuwiy’el, dei Principati. Dei tre,Yabamiyah è il più fantasioso e il più creativo, ma non è detto che questi doni non possano causare, ai suoi protetti, qualche problema.
La creatività infatti è benefica in coloro che avvertano un forte bisogno di esplorare ciò che la loro ragione non comprende ancora, e che la loro coscienza non può ammettere di conoscere già: è inoltre un talento che si alimenta dell’approvazione altrui; il creativo, quale che sia il suo campo, è avido di attenzione, di pareri, di applausi. Ma chi è nato negli Angeli dei Re è ben oltre tutto ciò. Quale che sia il livello delle sue conoscenze, lo Yabamiyah dispone di una sapienza che rischiara già ogni grado del suo orizzonte: si rende conto di vedere (d’improvviso, e a colpo sicuro) altrettanto bene in se stesso e negli altri, anche in ciò che gli altri credono di nascondere, o magari in ciò che non osano sperare. E questo gli dà una supremazia, regale davvero, che rende del tutto indifferente ai suoi occhi il fatto di venir approvato o meno; è lui, semmai, a dover decidere che cosa negli altri sia meritevole di approvazione o di biasimo: e gli Yabamiyah – proprio come gli Haziy’el e i Phuwiy’el – sono infatti nati apposta per criticare il mondo che li circonda, e non per farsene criticare.
La creatività può dunque rischiare seriamente di distrarli dal loro vero compito. Se la applicano all’arte, permetterà loro di produrre opere valide solo quando è sostenuta da una profondissima cultura: come fu per gli Yabamiyah Alessandro Manzoni o Maurice Ravel – e anche allora apparirà sempre velata da una patina un po’ didattica, del genere «ti spiego io come si fa» – ma negli altri casi i risultati saranno vacui, sforzati o manierati, alimentati più dalla vanità e dall’orgoglio che non da autentici contenuti.
Se invece provano ad applicare la creatività anche nelle loro scelte di vita, ne risultano quasi immancabilmente confusione e incertezza. Tipico degli Angeli dei Re è, dicevo, l’orizzonte perfettamente sgombro, senza né illusioni, né zone d’ombra, e dunque senza passioni, ambizioni, sfide. Ciò accresce enormemente la loro lucidità e il loro realismo, ma impedisce appunto alla creatività di trovare una direzione netta, in cui concentrarsi e agire. Il rischio, allora, è che tutto possa diventare, per loro, occasione di sperimentazione creativa: e che tutte le professioni e tutti i passatempi li attraggano – contemporaneamente! – tanto quanto i colori attraggono un pittore, o i progetti un architetto; e l’inevitabile conseguenza è che, trovando tutto tanto invitante, gli Yabamiyah si ritrovino per lungo tempo a non fare proprio nulla, paralizzati in ogni direzione dall’azione di forze uguali e contrarie. Forse, talvolta, li potrà stimolare per un po’ lo spirito d’emulazione: ma in quei casi è peggio ancora, poiché si tratterà, per loro, di un’emulazione di pessima specie, nutrita non dal gusto della gara, ma dall’irritazione e dall’invidia, quasi, del vedere altri appassionarsi a qualcosa di preciso, e dalla voglia di guastargli la festa dimostrando di essere migliori di loro.
È opportuno, perciò, che gli Yabamiyah orientino le loro tendenze creative in un senso molto più vantaggioso, sia per loro stessi sia per gli altri. Il loro amore per la bellezza può placarsi in una dedizione alle opere o ai talenti altrui: gli Yabamiyah portati per la letteratura possono cioè diventare ottimi traduttori; quelli portati per la pittura geniali galleristi, critici o storici dell’arte; quelli portati per la musica perfetti organizzatori di concerti; quelli portati per il teatro o per il cinema magistrali registi, che da dietro le quinte guidino gli attori a dare il meglio di sé. Queste posizioni più riparate soddisfano anche il profondo bisogno di privacy, che è tipico degli Yabamiyah: all’impatto personale con il pubblico essi preferiscono di gran lunga il raccoglimento, con immense dosi di tempo libero tutto per loro, con pochi, pochissimi amici ammessi a fare sporadica compagnia.
Se invece l’amore per il bello non li ha ancora presi o momentamente non li prende più, e la loro creatività assume più avventurosamente le forme d’un desiderio di ciò che è nuovo, il modo migliore per trarne vantaggio sarà scegliere una professione legata ai viaggi: ai viaggi altrui in particolare. Si contano tra gli Yabamiyah grandi esploratori, antichi e moderni, da Vespucci a Gagarin, nati per aprire agli uomini nuove rotte; vi si contano ancor di più felici albergatori, direttori di compagnie e di agenzie turistiche, e gestori di ristoranti in luoghi pittoreschi – tutti registi anch’essi, a modo loro.
Mentre per quanto riguarda l’amore per chi è bello, la questione è e rimane piuttosto delicata. Gli Yabamiyah non solo sono notoriamente indecisi (talvolta anche la loro vera identità sessuale rimane a lungo un problema da asino di Buridano), ma anche quando sembrano aver preso finalmente una decisione, hanno sempre l’aria di chi ogni giorno ci voglia ripensare. I loro compagni non notano in loro i segni distintivi della passionalità, o perlomeno non hanno mai l’impressione che l’amore – anche soltanto di quando in quando – possa contare per loro più di qualche altra cosa. Ed è vero: per gli Yabamiyah non c’è nulla che conti più di qualcos’altro, e il tutto – l’orizzonte, appunto – è per loro sempre più importante di ogni sua singola parte. Ciò può determinare nella loro vita sentimentale lunghi periodi di solitudine, o di incertezza e confusione, ed è difficile dire che cosa sia più insoddisfacente. Molto meglio che si facciano forza e tentino, nonostante tutto, di impegnarsi costruttivamente in una relazione sola; troppo grande è infatti per loro il rischio di disgregazione della personalità: di assumere cioè (per eccesso di creatività, di nuovo) tanti volti diversi quanti sono i loro legami, e di non sapere proprio più chi e dove sono davvero.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli
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