Poco conta essere neurochirurghi od operatori ecologici, giudici o carcerati, uomini di cultura o becchini, ciò che conta è fare anima…
Noi possiamo riferirci soltanto alla nostra diretta esperienza. Ogni qual volta diciamo “sono fatto/a così”, facciamo un’affermazione di grande superficialità, poiché l’unica cosa certa di noi è che non ci conosciamo affatto. Siamo il frutto dell’educazione, del pensar comune, del linguaggio verbale e corporeo familiare, delle ideologie, della morale religiosa, di tutto tranne che il frutto dell’anima che ci abita. In chiunque dica di essere fatto in un certo modo si può cogliere un’infinita fragilità e anche una sensibile fatica interiore nel tener fede, durante tutto lo scorrere del giorno, a quest’affermazione. Come rammenta saggiamente il filosofo Carlo Sini, l’autenticità va conquistata, va acquisita con umiltà e sforzo; Gurdjieff direbbe che è il frutto di un lungo e pesante lavoro su di sé. Tale lavoro non dà frutti definitivi, ma corruttibili che svaniscono di giorno in giorno annegati nella meccanicità dei gesti, delle parole, delle abitudini, dei fatti che accadono, come diceva John Lennon, “mentre siamo intenti a fare altro”.
[…] decidere […] di aprirsi al dolore della conoscenza del nostro funzionamento interiore è decisione assolutamente individuale e appartiene al libero arbitrio di cui siamo dotati. Bisogna cioè attivare una volontà potente ed efficace, una disciplina costante che accompagna, come un sottofondo musicale, lo svolgersi del tempo limitato della nostra vita. Tutto questo non per migliorare il rendimento, la seduttività, il benessere, la salute, le condizioni economiche, per ottenere successo o per tutte le ulteriori velleità del mondo ordinario che generano depressione, aggressività e dolore, ma per quello che Hillman chiamò, con semplice genialità, il “fare anima”. Questo e solo questo è il compito dell’essere umano: fare anima e per farlo bisogna attivare la volontà.
Come diceva il Cristo, dovremmo essere donne e uomini di buona volontà, ma la volontà non è un regalo, non ci viene donata alla nascita. Alla nascita ci viene donata solo l’opportunità di diventare esseri di buona volontà e, per diventarlo, è necessario un lavoro costante, giornaliero, sul corpo fisico, sulle emozioni e sulla mente. Poco conta essere neurochirurghi od operatori ecologici, giudici o carcerati, uomini di cultura o becchini, ciò che conta è fare anima.
Un uomo del nostro secolo, che si crede esperto del mondo e governatore delle proprie scelte, ci chiederebbe con spirito consumista: “A che pro? Qual è la contropartita? Che ci guadagno da tutta questa fatica?”
Beh, certamente nulla che si possa riscontrare sul conto corrente (con questa affermazione perdiamo più del 90% degli ascoltatori, se siamo in conferenza), ma guadagniamo senz’altro l’opportunità di comprendere il senso reale della nostra vita, che di colpo ci appare come un territorio inesplorato, costantemente nuovo, ricco di mistero e di invisibilità, in cui non c’è più un attimo per la noia e per il taedium vitae.
Alla fine possiamo vedere la Realtà e in essa l’indissolubile importanza dell’altro. In quei rari attimi in cui, all’inizio di questa fatica, si palesa la Realtà per ciò che è veramente e non per quella che noi crediamo che sia quando ci svegliamo al mattino, si sviluppa una sostanza, interiormente, infinitamente più potente delle benzodiazepine e degli antidepressivi (o del sesso compulsivo o del possesso di gadget tecnologici) a cui ricorriamo quando vogliamo tener fede a ciò che crediamo di essere. Tutto ciò che di solito incontriamo al risveglio, invece, è solo il frutto delle proiezioni che sono state fatte dai nostri educatori in buona fede e a fin di bene. Ecco perché gli esoteristi sanno fin troppo bene che la notte non porta con sé soltanto i buoni consigli, ma una pericolosa assenza dell’anima che molti di noi percepiscono al risveglio come un forte disagio, misto ad ansia.
Raffaele Fiore, estratto dal suo libro Creatività medica (Anima Edizioni)
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