Iniziare dalla fine significa fornire una chiara immagine unita a una vivida sensazione di ciò che vuoi imparare anticipatamente, agire come se già lo sapessi fare…
Qualche giorno fa, mi confrontavo con uno stimato direttore sportivo, l’argomento centrale verteva sulla formazione dei giovani sportivi. Il fulcro della discussione riguardava la corretta gestione a lungo termine dei giovani, sostengo che una quercia abbia bisogno di un lungo periodo e le cure appropriate per diventare quell’essere maestoso e forte, in grado di contrastare le bizzarrie di madre natura. Non è possibile velocizzare il suo processo di crescita in modo ecologico, ci vuole il tempo che ci vuole. Assisto, nel quotidiano, a una tendenza all’esasperazione, alla ricerca del risultato oggi anche se questo comporta sottoporre un giovane in crescita a stimoli allenanti e pressioni psicologiche per cui egli non è ancora maturo.
Il confronto, arricchente a priori con questo personaggio, si concluse con una sua metafora illuminante, tagliò corto dicendomi: «Sai Omar, io mi sono diplomato come geometra e per calcolare le fondamenta devi partire dal tetto».
Il profondo significato di questa frase lo si trova, come al solito, nella vera saggezza della strada, mio padre ripeteva sempre la frase: «Se il giovane sapesse e se il vecchio potesse», ho avuto uno strepitoso successo in due interazioni con due sportivi che, pur praticando sport diversi, erano accomunati dal medesimo problema. Uno era un giocatore di Biliardo, l’altro un Golfista. Entrambi avevano un problema negli ultimi colpi, quelli decisivi, e più alta era la posta in gioco più il problema dell’ultima buca o dell’ultima carambola si manifestava.
Sono bastate due sedute in campo, per risolvere il problema. Si trattava di giocatori esperti, quindi le ansie da prestazione non esistevano, anche se entrambi mi avevano cercato convinti di farsi venire le ansie all’ultima azione. Tutti e due adottavano la medesima strategia all’ultimo colpo, facevano tutte le loro procedure correttamente ma «immaginavano la traiettoria che la bilia e la pallina avrebbero dovuto seguire per andare a destinazione». Fin qui tutto corretto, lo facevano allo stesso modo anche nelle azioni precedenti e tutto andava bene, perché non funzionava nell’ultimo colpo? Il dittatore del telencefalo si intrometteva, attraverso il dialogo interiore sussurrava: «Questa è l’ultima e se sbagli? Andrà a finire come sempre…». Einstein diceva che non si potevano risolvere i problemi con lo stesso livello di pensiero che li aveva generati, quindi se era la mente conscia a creare il problema non potevamo metterci a fare un lavoro cognitivo per risolverlo.
Ho semplicemente accompagnato, fisicamente, entrambi a guardare la pallina e la bilia dalla fine, il golfista si è messo per terra a un centimetro dalla buca e, da quella prospettiva, ha osservato la pallina. Il giocatore di biliardo ha osservato l’ultima bilia e da quel punto di osservazione ha visto la prima bilia da colpire. Dovevi vederli entrambi, mancava solo che uscissero gridando: «Eureka, Eureka!». Ho semplicemente applicato una drastica interruzione di uno schema negativo, e ho utilizzato il senso della vista di modo che non dovessero più “immaginare” qual era la traiettoria, ma che sapessero realmente quale doveva essere la traiettoria.
«Il giovane ha la forza, il vecchio conosce la strada».
Iniziare dalla fine significa, esattamente, fornire una chiara immagine unita a una vivida sensazione di ciò che vuoi imparare anticipatamente, agire come se già lo sapessi fare.
Collaboro, da anni, con un famoso sci club italiano, ricordo una bellissima battaglia ingaggiata con i maestri, avevano l’abitudine di riprendere gli allenamenti e le gare dei giovani sciatori, successivamente facevano vedere “gli errori” tecnici, in questo modo, secondo loro, avrebbero avuto chiaro ciò che dovevano evitare di fare per migliorare.
Se io sono un giovane sciatore ho uno schema corporeo che mi porta a eseguire quella determinata tecnica in modo assolutamente personalizzato, se questa personalizzazione va in detrimento della mia performance, è giusto cambiarla per migliorarmi. Se mi vedo compiere l’errore, il mio super megagalattico processore visivo imprime nella mia corteccia visiva il movimento che io, prima mentre sciavo, sento di fare. Questa impressione nella corteccia visiva viene comunicata istantaneamente al cervelletto, non è filtrata dalla ragione. Entrambe le regioni anatomiche sono localizzate quasi come dei dirimpettai, comunicano con celerità quantistica, quasi non locale.
Risulta evidente, anche a te, che è meglio che io (allenatore) riconosca l’errore guardando con attenzione il filmato e che poi, anche utilizzando il video, faccia vedere il giusto modo di eseguire la tecnica. Fornire, dunque, alla corteccia visiva un modello idoneo che venga comunicato alla corteccia motoria.
Uno dei cavalli di battaglia della Programmazione Neurolinguistica è il modelling o modellamento, in effetti agli albori Bandler e Grinder partirono con il presupposto di riuscire a modellare l’eccellenza, se fossero riusciti a capire quali modelli le persone eccellenti mettevano in atto per riuscirci, avrebbero potuto dare le chiavi per imparare l’eccellenza. Il fatto è che chi riesce in modo eccellente, normalmente, non ha consapevolezza di come ci riesce, lo fa e basta.
[…] Voglio rimarcare che [la tecnica del modellamento – NdR] si tratta di una tecnica di supporto, e anche se nel mondo dello sport, l’allenamento ideomotorio viene utilizzato sin dagli anni ’70, ti consiglio vivamente di utilizzarla a sostegno, e non in sostituzione, della sacrosanta, quotidiana, stancante ripetizione fino alla nausea.
Imparare da zero tramite il modellamento talvolta risulta utopico, appoggiarvisi per migliorare una nuova capacità sulla base di uno schema preesistente è assoluta garanzia di successo.
Omar Beltran
Estratto dal libro Sport Quantico
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