Noi siamo spinti da due forze: una conservatrice, che è poi quella rappresentata dall’albero, e una creatrice, che ci spinge verso l’inedito, verso l’essere quello che siamo… Da un’intervista a Giuseppina Tazzioli, riportata nel libro Segreto di Famiglia di Simona Barberi e Gian Paolo Del Bianco
Nella teoria dell’albero (psicogenealogico – NdR) si riscontra come il trauma si realizzi nella prima generazione, venga canalizzato nella seconda e depositato nella terza. Nel caso specifico del segreto di famiglia, nella prima generazione ciascuno cela agli altri l’avvenimento, tutti esitano a svelarlo: è quello che viene chiamato lo stadio dell’indicibile. Nel corso della seconda generazione il segreto diventa innominabile: non si può ricollegare il segreto a nessuna rappresentazione verbale. Nella terza generazione diventa impensabile. L’idea che le informazioni che arrivano a noi non sono solo dei nostri genitori, ma dei genitori dei nostri genitori, è d’altronde abbastanza trasversale: dalla psicanalisi transgenerazionale alla psicologia sistemico-relazionale, fino alle costellazioni familiari. Già Jung nel 1929 aveva compreso l’importanza della trasmissione psichica tra generazioni e aveva ipotizzato l’esistenza di un inconscio collettivo come l’esistenza psichica degli antenati giù fino alle prime origini e come luogo dove le rappresentazioni psichiche (traumi, pensieri, ricordi, percezioni, affetti, ecc.) sono trasmesse all’uomo attraverso le generazioni.
– Perché questo segreto lascia il solco solo in alcune persone della famiglia e non nelle altre?
Perché ci sono regole molto precise nella famiglia: a ogni membro familiare viene assegnato un posto ben preciso e ogni discendente familiare si identifica precisamente con il ruolo assegnatogli. La famiglia lo sostiene e lo mantiene dentro una matrice di investimenti e di cure, predispone segni di riconoscimento e richiamo, assegna posti, offre mezzi di protezione, segnala limiti, enuncia interdetti. Per esempio, occupare nella fratellanza il posto di primogenito, secondogenito o ultimogenito genera proiezioni molto diverse da parte dei membri della famiglia a seconda dei vissuti delle generazioni precedenti. Un figlio nato dopo la morte di un fratellino, di cui magari porta anche il nome, erediterà il compito di figlio di sostituzione e si caricherà del compito che inconsciamente gli è stato assegnato.
– Al netto delle dinamiche dell’albero, che cosa resta del libero arbitrio?
Noi siamo spinti da due forze: una conservatrice, che è poi quella rappresentata dall’albero, e una creatrice, che ci spinge verso l’inedito, verso l’essere quello che siamo. Mi viene da rispondere parlando della storia di Gustave Flaubert, l’autore di alcuni dei libri più importanti di fine Ottocento. Gustave era arrivato dopo un primogenito desiderato e ammirato e, dopo che altri fratelli erano morti piccolissimi, il padre aveva avuto di che soddisfarsi educando il primogenito al dovere di rispecchiamento di se stesso. La madre avrebbe desiderato una figlia e questo nuovo maschio la deludeva; era trattenuta dal riversare il suo amore su Gustave da questa attesa frustrata e dalla paura che anche lui morisse precocemente. Se n’era presa cura con senso del dovere, niente di più. Gustave faticava a leggere, era inefficace nell’apprendimento; le lettere dell’alfabeto erano per lui enigmi totali; fu disconosciuto dal padre, emarginato dalla vita familiare, escluso dalle speranze di successo. Egli aveva ereditato una condanna all’esilio. Ma sarà capace di stravolgere questa eredità, di trasformare e quindi far vivere se stesso in una vita che è perfetta discontinuità genealogica, esistenza guadagnata dallo scollamento dal mandato inconscio che lo avrebbe inchiodato all’esilio. Flaubert riuscì a generare una torsione al suo mandato dandosi una nuova informazione, realizzando pagine bellissime. Credo che il libero arbitrio sia proprio questa possibilità di costruire noi stessi a partire da ciò che abbiamo ereditato, trasformando questa eredità in un punto di slancio e di scollamento; la possibilità di trasformare la ripetizione nell’inedito, la capacità di far diventare il difetto di fabbrica non il terreno su cui piantiamo le tende, identificandoci totalmente con esso, ma, partendo proprio da lì, renderlo qualcosa di autenticamente nostro.
Da un’intervista a Giuseppina Tazzioli, riportata da Simona Barberi e Gian Paolo Del Bianco nel loro libro Segreto di Famiglia (Anima Edizioni)
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