La nostra libertà è essere in grado di sentire in ogni momento chi siamo, con tutti i paradossi della nostra natura. La rivoluzione del sentire implica abituarci a concedere quel tempo e quell’attenzione anche alle sfumature delle nostre sensazioni, percezioni, emozioni. Per connetterci alla consapevolezza del nostro vero sé, piuttosto che all’io cosciente… Un articolo tratto da Trasforma le tue ferite di Elena Lupo.
Ciò che definisce quello che siamo, il nostro senso di essere “me” e non qualcun altro, ha principalmente a che fare col sentire. Nel sentire c’è la sede della nostra consapevolezza e quindi della nostra identità.
Per diventare ciò che cerchiamo è quindi fondamentale sintonizzarci su cosa sentiamo.
Quando chiedo alle persone che accompagno «cosa senti mentre mi parli di questo?», la risposta spesso è «non saprei, mi sento male/mi sento bene». Ma come esattamente emerge nel corpo quel male o quel bene raramente nella nostra vita quotidiana viene degnato di attenzione o tempo. La mente tende a essere pragmatica e sbrigativa. E le sensazioni e tensioni accumulate dal corpo rimangono per lo più inconsapevoli.
La rivoluzione del sentire implica invece abituarci a concedere quel tempo e quell’attenzione anche alle sfumature delle nostre sensazioni, percezioni, emozioni. Significa dare un nome, una collocazione, una consistenza, un colore, una forma: rendere il nostro sentire “tridimensionale”, per coglierne il messaggio più profondo. Per capire chi siamo in quel momento, cosa si muove in noi, cosa ci abita, che direzione stiamo prendendo. Per connetterci alla consapevolezza del nostro vero sé, piuttosto che all’io cosciente.
La neurobiologia delle emozioni ci mostra che, come ogni cosa in natura, noi ci creiamo e ci ricreiamo in ogni istante e siamo dotati di un vastissimo repertorio di risposte su cosa stiamo vivendo, se solo permettiamo a noi stessi di sentirlo per come è, invece che ripetere schemi del passato con i quali ci siamo identificati, per il semplice fatto che in qualche modo hanno funzionato.
— Erica F. Poli
L’equilibrio del nostro benessere è veicolato dalla nostra capacità di sentire e di ascoltare il nostro corpo, ed è questione di verità e libertà: se sei lontano dal sentire, sei lontano dall’essere, e fuggendo dal sentire, fuggi la tua verità. La nostra libertà è essere in grado di sentire in ogni momento chi siamo, con tutti i paradossi della nostra natura. Dal 1988 l’Istituto di Psicosomatica PNEI del Villaggio Globale, sotto la direzione del prof. Nitamo Montecucco, ha studiato la relazione tra coerenza cerebrale e consapevolezza di sé, evidenziando una relazione statisticamente significativa tra la coerenza elettroencefalografica (EEG) e il benessere psicologico e psicofisico dell’individuo. Queste ricerche hanno evidenziato che la consapevolezza tende ad aumentare la coerenza EEG, fino a produrre “onde armoniche”.
Le pratiche di consapevolezza rappresentano quindi un fondamentale strumento per il miglioramento del benessere psicofisico.
Quando separiamo l’azione del pensare da quella del sentire, si creano infatti dei blocchi nel corpo che limitano i movimenti e le funzioni fisiologiche. Ci sono regioni nel corpo dove queste disfunzioni sono maggiormente focalizzate: nei muscoli del viso, sopra gli occhi, nelle tempie, tra le mandibole, fra la testa e la colonna vertebrale, nella nuca, nel collo, fra la testa e il tronco, nella gola, nel torace e nel cuore, fra la colonna vertebrale e gli organi interni del tronco, nel diaframma, fra stomaco e intestino.
Il senso profondo di ritrovare se stessi nel sentire è la riconnessione tra questi livelli. Ricominciando a percepire i confini corporei, dando attenzione ai distretti “dimenticati”, rilassando le tensioni muscolari, esprimendo gli stati emotivi che sono stati bloccati, legati all’autoaffermazione e all’inibizione all’azione.
Presupponendo l’unità di corpo e mente non è infatti più possibile vedere la salute psicologica in modo separato dalla salute corporea, intesa come connessione col proprio corpo e le sue sensazioni.
Ciò che sentiamo, pensiamo, viviamo come individui entra a far parte fisiologicamente dei nostri processi biologici: così come assumiamo un’identità cognitiva, un senso di individualità con ricordi, idee e propensioni proprie, anche il corpo possiede una sua identità, con capacità simili, come memoria, apprendimento, schemi. Come parliamo di identità neuro-psicologica, così possiamo parlare di identità immuno-corporea, dove quello che sembra semplice tessuto è in realtà un continuo processo dinamico, cosciente e comunicativo.
Questa identità funziona attraverso il sistema immunitario, in particolare grazie alla rete di comunicazione tra cellule e tessuti, che si legano, si separano, si spostano in continuazione. Proprio come in una comunità, le cellule del sistema immunitario costruiscono un tessuto di interazioni attraverso le quali altre cellule o molecole vengono attivate o disattivate per il funzionamento ottimale dell’organismo: è un’identità di sistema mediata dalla comunicazione immunologica. Nel sistema immunitario risiede la capacità di avere una storia del corpo, un sé corporeo.
La mia identità non è quindi determinata da geni e cellule, ma dal complesso delle loro interazioni.
Il motivo per cui le mie cellule sono al posto giusto e svolgono la loro funzione è che comunicano attraverso un linguaggio comune e svolgono un costante problem solving biochimico che ci mantiene in salute nonostante tutte le perturbazioni interne ed esterne.
Lo stesso organismo di cui siamo composti, inteso come insieme di cellule, tessuti e organi, è in realtà un’entità cosciente che agisce in co- stante mutamento e comunicazione tra le parti, atta a mantenere un buon livello di omeostasi, ovvero di equilibrio delle funzioni interne adattandosi continuamente alle caratteristiche dell’ambiente. L’equilibrio che ci contraddistingue come esseri viventi è quindi qualcosa di tutt’altro che statico: tutte le nostre cellule rinnovabili (escluse ovviamente quelle che non lo sono) si distruggono e ricreano costantemente ogni ventuno giorni. Potremmo dire che ogni ventuno giorni noi siamo “nuovi” per molta parte del nostro corpo. Il nostro corpo potrebbe sembrarci fermo e fissato nello spazio, eppure ci stiamo costantemente muovendo, in ogni istante della nostra vita.
Questo complesso meccanismo in costante evoluzione funziona attraverso diversi processi di comunicazione:
‒ Neurochimica: oggetto di studio della medicina tradizionale.
Nel 1997 Candace Pert, fisiologa e biofisica, scopre la presenza di neuropeptidi (elementi-segnale tipici del sistema nervoso) ovunque nel corpo, che rendono possibile una comunicazione biunivoca tra le cellule dei vari apparati. La mente è ciò che tiene insieme la rete, ed è inseparabile dal corpo: possiamo letteralmente dire che la mente è nel corpo.Se volessimo utilizzare una metafora, sarebbe come dire che nel sistema corpo-mente i diversi apparati si distinguono per “dialetti” propri in base alla struttura delle proprie cellule specializzate, ma che nel contempo tutte le parti del sistema riescono a comunicare tra loro attraverso uno stesso linguaggio comune condiviso.
Nei suoi esperimenti ha infatti rilevato che le cellule immunitarie non solo presentano i recettori per i vari neuropeptidi, ma producono a loro volta immunopeptidi, sostanze informazionali capaci di regolare l’umore e le emozioni. Il sistema immunitario invia e riceve quindi informazioni dal cervello attraverso i neuropeptidi, giocando un ruolo essenziale nel ciclo completo della biochimica delle emozioni e nell’organizzazione delle difese. E il cervello riceve e risponde attraverso immunopeptidi, influenzando la sua capacità di difesa. Non possiamo quindi più attribuire alle emozioni minore validità che alla parte fisica e materiale, anzi dobbiamo considerarle una chiave per la comprensione delle malattie.
‒ Non-locale: oggetto di studio della biofisica quantistica. All’interno delle pareti della membrana cellulare la principale componente è costituita dai microtubuli, che funzionano come un piccolo sistema nervoso e circolatorio, e rendono ogni cellula dotata di una forma di intelligenza propria. Autentici processori di informazione che interagiscono con l’ambiente circostante in maniera meccanica (proteine), chimica (ioni) ed elettrica (voltaggio).
La struttura dei microtubuli è molto simile ai cristalli liquidi e si comporta secondo i meccanismi di super radianza caratterizzati dall’emissione di biofotoni (luce) producendo informazione di tipo istantaneo e non-locale. Ovvero permette alle cellule di comuni- care a distanza senza che l’informazione debba essere veicolata da processi neurochimici.
Fritz Albert Popp dimostrò dal 2005 che i biofotoni possono essere intesi come una luce laser biologica in grado di generare e mantenere l’ordine nell’organismo umano e di trasmettere informazioni al suo interno, costituendo un vero e proprio “biocampo” individuale. Nel 2009 fece importanti scoperte sulle variazioni di emissioni di biofotoni nelle cellule tumorali.
L’informazione portata dal biocampo è basata sul materiale genetico e sulle influenze epigenetiche e fornisce un vero e proprio controllo operativo su tutti i programmi vitali dell’organismo. Ogni biocampo individuale interagisce costantemente anche con il biocampo di altri organismi e di tutto ciò che ci circonda.
Sentire significa quindi iniziare a percepire i diversi livelli della nostra identità, cognitiva, corporea ed energetica, allenarsi a concepire noi stessi come un biocampo umano, caratterizzato da campi elettromagnetici, frequenze, processi quantistici ed emissioni di luce. Tutti questi piani e livelli, insieme, formano ciò che possiamo definire “io sono”.
Elena Lupo
Estratto dal libro Trasforma le tue ferite
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