Ha’a’iyah

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La mia anima cerca le grandi imprese 

Dal 28 luglio al 2 agosto  

Cime tempestose! Il titolo dell’appassionato romanzo dell’Ha’ a’iyah Emily Brontë sembra proprio un’allusione alle due aleph del Nome di quest’Angelo, che raffigurano un’enorme e inquieta potenzialità: un eccesso d’amore – di eros soprattutto – e di vigore, un’incontenibile voglia di dare inizio a grandi cose, di allargare il mondo. E quanto dovette soffrire Emily, che trascorse invece la sua breve vita nella casa paterna, sulle struggenti colline dello Yorkshire, con due sorelle a formare tutto il suo pubblico! Gli Ha’a’iyah sono nati per la folla. Lottatori, e conquistatori di masse, aspettano, come un altro aspetterebbe un taxi, di poter cogliere al volo una di quelle correnti ascensionali che trascinano gli individui in alto, verso la popolarità, e che in qualsiasi città del mondo sono molto più numerose di quel che si potrebbe immaginare: gli Ha’a’iyah sanno riconoscerle, imbrigliarle, e poi non mollarle mai, fino alla fine, senza che nessuna vetta faccia loro girar la testa. Come non esserne affascinati, mentre salgono così? Sono genî della comunicazione. Perfetti quando si sbracciano su un palcoscenico, su una tribuna: come l’Ha’a’iyah Mussolini, l’unico statista che sia mai riuscito a parlare in versi a maree di gente troppo estasiata per accorgersi che era soprattutto la metrica a ipnotizzarli. E spesso imponenti nella figura: come l’Ha’a’iyah Schwarzenegger, divo e governatore. E aggressivi quanto basta, ma abilissimi nel giustificare la propria aggressività come indignata ribellione a qualche ingiustizia. Esemplare, a questo proposito, la 96 battuta di Schwarzenegger nel film True Lies, quando alla moglie che gli chiede se ha ucciso qualcuno, risponde: «Sì, ma erano tutti cattivi»; o la disinvoltura con cui Mussolini, ex socialista, riuscì a far passare il colpo di Stato fascista per una rivoluzione popolare. E non è che siano o vogliano essere, in ciò, del tutto insiceri: le ingiustizie commesse da altri scatenano davvero la loro collera; ma la collera, per loro, diventa rapidamente un pretesto per adoperare in grande stile la loro arma prediletta: l’intuito del politico ambizioso, che cerca situazioni di crisi per utilizzarle a proprio vantaggio, per ergersi a difensore, e plagiare coloro che difende, mentre li entusiasma con la sua maestria nel prevedere le mosse e le macchinazioni dell’avversario e nel preparare contromosse che lo spiazzino. A ciò si aggiunge l’altra sorprendente dote politica degli Ha’a’iyah: la capacità diinventare ideali che galvanizzino molti, e di costruire su quegli ideali regole rigorose e interi codici morali, per usarli poi, spesso, come il pifferaio di Hamelin usava il suo piffero – o come il capitano Ahab usò il suo odio per Moby Dick, nel romanzo dell’Ha’a’iyah Hermann Melville. Il guaio è che allora il loro senso di giustizia può ingigantirsi fino a diventare una specie di delirio paranoico, terribilmente convincente finché c’è un fervido Ha’a’iyah a proclamarlo, e strano, assurdo, a ripensarci dopo, quando l’Ha’a’iyah non c’è più.

La moderazione sarebbe il loro migliore alleato. Basterebbe un po’ di senso della misura per rendere veramente fruttuose tutte le loro qualità che ho elencato, e soprattutto quell’innata conoscenza della psicologia di massa che le sostiene tutte quante. Gli Ha’a’iyah sono, inoltre, grandi organizzatori, lavoratori indefessi, pragmatici, abili nelle questioni finanziarie: e, quando non si lasciano prendere troppo la mano dalla loro voglia di dominare, possono diventare l’anima di qualsiasi ufficio, o i costruttori del successo di qualsiasi azienda commerciale o produttiva – come avvenne nel caso di Henry Ford, che, tra l’altro, obbedì pienamente al suo Angelo inventando l’utilitaria, l’auto di massa. Quando hanno abbastanza pazienza per dedicarsi accuratamente allo studio, la loro mente, vasta davvero, può farne dei teorici di tutto rispetto, bravissimi anche a imporre le loro idee, come sir Karl Popper, filosofo della scienza e della sociologia: molto ha’aiano fin nel titolo è il suo testo più celebre, La società aperta e i suoi nemici, del 1945.

Quando invece esagerano, non solo rischiano di apparire ridicoli e patetici, ma incorrono facilmente in quello che si rivela poi un errore per loro fatale: il tentare raggiri. Se appena si permettono qualche disonestà, è come se il loro stesso senso di giustizia si rivoltasse contro di loro e facesse in modo che li si scopra e li si punisca con durezza. Finché denunciano malefatte altrui, possono far innamorare la gente: ma se cominciano a ingannare, tradire, truffare, diventano d’un tratto la parodia di se stessi, chiacchieroni ammorbanti, insopportabili, e tutti li abbandonano. Tristissimo, allora, diviene lo spettacolo che offre l’Ha’a’iyah che, rimasto solo, sgomento, usa le sue vecchie armi di lottatore unicamente nel sospettare cospirazioni inesistenti, o nell’immaginare invano riscosse e vendette contro non si sa bene chi, mentre il senso di colpa lo corrode all’interno. Rispettino dunque scrupolosamente le regole del gioco duro che loro stessi si sono scelti: eroi e mai bugiardi (nemmeno nella vita privata!) e allora sì, potranno aspirare a una vera grandezza..

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