heth-ayin-mem
Io trovo la ragione delle perversioni come dell’ordine morale
Dal 29 settembre al 3 ottobre
Enrico Fermi, che aprì la strada alla costruzione della bomba atomica; il Mahatma Gandhi, che nel frattempo stava dimostrando al mondo l’efficacia della non-violenza nel contrastare gli imperi; il romanziere Truman Capote, che nonostante il suo carattere mitissimo si dedicò per anni a studiare nei dettagli, come affascinato, il massacro compiuto da un paio di disadattati, e lo narrò poi crudamente in A sangue freddo: erano tutti e tre Ha‘amiyah, e illustrano bene, ciascuno a suo modo, il duro compito che quest’Angelo delle Potestà affida ai suoi protetti. Il lato buio della mente umana, la malvagità, l’impulso alla distruzione, i modi e i mezzi, anche, che alla distruzione si offrono, sono il territorio che gli Ha‘amiyah possono e devono assolutamente esplorare, perché in qualche modo vi giunga la luce – sia essa la luce della ragione, del cuore, o del dominio della mente scientifica sulle energie temibili ma pur sempre immense che là si trovano. Devono illuminare quelle tenebre: non viene perdonata loro né la comprensibile paura dei mostri nascosti laggiù, né quella del contagio del male, o delle conseguenze che potrebbe comportare l’apertura di certi oscuri vasi di Pandora: è troppo importante, per l’economia dell’universo, che qualcuno estenda anche da quella parte i confini della coscienza. E infatti negli Ha‘amiyah renitenti, che vorrebbero restarsene in zone più confortevoli, quella paura genera puntualmente disturbi psichici ingombranti: incubi ricorrenti o fobie, oppure un continuo sforzo di reprimere le proprie emozioni, come per non destare un qualcosa di tremendo, di inammissibile che in esse sia acquattato – e quanto più le reprimono e vogliono apparire sempre gentili e misurati, tanto più notano in chi parla con loro un senso di imbarazzo, una strana cautela… Ho conosciuto Ha‘amiyah che proprio per questa ragione non uscivano quasi più di casa, o non parlavano mai di se stessi. Così non va. La loro renitenza è dovuta al fondato sospetto che quelle cose terribili che devono indagare siano in loro, ma questa è solo una verità parziale: l’Inammissibile è in chiunque, e gli Ha‘amiyah ne hanno la chiave, come la principessa aveva la chiave della stanza segreta, nella fiaba di Barbablù. Di più ancora: gli Ha‘amiyah sanno, sentono che proprio là dentro, nel buio, nel brutto, nel pericoloso, si trovano elementi preziosi da trasformare in ricchezze dello spirito; lì è l’altra faccia della verità, senza la quale ogni destino, ogni sentimento rimangono incompleti. Non per nulla Fermi scoprì, oltre agli elementi fondamentali della Bomba, anche i primi principî della fisica delle particelle: indagava le possibilità della materia, certo, e non quelle della psiche, ma nulla meglio delle sue scoperte ha dimostrato quanto i due tipi di ricerca interagiscano l’uno con l’altro, e vadano di pari passo: gli uomini sono quello che sanno, e quello che possono fare con ciò che sanno!
Non trattengano dunque, gli Ha‘amiyah, il loro desiderio di conoscenza: smettano di sospettare di sé e si lascino guidare dal loro istinto di principesse curiose, sia che si tratti di analizzare pulsioni distruttive o esplosivi. Nessuno può saperne più di loro! Secondo una tradizione della Qabbalah, il Nome di quest’Angelo fu la formula sacra che Giacobbe udì quando vide la scala che congiunge il cielo e la terra, e che suo figlio Giuseppe pronunciò nel proprio cuore quando venne salvato dal pozzo in cui l’avevano precipitato i fratelli e, in seguito, dalle prigioni egiziane. Con quello stesso potere ascendente e liberatore, gli Ha‘amiyah possono aprire sia a se stessi, sia soprattutto agli altri prospettive nuove e rivelatrici. Ciò che amano più di tutto è guidare qualcuno (o magari un intero popolo, come fu nel caso di Gandhi) fuori dai guai in cui l’hanno fatto sprofondare i suoi intimi conflitti e le sue resistenze a conoscere se stesso. Con questa loro capacità di aprire stanze segrete e di sondare pozzi profondi, possono perciò divenire luminari sia della psiche sia della pubblicità, guru o talent scout, registi (Michelangelo Antonioni) o giudici istruttori (Antonio Di Pietro), oltre che naturalmente scrittori – in special modo di thriller, come lo Ha‘amiyah Graham Greene. Molti sono attratti anche dalla carriera militare o dalla pubblica sicurezza: e non certo per voglia di potere o per bisogno di autorità, ma perché in quei settori si possono osservare ancor meglio che altrove le passioni oscure degli uomini; degno di nota a questo riguardo è il fatto che il gruppo musicale che portò al successo lo Ha‘amiyah Sting si chiamasse proprio The Police.
Ciò che invece non interessa proprio agli Ha‘amiyah, sono i traguardi sociali che i più ritengono desiderabili: denaro e prestigio li irritano addirittura, se non altro perché la maggior parte della gente fa sempre riferimento a una di queste cose per imbastire frettolose interpretazioni delle malefatte proprie e altrui. E, come puntualmente avviene alle persone davvero disinteressate, gli Ha‘amiyah finiscono con il guadagnare molto o moltissimo proprio là dove avevano trascurato l’aspetto finanziario di qualche loro appassionata iniziativa.
Può avvenire, certo, che a causa di traumi o tormenti di varia origine, la loro dimestichezza con l’Inammissibile ecceda e fraintenda nefandamente se stessa: così avvenne, pare, a uno dei più torbidi e perversi re d’Inghilterra, Riccardo III. Oppure che li inclini al fanatismo religioso, da telepredicatore nevrotico. Ma è raro. Assai più frequente è quel tipo di Ha‘amiyah irrealizzato che si ammazza di lavoro o magari divora cultura per non accorgersi di sé, da un lato, e per cercare spasmodicamente, dall’altro, obiettivi che bastino alle sue prorompenti energie. Ma non ne troverà mai nel mondo delle persone perbene: sono venuti «non per i giusti, ma per i peccatori», come diceva la Scrittura, e solo se si metteranno a scoperchiare segreti e a disintegrare vampiri potranno tornare a casa tranquilli, la sera, a godersi le gioie domestiche e un meritato riposo.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli
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