Haqamiyah

he-qoph-mem

Il mio spirito domina ciò che lo ostacola

Dal 6 all’11 giugno

Haqamah, in ebraico, significa «fondazione di un grande edificio»: gli antichi, cioè, si raffiguravano questo Cherubino come il protettore di chi spiana, abbatte rocce e rovine, bonifica e scava il terreno per porvi le fondamenta di costruzioni ambiziose. E per intenderlo ancor meglio, occorre riflettere su ciò che l’edilizia monumentale rappresentava ai tempi delle piramidi: un’immensa fatica di molti, lavoro forzato ed estrema tensione degli architetti, che dovevano trasformare tonnellate di pietra in un’opera d’arte. Concorda pienamente con questa immagine la strana idea che venne all’Haqamiyah Pietro I di far costruire un’intera metropoli, Pietroburgo, in un luogo occupato fino ad allora soltanto da paludi. In quella città, lo zar Pietro vedeva davvero se stesso, il proprio sforzo per domare e disciplinare la Russia intera e trasformarla da regno medievale in uno stato moderno, vincendo la resistenza di tutte le sue classi sociali – opprimendole anche, pur di raggiungere il suo scopo. E anche questo suo intento gigantesco era perfettamente haqamiano. Cent’anni dopo la tecnologia fornì un altro simbolo eloquentissimo del Nome di quest’Angelo: la macchina a vapore, che l’Haqamiyah George Stephenson realizzò nel 1814. Anche lì un’energia venne forzata, concentrata, compressa all’interno della caldaia fino a raggiungere una tremenda pressione: e mise in moto le ruote – e segnò l’inizio di un’epoca nuova, come spesso avviene con le invenzioni in cui si riflette ciò che l’inventore ha intuito, consapevolmente o no, del proprio destino angelico. Nella vitadi tutti gli Haqamiyah la compressione, le circostanze opprimenti, sono infatti elementi tanto inevitabili, quanto (se sanno usarli) preziosi: proprio perché permettono alle loro vaste energie di concentrarsi, di precisarsi e di divenire straordinariamente efficaci. La compressione può venire esercitata, più o meno tremendamente, dalla famiglia, dall’ambiente in cui vivono o magari da un’intera società refrattaria e ostile a ciò che hanno da dire di nuovo: compito degli Haqamiyah è reagire interiorizzando la compressione stessa, imponendosi una disciplina e una concentrazione estrema, e trovando quella giusta valvola di sfogo attraverso la quale imprimere una spinta proprio alle circostanze che li opprimono dall’esterno, e in tal modo metterle in moto e cambiarle. Furono perfetti Haqamiyah il poeta-romanziere-drammaturgo-storico- giornalista Aleksandr Puskin, che nella sua breve vita svolse instancabilmente, e fra continue tensioni, il ruolo di civilizzatore della letteratura russa; Thomas Mann, che riuscì a trasformare quel che di più prevedibile e opprimente poteva esservi ai suoi tempi in Europa – i valori della borghesia tedesca – in alimento di grandiose epopee narrative; lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte, che mise in atto quella compressione e autocompressione haqamiana nei suoi rapporti con le ideologie del suo tempo, il fascismo prima e il comunismo poi.

L’abilità che si richiede agli Haqamiyah è essenzialmente quella di sapersi scegliere i propri oppressori. La realtà circostante ne offrirà loro in abbondanza: sta a loro non accontentarsi dei primi che capitano e trovarsene qualcuno più degno e clamoroso, che stimoli la loro autocompressione ad aumentare in proporzione. Ne verranno lunghe ma entusiasmanti fatiche, e grandi cose. Evitino dunque di abbracciare le professioni tranquille, quelle che consistono di procedure fisse: generano un’oppressione troppo lieve, e un Haqamiyah operaio, notaio o bancario non saprebbe assolutamente come impiegare la propria energia e si sentirebbe disperatamente fuori luogo. Vanno scartate, per lo stesso motivo, anche quelle che impongono una ragionevole subordinazione a personalità altrui: segretario, traduttore, assistente e via dicendo; troppo facile! Quale che sia la percentuale di rischio, sarà invece opportuno puntare su attività che richiedano decisioni, progetti, idee coraggiose, costanza e, naturalmente, un altissimo grado di responsabilità personale, e dunque una tensione tale da obbligare periodicamente gli Haqamiyah a far appello a tutte le proprie risorse. Quanto al settore da preferire, la scelta può essere vastissima: il talento haqamiano è onnivoro; e potranno anche cedere alla tentazione, tipica del segno dei Gemelli, di trovarsi più di un lavoro, oppure un lavoro completamente diverso ogni volta – purché garantisca loro uno stress ai limiti del sopportabile.

Infinitamente più insopportabile si rivelerebbe per loro il non aver osato, il non aver creduto in se stessi e nelle proprie capacità di resistenza. La modestia e la pavidità non fanno che incattivirli e avvelenarli: e troppo nobili, di solito, per dare ad altri la colpa delle proprie esitazioni, se la prendono ferocemente con se stessi, sprofondando negli umori più tetri. Purtroppo, quando non sanno trovare valvole produttive, anche la loro energia non ci mette molto a volgersi contro se stessa, e ad autocomprimersi sottoforma di malattie: allora cominciano a spianare, scavare, abbattere il loro stesso corpo o la mente, come se quelli fossero divenuti l’ostacolo di cui l’anima vuole liberarsi. È un loro grosso pericolo (gli Haqamiyah Robert Schumann, Judy Garland, Raul Gardini finirono appunto così), ma si può prevenire e curare sempre: occorre soltanto sapere che qualsiasi circostanza, esteriore o interiore, possa intralciare il loro cammino, non diverrà, per loro, che un dispositivo per aumentare lo slancio e precisarne la direzione. E se di direzioni non se ne vedono, all’orizzonte, rimane sempre la soluzione che adottò tutt’a un tratto l’Haqamiyah Gauguin: vedere il proprio continente, tutt’intero, come la parete di un immenso carcere, e cercarne la libertà altrove – magari, come lui, a Tahiti, alla Dominica o in altri luoghi avventurosi.

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

libro_degli_angeli

.

Torna in alto