Hariy’el

he-resh-yod

Io do forma concreta a un’immensa energia vitale

Dal 1° al 6 giugno

Gli Hariy’el scoprono ben presto che nella loro vita vale una legge strana e spietata: ciò che a loro importa di più non va per il verso giusto. Possono, per esempio, decidere che nulla è più importante del successo professionale, e dedicarvisi anima e corpo: e non funzionerà; incontreranno continui, fastidiosi intralci che ai loro colleghi non capitano mai. Oppure potranno sacrificare tutto alla felicità domestica: e in casa avranno amarezze. O metteranno al primo posto un ideale sociale o politico: e una serie di sconfitte li scoraggerà. A quel punto oseranno magari buttare tutto all’aria per imparare a godere soltanto della propria libertà individuale: ma presto dovranno lasciar perdere, perché anche da quel versante verranno guai. È proprio come se fossero al centro di una bussola incantata, e non possano avviarsi verso uno dei quattro punti cardinali, senza che gli altri tre facciano di tutto per trattenerli.

Certi Hariy’el si arrendono: smettono di volere e di osare, e rimangono fermi, oppure si lasciano portare dal caso, un po’ di qua, un po’ di là, senza più aspettarsi nulla di preciso. Altri invece intuiscono, saggiamente, che la bussola dell’esistenza si aspetta da loro qualcosa di speciale, e che dietro a quei loro impacci si nasconde un enigma da risolvere. Non è difficile, in realtà! La giusta via degli Hariy’el consiste nel sovrastare tutte quante le direzioni: nel non dare a nessuna maggior valore che alle altre, e nel crescere invece in tutte contemporaneamente, ripartendo in quote uguali le proprie energie tra il lavoro, la famiglia, l’impegno per un ideale la scoperta della propria libertà individuale. L’armonia è la loro parola magica, l’universalità è la caratteristica essenziale del loro genio: e appena se ne accorgono, ne vengono ricompensati con un fiorire di soddisfazioni in tutti i trecentosessanta gradi dell’orizzonte.

Naturalmente dovranno scegliersi professioni adeguate, il più possibile panoramiche anch’esse: dirigenti, amministratori, organizzatori, supervisori. Se li attrae l’erudizione, ricorderanno sempre con gioia il periodo dell’università (il poter spaziare in tanti campi dello scibile, curiosando di facoltà in facoltà) e abbracceranno con successo discipline ampie, come la storia, la filosofia, la linguistica o la matematica, trovandosi pienamente a loro agio nell’ambiente accademico. Se li appassiona la psicologia, sapranno dedicarsi con ghiotto vigore e generosità ai problemi di chiunque, senza mai smettere di imparare dall’osservazione. Se prevarrà in loro qualche talento artistico, si segnaleranno per la versatilità: nella continua ricerca di forme espressive nuove. Se invece dovessero essere d’indole più pigra (benché sia raro, per loro), una professione legata in qualche modo ai viaggi potrà fare al caso: per il gusto, se non altro, di vedere sempre nuovi paesaggi fuori dai finestrini, possibilmente dall’alto. E a una superiore altezza devono imparare a trovarsi anche per ciò che riguarda i valori: non sposino mai cause, non prendano posizione nelle contese, non scendano a dar torto o ragione agli uni o agli altri, ma in ogni circostanza apprezzino e facciano apprezzare i pregi dell’equanimità, della larghezza di vedute, della dialettica che a ogni tesi sa contrapporre un’antitesi altrettanto valida.

È un equilibrio che ben pochi sanno raggiungere e mantenere meglio degli Hariy’el. Il rischio è che la loro capacità-necessità di percorrere tante rotte contemporeamente dia loro un po’ alla testa, insinuando nella mente l’impressione di essere molto, troppo al di sopra del resto dell’umanità. Può avvenire allora che tutti e quattro i punti cardinali vengano loro a noia, e che ogni cosa al mondo perda sapore. Non sopporteranno a lungo una simile situazione; cercheranno stimoli più forti – e finiranno con lo sbilanciarsi in quella che forse è la direzione per loro più pericolosa: l’affermazione della libertà personale. La storia ricorda vari Hariy’el rovinati da un eccesso del genere: Cagliostro e De Sade, per esempio, finiti entrambi in carcere per aver esagerato nel cercare nuovi stimoli, l’uno nell’accumulo di potere, l’altro in un senso d’onnipotenza. Una Hariy’el particolarmente tragica fu poi, per tutt’altre vie, Marylin Monroe, la cui facilità ad annoiarsi finì con il rendere disperatamente soffocante anche la felicità, in tutte le direzioni della sua bussola.

Un altro pericolo, infine, che corrono soprattutto gli Hariy’el più fortunati ed evoluti, si profila quando provano a trarre dal loro specialissimo modo di vita regole che valgano anche per gli altri: quando cioè pretendono dai partner, dai figli, dagli allievi (o magari dal loro pubblico, se capita loro di averlo) una multilateralità simile alla loro. Personalmente, non conosco persone in grado di capire un Hariy’el che dica quel che pensa: il suo punto di vista è troppo vasto e sottile, la sua mente troppo agile nel balzare da un punto all’altro dell’orizzonte; e quanto al pretendere che altri abbiano la sua stessa varietà d’interessi e di impegni, meglio lasciar stare. A scanso di delusioni, conviene dunque che adottino un saggio equilibrio anche nel pretendere attenzione dagli altri: come se anche l’umanità intera si dividesse, ai loro occhi, in quattro punti cardinali, a ciascuno dei quali conviene dare soltanto ciò che lì può venire accolto, e non di più.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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