Hayiya’el

he-yod-yod

La mia anima brama di manifestarsi 

Dall’11 al 16 marzo 

Vi è, in ogni protetto di Hayiya’el, un’affinità profonda con i cavalieri medievali; con Lancillotto, con i templari: cuori corazzati, stracolmi di energie spirituali e presi dall’ansia di farle irrompere e trionfare nel mondo di tutti, in quel complicato «bosco», come scriveva l’Hayiya’el Torquato Tasso:

[…] dove cotanti
son fantasmi ingannevoli e bugiardi.
Vincerai (questo so) mostri e giganti,
pur ch’altro folle error non ti ritardi.               
Gerusalemme liberata 
XVIII, 10

La doppia yod, nel Nome dell’Angelo, sarebbe appunto il geroglifico dei «fantasmi ingannevoli e bugiardi», dell’eccessiva attenzione che la gente tributa di solito a ciò che esiste già da troppo tempo, e che rischia di soffocare le esigenze e le nuove scoperte degli spiriti eroici. Gli Hayiya’el non soltanto vedono più in là, ma vorrebbero quell’attenzione per se stessi: sono nati, infatti, per sbaragliare lo status quo, per aprire gli occhi alla gente, liberandola dalle opinioni vecchie o false, per quanto gigantesche possano apparire a chi le vuole sfidare. Era Hayiya’el Percival Lowell, l’astronomo americano che contro tutti i suoi colleghi sostenne l’esistenza di un nono pianeta nel sistema solare, e solo diversi anni dopo la sua morte la scienza gli diede ragione. Era Hayiya’el Albert Einstein, che con la scoperta della relatività scosse tutte le certezze della fisica dei suoi tempi, e fu celebre, poi, anche per i suoi modi ribelli e il suo rigore morale (si rifiutò di collaborare al progetto di una bomba atomica). Non meno cavalleresco nel battersi contro ciò che agli occhi dell’anima è male, e a cui la maggioranza non sa ancora o non sa più opporsi, fu l’Hayiya’el Cesare Beccaria, che nel Settecento aveva proclamato la necessità morale di abolire la pena di morte; o anche Gabriele d’Annunzio, quando nel 1918 volò sopra Vienna e la bombardò di volantini per esprimere il suo sdegno contro gli attacchi aerei alla popolazione civile; o quando nel 1938, alla stazione di Verona, attese Mussolini che tornava da Monaco e lo rimproverò pubblicamente per la sua decisione di allearsi con Hitler.

Ottima cosa sarà dunque, per un Hayiya’el dei giorni nostri, scegliersi una professione che possa munirsi di contenuti ideali, e che implichi coraggio: dal tutore dell’ordine all’educatore, dal giornalista al leader politico. Gli piacerà, e vincerà di sicuro – come l’Hayiya’el Vittorio Emanuele II vinceva le sue guerre con la bandiera dell’Indipendenza, dell’Unità e di simili valori che a qualcun altro potrebbero magari apparire retorici, ma che ai protetti di questo Angelo portano sempre fortuna.

Quando invece questi paladini nati non trovano (o non osano trovare) grandi ingiustizie contro le quali dover vincere, il loro piglio può diventare ostentazione o irritabilità inconcludente. L’irritabilità scatta in tutte quelle situazioni in cui le convenienze impongano loro di dar ragione a chi, a loro parere, non ce l’ha: aspre, per esempio, sono le sofferenze interiori di un Hayiya’el che lavori nel commercio, e debba per forza assecondare i clienti, o che in ufficio sia costretto, per ragioni di carriera o anche soltanto di buona convivenza, ad adattarsi ai superiori. Dentro di sé è straziato dallo sdegno, e quanto più prova a nasconderlo, tanto più sicuramente diverrà intrattabile a casa e, a lungo andare, depresso, e nel peggiore dei casi (quando proprio sentirà di non aver più scampo) anche cinico, gelido, autodistruttivo o addirittura crudele e ingiusto lui stesso, per disperazione.

La tendenza all’ostentazione – negli atteggiamenti, nel vestire, in genere nello stile di vita – è un po’ più gradevole: il buon gusto, o eventualmente il gusto strano, o lo snobismo, possono diventare per gli Hayiya’el una maniera di evidenziare la differenza tra sé e la massa, e di sfidare ancor sempre le abitudini e l’inerzia di quest’ultima. E si avverte chiaramente, guardandoli, la componente aggressivadella loro disinvoltura: la provocazione più o meno sottile, l’intimidazione, quasi, che ne trapela. In D’Annunzio questi tratti erano brillanti, ironici; in Giovanni Agnelli (erede di una dinastia, predeterminato nelle sue scelte: condizione molto amara per un Hayiya’el!) era più arida, sprezzante e venata, sempre, di fiele. L’Hayiya’el Jerry Lewis, dal canto suo, la prese sul ridere: ebbe cioè l’idea di portare all’estremo questa tendenza a mettersi in posa, e di parodiarla e stravolgerla fino a rendere il suo personaggio allegramente mostruoso: creò così un nuovo tipo di clown, imitatissimo, e fece storia.

Fu anche quello, del resto, un modo per dar forma al problema più profondo degli Hayiya’el, alla prima ragione di tutte le loro tensioni: la sproporzione che avvertono, in se stessi, tra la vastità dello spirito e i limiti della materia, del corpo, della condizione umana. Solitamente, in coloro che cercano cause per le quali lottare e malvagi da sconfiggere, si nasconde un segreto, ereditario senso di colpa, perennemente in cerca di riabilitazione: lo slancio degli Hayiya’el non ha invece nulla di personale; attraverso di loro si manifesta una specie di urgenza dell’evoluzione, infastidita dal fatto che tanto il corpo umano quanto il corpo sociale non si siano ancora messi al passo con ciò che l’anima già vede e ha in sé. Di se stessi, in realtà, importa a loro molto meno di quel che sembra: si sentono strumenti e si trattano come tali; se curano molto il proprio aspetto, lo fanno come un padrone affezionato che lustri il proprio cavallo; e anche quando guardano nella propria coscienza, è sempre e soltanto per controllarne i riflessi, e non certo per esplorare i meandri delle problematiche psicologiche. Ciò che per noi è l’«io», per loro (quando sono davvero se stessi) costituisce soltanto il luogo dove alloggiare gli elaboratori di dati per le prossime nobili imprese da compiere.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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