Mebahiyah

mem-beth-he

Io plasmo e produco forze spirituali 

Dal 22 al 27 dicembre

Come tutti i Principati, anche Mebahiyah conferisce ai suoi protetti grande energia e abnegazione, idealità e tenacia, vivace immaginazione e acuta sensibilità per i valori etici: in più, li munisce di una mente lucida, metodica, coraggiosa, estroversa. È tutto quel che occorre per intraprendere opere grandi e nuove, senza lasciarsi intimidire né da quel che già esiste, né dalle resistenze che il nuovo incontra sia nei singoli individui, sia nella società intera: così che risulterebbe del tutto legittima, dal punto di vista dell’angelologia, la tradizione secondo cui dovettero essere questi i giorni in cui nacque Gesù di Nazareth.

Il 26 nacque anche Mao Zedong, nel cui destino prevalse nettamente la letteramem, che in geroglifico è anche l’immagine della forza coesiva, della capacità di riunire i molti e di imporre loro norme, che in un Mebahiyah non possono che essere rivoluzionarie. Il 25 nacque Sadat, che perse la vita per aver voluto cercare un accordo tra Egitto e Israele: cosa che – lui lo sapeva benissimo – sarebbe stata intollerabile per il mondo arabo; ma tipico dei Mebahiyah è il mettere in conto il martirio, quando credono in qualcosa, e senza batter ciglio.

Le altre due lettere del Nome dell’Angelo, beth he, che raffigurano un profondo aprirsi dell’animo all’ispirazione, alla scoperta dell’invisibile, improntano invece la vita di Nostradamus (nato il 24), che esplorava il futuro, e di Champollion (il 23), che giovanissimo decifrò i segreti dell’antica lingua egiziana: e si noti come nell’uno e nell’altro trovi alimento anche la dimensione sistematica, normativa della mem: in Champollion, nella ricostruzione di un’intera lingua antica; in Nostradamus, nell’ampio, arcano disegno metastorico che le Centurie intendevano costituire.

Ciò che invece non trova appiglio nell’animo dei Mebahiyah è l’elementare logica del guadagno: la prospettiva di accumulare denaro non solo non li stimola, ma li infastidisce addirittura. Traggono slancio dall’altezza dei loro ideali, dalla tensione che occorre per raggiungerli, dall’immagine eroica che in tal modo possono avere di sé: con la conseguenza che quanto più disinteressata è una loro impresa, tanto maggiori finiscono per l’esserne anche gli introiti – e viceversa, quanto più si sforzano di preoccuparsi del tornaconto, tanto meno riescono a impegnarsi in ciò che fanno. «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno date in aggiunta», come diceva appunto Gesù, in perfetto stile mebahista. Si avverte, in questo loro snobismo economico, una profonda esigenza di libertà, una ricerca dell’assoluto: e proprio questo è l’unico vero bisogno dei Mebahiyah, a cui tutti gli altri loro bisogni più concreti vengono sacrificati volentieri.

In ciò può certamente consistere la loro forza principale, quando riescono a osare e a farsi valere nella loro professione, o missione (i due termini devono diventare sinonimi per i Mebahiyah, perché il loro cuore sia in pace); ma talvolta si trova qui anche il loro punto più debole, per quanto riguarda la vita privata. Tendono infatti, da un lato, a idealizzare i loro partner e amici, e dall’altro (appunto perché non sanno prestare orecchio ai propri bisogni) ad accontentarsi di troppo poco, e anche di persone troppo dappoco. Si lasciano così prendere al laccio e, tutti intenti nelle loro attività o presi dai loro scopi sublimi, non hanno né tempo né sufficiente concentrazione e volontà per riuscire a liberarsi. Si pensi alla trappola che, secondo la tradizione, Gesù si lasciò tendere da Giuda; o alla tragica infelicità coniugale del Mebahiyah Giacomo Puccini, che tanto a lungo desiderò, invano, sottrarsi ai ricatti di una moglie che non lo capiva (Puccini morì di cancro alle vie respiratorie, tipica malattia mortale di chi si sente prigioniero di una situazione). La sorte dei Mebahiyah sarebbe facilmente splendida, se solo riuscissero a incanalare almeno una piccola parte delle loro altissime aspirazioni nella vita quotidiana, e a impiegare, nel realizzarle, anche soltanto un infinitesimo delle loro doti organizzative. Il sublime, invece, li porta soltanto in alto, per lo più.

Del tutto comprensibilmente, può capitare che a un certo punto i Mebahiyah si stufino della pochezza di chi hanno intorno («Oh, generazione incredula e perversa! Fino a quando dovrò sopportarvi? » Matteo 17,17) e che magari, misurando in un momento cupo la larga differenza tra gli ideali del loro cuore e la dozzinalità del prossimo, siano tentati di considerare o quelli o quest’ultimo come insignificanti, e come insensato ogni tentativo di portare ideali al mondo. Si ha allora o il tipo di Mebahiyah eremita ed enigmatico (come Carlos Castaneda), o il tipo scettico, cinico, materialista, sarcastico o irritabile dinanzi a tutto ciò che riguardi la spiritualità o l’invisibile (Piero Angela, per esempio). Quest’ultimo è una specie di inversione che invece di forza d’animo, genera soltanto animosità; invece di valori morali, soltanto un po’ di moralismo, e come tutti i sistemi che adottiamo per difenderci da noi stessi, ne deriva una lunga, sottile spirale di infelicità più o meno segreta. Purtroppo è frequente. I Mebahiyah non invertitisi sono stati, in ogni epoca, fuori moda, e questa è una condizione che richiede caratteri molto robusti e una buona dose di genialità, per poterla reggere.

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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