Nelka’el

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Le mie azioni sono grandi quando mi oppongo ai tiranni

Dal 2 al 7 luglio

Ai tempi della Rivoluzione americana l’esoterismo era sufficientemente diffuso tra gli intellettuali perché non possa ritenersi un semplice caso la scelta del 4 luglio come festa dell’Indipendenza. Nelka’el è infatti l’Angelo dei liberatori, o di chi attende di essere liberato da una qualche costrizione. Tra i suoi protetti si contano Garibaldi, l’attuale Dalai Lama e Jaruzelski, che negli anni Ottanta fu sì, dapprima, lo strumento del potere sovietico in Polonia, ma poi anche colui che guidò il Paese verso la democrazia; e persino George W. Bush, che pure ha costruito tutta la sua immagine politica sulla necessità di liberare gli Stati Uniti dai ricatti del terrorismo e l’Iraq da Saddam. Era Nelka’el anche Franz Kafka, che nei suoi romanzi e racconti scelse sempre, come protagonisti, individui intrappolati in immense, irrisolvibili oppressioni; e così pure Hermann Hesse, che in Siddartha narrò, nel 1922, il risveglio dell’anima alla liberazione e al nirvana, e fino a oggi il libro non ha cessato di ammaliare i lettori di tutto il mondo. Ne tenga conto ogni protetto di questo Trono: quali che siano le condizioni in cui si troverà a vivere, la sua riuscita personale e il senso stesso della sua esistenza dipenderanno pressoché totalmente dal coraggio con cui saprà scorgere intorno a sé una tirannia alla quale opporsi. Soltanto in una lotta di liberazione emergeranno le sue autentiche doti, sia che si tratti di battersi in politica, o contro chi nella vita d’ogni giorno voglia plagiare qualcun altro, o magari anche contro ossessioni, manie, assuefazioni, nel difficile silenzio della propria mente. E viceversa: non vi saranno, per i Nelka’el, periodi sereni o situazioni privilegiate in cui non cominci a serpeggiare nel loro animo una sensazione di inutilità, di vuoto, e in cui ben presto non si impadronisca di loro una crescente angoscia – la quale offrirà quell’occasione di lotta che il destino sembrava voler loro risparmiare.

È inoltre assai probabile che questa angoscia assuma forme proiettive: che cioè i Nelka’el siano portati, poniamo, a rendere invivibile una loro relazione sentimentale o un loro rapporto di lavoro, unicamente per poter soffrire abbastanza da risvegliare in se stessi lo slancio del liberatore. È possibile che in tal modo diventino essi stessi oppressori, manipolatori di chi vive accanto a loro, e risultino perciò individui insopportabili, agli altri prima e a se stessi poi. Meglio dunque che provvedano per tempo, e sviluppino quel che occorre per non imprigionarsi da sé: una vigile coscienza morale, un solido repertorio di ideali, un temperamento adeguatamente altruista, nonché autorevolezza, spirito polemico, fascino, ironia e tutto il rimanente armamentario del buon combattente per la libertà.

Da evitare, in genere, il lavoro dipendente: troppo alto è il rischio che i superiori comincino tutt’a un tratto a sembrar loro dei despoti, o i sottoposti una masnada di parassiti. Nelle ordinarie vicende della carriera potrebbero scorgere di continuo macchinazioni di colleghi; nella busta paga, la prova evidente di qualche condizione di sfruttamento. In un lavoro autonomo, perlomeno, non potrebbero prendersela che con se stessi. Perfetta sarebbe una professione che richiedesse capacità d’attacco e difesa: l’avvocato, per esempio, o l’investigatore; o una qualsiasi attività di ricercatore, sempre in guerra per assediare microbi e conquistare sovvenzioni; o l’allenatore di arti marziali (il Nelka’el Sylvester Stallone ebbe i suoi maggiori successi con Rambo Rocky); e meglio ancora il giornalista d’assalto (Michele Santoro) o il politico (Walter Veltroni), giacché sentirsi protagonisti nelle battaglie li nutre, li placa, anche se non per molto. Prima o poi, qualunque sia stato il livello di successo che riescono a raggiungere, li riafferrerà un senso di insoddisfazione, un cattivo umore che si manifesta, in molti di loro, in una caratteristica espressione imbronciata o vaga, o si vela dietro un sorriso finto. Soffrono profondamente, quando sono così, combattono, nel chiuso del loro cuore, contro stati d’ansia che nessuna terapia riesce a debellare – e che infatti non richiederebbero affatto terapie, ma soltanto una liberazione più vasta, più alta, d’ordine non sociale o psicologico, ma spirituale. Vi è nei Nelka’el (e questo è il loro principale segreto, benché la maggior parte di loro si rifiutino recisamente di ammetterlo) una profonda aspirazione mistica, il desiderio di estendere i territori della propria anima in regioni superiori. Solo se se ne accorgono – proprio come avvenne a Hesse – riescono finalmente a trovare l’equilibrio, l’armonia e anche il vero significato di tutte le loro battaglie terrene, piccole o grandi: conseguenze e rifrazioni, tutte quante, di quella loro brama di assoluto. Riuscirebbero anche a vincerle più facilmente, allora. Non per nulla Garibaldi era stato, oltre che generale, anche capo di importanti logge massoniche, riformatore di rituali, profondo conoscitore dei testi dell’Ordine; e da tutto ciò trasse quello slancio supplementare – inesauribile davvero – che gli permise di battersi per la libertà su scala intercontinentale.

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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