yod-zain-lamed
Il mio sguardo mira in alto
Dal 21 al 26 maggio
Tutti sanno, credo, che un maschio è un individuo che dispone di scarsa energia femminile, e ha bisogno di donne per compensare questa carenza; e una donna è un individuo che dispone di scarsa energia maschile, e può compensare tale carenza frequentando maschi; è altrettanto risaputo che in un omosessuale o in una lesbica questi valori appaiono invece invertiti, e la compensazione può perciò avvenire soltanto grazie a chi appartenga al loro stesso sesso. Ma pochissimi sono al corrente del fatto che gli Yezale’el non rientrino in nessuna di queste categorie: il loro principale problema è dato infatti dalla compresenza, in ciascuno di loro, di caratteristiche psicologiche femminili e maschili, perfettamente equilibrate, che costituiscono un’identità a sé stante, misteriosamente autosufficiente sul piano sessuale. Non che la cosa sia problematica di per sé, al contrario: appena trovano il coraggio di riconoscere questa loro esclusività, gli Yezale’el si accorgono anche dei molti vantaggi che essa comporta, del doppio punto di vista e soprattutto delladoppia energia che dona loro. Ma quel coraggio è molto difficile da conquistare. Troppo grande, troppo perfetto è quell’equilibrio, in un mondo che anche nella sessualità è ovunque squilibrato. E gli Yezale’el ne sono allarmati: si sentono diversi dai loro coetanei che sognano l’anima gemella, o almeno un buon corpo altrui a cui aderire e adeguarsi. Neppure durante l’adolescenza gli Yezale’el avvertono bisogni del genere, e temono si tratti di una loro carenza, non sospettano che sia invece il contrario: che, cioè, essi abbiano già in se stessi ciò che gli altri stanno cercando intorno. E come potrebbero? Non si parla di loro in nessun corso di educazione sessuale, non esiste nemmeno il termine nel dizionario, per indicare la loro natura.
Perciò provano a uniformarsi, per non sentirsi esclusi. Fingono flirt e passioni, ma non ne deriva che infelicità; le loro emozioni, così sforzate, si bloccano inevitabilmente, gli amori che riescono a collezionare sono ansiosi e deludenti; il loro corpo finisce con l’esprimerne il disagio con vari disturbi psicosomatici, e anche il loro modo di vestire diventa sgradevole: artificioso o sciatto. Non si piacciono, non vogliono piacersi, e si convincono di non poter piacere agli altri. Oppure (e questo è forse peggio ancora) riescono a fingere a lungo anche dinanzi a se stessi, finché al posto del loro io rimane soltanto un ruolo da difendere, e quel ruolo è un mosaico di pose e compulsioni che somigliano molto a una prigione.
Quanto dura questo supplizio? Fino ai trenta, ai quaranta. Per sempre, a volte: ci sono Yezale’el che nemmeno davanti ai più duri insegnamenti del loro destino si accorgono di quanto sarebbe semplice e ovvio trasformare ogni cosa. Basterebbe accettarsi. E non è affatto difficile. In pratica, non occorre altro che domandare al proprio cuore, riguardo a una qualsiasi cosa, «Mi piace questo?» e aspettare che la risposta prenda forma, senza ricorrere a frasi prese in prestito da altri. Quell’attesa è splendida. In essa gli Yezale’el cominciano a percepire davvero, nel loro corpo, le loro due anime, e nella loro mente una vastità in grado di accoglierle entrambe. E poi ancora: «Mi piace quest’altra cosa? E quest’altra?» e di risposta in risposta il mondo comincia ad apparire loro completamente nuovo. La prigione di prima si dissolve, pian piano, e quel che segue è quasi travolgente. Le vecchie preoccupazioni del sesso e dei sentimenti rimangono indietro, situazioni che fino ad allora apparivano disastrose tornano alla mente soltanto come ricordi remoti, superati: lontanissima da quelli, comincia a manifestarsi invece un’incontenibile energia, una voglia di nuovi obiettivi, alti, ambiziosi, soprattutto nella professione. Gli Yezale’el scoprono allora di avere grandi e molteplici talenti, in particolare creativi e finanziari, e in più un gran desiderio di mostrarsi, o di mostrare le loro opere o di aiutare altri a mostrarsi. Hanno anche la sorte dalla loro parte: come per tutti coloro che si trovano in una fase di crescita, ha inizio anche per loro il «Chiedete e vi sarà dato» di cui parlano le Scritture. Desiderano (imparano a desiderare!) e ogni loro autentico desiderio si materializza tanto puntualmente, da spingerli spesso a qualche forma di curiosità esoterica – per cercare di capire come una simile magia sia diventata tutt’a un tratto possibile. Diventano così imprenditori, artisti, terapeuti, organizzatori: ma per loro l’importante, ripeto, è che li si veda; hanno qualcosa da comunicare, sentono di aver compiuto scoperte che anche per gli altri saranno preziose e cercano di esprimerle con tutto il proprio essere. Ed è una missione, davvero: esplorare direzioni nuove dell’evoluzione umana, grazie a un diverso modo di intendere il principio femminile e maschile. Conoscere amare gli altri (e di conseguenza se stessi) al di là dell’impulso sessuale: ed è forse poco? Le turbe, gli equivoci, le lotte di potere che derivano dal sesso non sono forse tra le principali cause di diseguaglianza, di insincerità e di dolore nell’umanità?
Pochissimi Yezale’el, certo, arrivano a comprendere appieno questo loro compito, ma molti lo sfiorano in vario modo – e sfiorarlo è già sufficiente, spesso, per destare in loro enormi energie. Così fu per Richard Wagner, per esempio, con la sua epica della purezza; o per la regina Vittoria, che impose a un’intera epoca un’avversione molto yezalieliana per la sessualità; o per Bob Dylan, che viceversa si trovò perfettamente a suo agio in una generazione ansiosa di liberarsi dai tabù sessuali, cioè di togliere alla sessualità il suo valore determinante nei rapporti sociali e nella morale. Ed era Yezale’el anche Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes, il castissimo detective altrettanto abile nello smascherare che nel mascherarsi: yezalieliano dunque anche lui, con quella sua capacità di straniare sia gli altri sia se stesso dagli abiti, dai ruoli che bisogna imporsi in società.
Non è detto, d’altronde, che agli Yezale’el sia precluso l’amore-passione: lo trovano, puntualmente, quando hanno cominciato a scoprirsi, ed è una magnifica unione di anime – meglio se con un altro Yezale’el ridestato o con i Miyhe’el del 18-22 novembre, la cui sensibilità è del tutto affine alla loro.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli