Abitare ed Essere

Abitare ed essere sono intimamente connessi tali che, fondamentalmente, hanno lo stesso significato. Non a caso, per poter costruire qualsiasi cosa nella vita, occorre prima essere/abitare.

Martin Heidegger (1889-1976) si è sempre occupato dell’essere, e proprio da una sua conferenza (1) voglio partire, cercando di dare senso all’abitare dell’uomo.

Costruire – abitare – essere sono, in un certo senso, la stessa cosa: le radici linguistiche in tedesco (2) di queste tre parole sono identiche. Costruire significa un’azione che ha come scopo l’abitare, e abitare è il modo in cui gli uomini sono(sono sulla terra). Essere uomo significa pertanto essere sulla terra come mortale, e cioè abitare.

Abitare è dunque il gesto fondativo dell’umanità: anche gli animali vivono e hanno una tana, ma non costruiscono, non modificano radicalmente il luogo in cui risiedono. L’uomo invece sì. È proprio nel costruire che l’uomo segna il proprio territorio: da Enea, a Salomone, tutti i racconti fondatori di una civiltà sono sempre miti di grandi costruttori, di persone capaci di edificare edifici e di difenderli, abitandoli.

Direbbe Ruskin (3) che l’architettura è la memoria stessa dell’umanità: delle civiltà passate, prima di ogni altro aspetto, ricordiamo i loro edifici e attraverso quelli siamo in grado di intuire chi fossero e come vivessero. In fondo, dunque,siamo figli e nipoti delle nostre città e dei nostri edifici. Ma in un momento come questo, in cui il tempo sembra predominare sullo spazio; in cui l’architettura diventa effimera, passeggera e transitoria, incapace di segnare un luogo per molto tempo e di restare impressa nella memoria, ma in grado solo di vendere un’immagine immanente e immateriale, destinata presto ad essere dimenticata, resta da chiedersi se siamo ancora capaci di costruire.

L’architettura è da sempre status symbol: i potenti si facevano costruire edifici grandi e belli in misura della loro ricchezza e del loro ruolo (vero o presunto); questo avviene anche oggi, ma a differenza di un tempo, gli edifici di questi anni sono destinati a durare solo qualche decina d’anni, forse ancor meno del passaggio dei potenti che li hanno voluti.

Abbiamo dimenticato il ruolo grande che gli edifici, soprattutto quelli ben fatti, hanno nel definire una società, a partire dalla città in cui nascono. Dobbiamo imparare, meglio ricordare, che noi non abitiamo perché abbiamo costruito, ma noi costruiamo perché abitiamo, cioè siamo in quanto siamo gli abitanti. Si può andare anche oltre: il tratto fondamentale dell’abitare è avere cura: è nell’abitare che l’uomo segnala la propria appartenenza alla comunità degli uomini (4).

Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. L’autentica crisi dell’abitare non consiste nella mancanza di abitazioni. La vera crisi degli alloggi è più vecchia delle guerre mondiali e delle loro distruzioni, è più vecchia del sovraffollamento; la vera crisi dell’abitare esiste perché i mortali sono ancora in cerca dell’essenza dell’abitare: essi devono anzitutto imparare ad abitare (ad essere).

Note
1) Conferenza tenuta il 5 agosto 1951, all’interno del Secondo Colloquio di Darmstadt, su Uomo e spazio.
2) Heidegger parlava tedesco e si è occupato, quindi, di questa lingua.
3) John Ruskin, The Seven Lamps of Architecture, 1849.
4) La prima parola rivolta all’uomo da Dio è “Adamo, dove sei?”, ma si può anche tradurre con “Adamo, dove abiti?”. Pensate poi ai primi discepoli che chiedono a Gesù “Maestro, dove abiti?” (Maestro, chi sei? N.d.r.)..

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